«Chi crede nel Figlio ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno» (Giovanni 6:37-40)

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Vangelo di Gesù Cristo secondo San Giovanni

     A quel tempo,
Gesù disse alla folla:
      «Tutti quelli che il Padre mi dà
verrà da me;
e chi viene a me,
Non ho intenzione di buttarlo fuori.
       Perché sono disceso dal cielo
di non fare la mia volontà,
ma la volontà di Colui che mi ha mandato.
        Ma questa è la volontà di colui che mi ha mandato:
affinché io non perda nulla di ciò che mi ha dato,
ma che li risusciterò nell'ultimo giorno.
        Questa è la volontà del Padre mio:
che chiunque vede il Figlio e crede in lui
avere la vita eterna;
E io lo risusciterò nell'ultimo giorno».»

          – Acclamiamo la Parola di Dio.

Credere per entrare nella Vita: accogliere la promessa del Cristo risorto

Come la fede in Gesù Cristo trasforma il nostro rapporto con la morte, la fiducia e la speranza concreta dell'Ultimo Giorno.

In questo brano del Vangelo di Giovanni (6,37-40), Gesù fa una promessa che sconvolge ogni logica umana: chiunque crede in lui non sarà abbandonato, ma sarà risuscitato alla vita eterna. Queste parole, che si ritrovano anche nell'acclamazione dell'Alleluia (Gv 11,25-26), parlano a tutte le generazioni tormentate dalla mortalità. Questo articolo è rivolto a coloro che cercano di comprendere cosa significhi, nella fede cristiana, essere "risuscitati nell'ultimo giorno" e come vivere questa vita eterna che Cristo proclama, anche qui sulla terra.

  1. Contesto evangelico: la rivelazione di un Dio che attira le persone a sé.
  2. Analisi del brano: dalla volontà del Padre alla risurrezione promessa.
  3. Tre aree tematiche: fiducia, trasformazione, speranza.
  4. Applicazioni pratiche nella vita spirituale e quotidiana.
  5. Risuona con la tradizione e la liturgia cristiana.
  6. Pratica meditativa e risposta alle sfide attuali.
  7. Preghiera finale e percorso spirituale.

«Chi crede nel Figlio ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno» (Giovanni 6:37-40)

Contesto

Il Vangelo di Giovanni, più incentrato sulla rivelazione di Cristo che sulla narrazione degli eventi, cerca di immergere il lettore nel mistero di colui che chiama il Verbo fatto carne. Il brano in esame fa parte del discorso sul pane della vita (Gv 6), pronunciato dopo la moltiplicazione dei pani. Le folle, affascinate ma spesso limitate a una comprensione materiale del miracolo, ascoltano Gesù parlare del pane dal cielo, dono del Padre, cibo per la vita eterna.

È in questo clima di tensione e di incomprensione che nasce questa parola di autorità e di tenerezza: tutti coloro che il Padre dà al Figlio verranno a lui; e chiunque venga, Gesù non lo rifiuterà. Non si tratta quindi di una selezione o di un privilegio spirituale, ma di una rivelazione: la vita eterna scaturisce dall'intima relazione tra il Padre, il Figlio e ciascuno di coloro che credono.

Da una prospettiva teologica, questo testo articola tre livelli:
– la missione del Figlio, che obbedisce totalmente al disegno del Padre;
– la fedeltà divina, che non perde nessuno di coloro che ama;
– e infine la promessa della risurrezione, segno che la morte non ha l’ultima parola.

La ripetizione di questa promessa in Giovanni 11, durante l'incontro con Marta e Maria presso la tomba di Lazzaro, rafforza la coerenza del messaggio: "Io sono la risurrezione e la vita". Pertanto, questo brano non è una teoria sull'aldilà, ma un invito alla trasformazione qui e ora. Credere nel Figlio significa già entrare nella dinamica della risurrezione.

Analisi

L'idea centrale di questo brano si fonda sulla volontà di Dio per la salvezza universale: Dio non vuole che nessuno si perda. Cristo, accettando di scendere dal cielo per compiere la volontà del Padre, dimostra una duplice fedeltà: alla missione ricevuta e all'umanità a lui affidata. L'espressione "Non lo caccerò fuori" abolisce la paura del rifiuto, simboleggiando il cuore accogliente di Dio.

A livello spirituale, la promessa della risurrezione non è una via di fuga, ma la certezza che tutto ciò che è stato affidato a Dio rimane in Lui. Gesù collega intimamente l'atto di fede e l'esperienza della vita: "chi crede" vive già eternamente, perché la fede introduce il credente nella comunione vivente del Padre e del Figlio.

Questo testo rivela anche una logica di gioiosa dipendenza: credere non è uno sforzo solitario, ma la risposta a una chiamata. Il credente non si salva con le sue forze: si lascia trascinare. La volontà del Padre e la fedeltà del Figlio diventano il fondamento di una fiducia che non vacilla, neppure nell’ombra della morte.

La fiducia che apre il cuore

Il primo movimento di questo testo è di fiducia. Dichiarando di non rifiutare nessuno, Gesù ristabilisce il legame spezzato dalla paura originaria: la paura di essere abbandonato. L'esperienza della fede diventa così apprendimento del consenso. Essere donati al Figlio significa accettare di non essere più padroni del proprio destino, ma di essere accolti da un amore più forte della morte. Per questo la fede cristiana non è un'idea, ma un abbandono fiducioso.

«Chi crede nel Figlio ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno» (Giovanni 6:37-40)

La trasformazione interiore

La promessa «chi crede ha la vita eterna» ci invita a comprendere che questa vita inizia adesso. La risurrezione non è anzitutto un evento futuro, ma un processo di trasformazione interiore: un passaggio dall’angoscia alla gioia, dalla solitudine alla comunione. Questa trasformazione si esprime nella partecipazione all’Eucaristia, dove il credente riceve il pane disceso dal cielo. In ogni celebrazione, si ascoltano le parole: «Prendete e mangiate, questo è il mio corpo». È lì che si intreccia la continuità tra fede e vita eterna: la Parola e il Pane diventano nutrimento per il cuore risorto.

Spero che questo aspetto arrivi fino all'ultimo giorno

Infine, la promessa dell'«ultimo giorno» orienta la vita del credente verso una prospettiva escatologica. Quest'ultimo giorno non è né una minaccia né una scadenza incerta: è la pienezza dell'incontro. La speranza cristiana non consiste nel fuggire da questo mondo, ma nel percepire nel visibile il germe dell'invisibile. Per questo la liturgia dei defunti ripete queste parole: «E io lo risusciterò dai morti». Ogni sepoltura diventa un annuncio di fiducia. Credere in questa promessa è già risorgere nello sguardo.

Applicazioni

Nella vita quotidiana: imparare ad accogliere la vita come un dono. Chi crede in Gesù impara a non definirsi più in base alla paura o al successo, ma in base alla relazione. Nei momenti di prova, questo messaggio libera dalla disperazione: nulla, nemmeno la morte, può separarci dall'amore del Figlio.

Nell’ambito familiare: questa promessa lenisce il dolore e alimenta la fedeltà. Ci insegna a parlare della morte senza paura, trasmettendo la memoria cristiana della speranza.

Nella vita della Chiesa, sostiene la missione di ogni comunità: far conoscere un Dio che non rifiuta nessuno. Ogni battesimo, ogni Eucaristia è una proclamazione di questa fedeltà del Padre.

Nella società, ci invita a vedere le situazioni umane distrutte come fonte di risurrezione: esclusione, violenza, perdita. Lo sguardo del Figlio risveglia la dignità eterna in ogni persona.

«Chi crede nel Figlio ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno» (Giovanni 6:37-40)

Risonanze tradizionali

Dai Padri della Chiesa fino ai giorni nostri, questo brano ha alimentato la meditazione sulla misericordia e sulla vita eterna. Sant'Ireneo vedeva nella volontà del Padre il disegno di "ricapitolare tutte le cose in Cristo". Sant'Agostino sottolineava la fede come atto di visione: "vedere il Figlio" non è una visione fisica, ma l'apertura del cuore alla presenza di Dio.

La liturgia di Tutti i Santi e dei fedeli defunti assume questa promessa come tema centrale. Essa radica la preghiera cristiana nella convinzione che ogni membro del Corpo di Cristo partecipa alla vittoria sulla morte. Il Catechismo della Chiesa Cattolica (nn. 1002-1004) specifica che la risurrezione inizia con la vita di grazia: il battesimo ci incorpora già alla vita eterna.

Infine, la tradizione monastica ha spesso interpretato questo detto come un invito alla vigilanza interiore. Il monaco vive ogni giorno "come sulla soglia della risurrezione", tenendo il cuore sveglio alla presenza del Figlio che lo attira.

Traccia di meditazione

  1. Siediti in silenzio, respira lentamente.
  2. Leggi lentamente la frase: "Chi crede nel Figlio ha la vita eterna".
  3. Per ricordare una situazione in cui ci si è sentiti rifiutati e affidarla a Cristo.
  4. Visualizza il volto del Signore che accoglie senza giudicare.
  5. Chiedi la grazia di credere che nulla è perduto.
  6. Concludete in silenzio, ripetendo: «E io lo risusciterò nell'ultimo giorno».»

Questa breve preghiera interiore, ripetuta regolarmente, diventa un'ancora di fiducia nei momenti di incertezza. La risurrezione cessa allora di essere una mera prospettiva futura: è un presente trasformato.

Sfide attuali

Come possiamo parlare di resurrezione in un mondo secolarizzato? La sfida è rendere udibile questa promessa senza ridurla a una mera metafora. La fede cristiana non nega la realtà biologica della morte; proclama che è pervasa da una relazione d'amore più forte. Di fronte alla sofferenza o alle tragedie collettive, questa convinzione diventa un atto di resistenza spirituale.

Un'altra sfida: comprendere la vita eterna senza contrapporla alla vita terrena. Il credente non è un fuggitivo dal mondo, ma un testimone della sua trasfigurazione. La missione cristiana consiste nel fare di ogni incontro un luogo di risurrezione.

Di fronte alla tentazione della disperazione contemporanea, la fede nella risurrezione ci ricorda che tutta l'esistenza è chiamata alla bellezza. È quanto afferma Papa Francesco: «La speranza cristiana è audacia». Non rinnega le ferite del mondo, ma semina in esse la promessa dell'ultimo giorno.

«Chi crede nel Figlio ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno» (Giovanni 6:37-40)

Preghiera

Signore Gesù,
Tu che sei disceso dal cielo per compiere la volontà del Padre,
Accogli coloro che chiami alla vita eterna.
Veniamo a te con fiducia,
sapendo che non rifiuti nessuno.

Tu sei la Resurrezione e la Vita.
Quando i nostri cuori dubitano, ricordaci la tua promessa.
Quando la paura ci imprigiona, liberaci attraverso la fede.
Concedi alla tua Chiesa la grazia di annunciare con gioia questo mistero,
e affinché ciascuno di noi viva d'ora in poi alla luce dell'ultimo giorno.

Ricordate coloro che sono scomparsi.
Possano riposare nella tua pace,
e che un giorno possiamo essere riuniti nel tuo Regno.

Amen.

«Chi crede nel Figlio ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno» (Giovanni 6:37-40)

Conclusione

Credere nel Figlio significa entrare oggi nel movimento della risurrezione. Questo brano del Vangelo di Giovanni ci insegna che la fedeltà di Dio è più potente delle nostre paure. La vita eterna non è domani: si realizza già nell'amore ricevuto e donato.
Ogni atto di fiducia, ogni sguardo di speranza, ogni offerta quotidiana diventa una partecipazione alla vittoria di Cristo.

Accogliere questa promessa trasforma il nostro modo di vivere, di soffrire e di amare. Che questa parola ci accompagni nei giorni di luce e di notte: il Figlio ci risusciterà nell'ultimo giorno.

Pratico

  • Leggi Giovanni 6:37-40 ogni mattina per una settimana.
  • Individua un luogo o una relazione in cui puoi costruire una nuova fiducia.
  • Per collegare ogni difficoltà vissuta alla promessa del giorno finale.
  • Partecipare a una messa esprimendo un'intenzione per il defunto.
  • Meditando sulla parola "accoglienza": cosa implica per me?
  • Tieni un diario della speranza per registrare i segni di vita ricevuti.
  • Concludi ogni preghiera con "E io lo risusciterò dai morti".«

Riferimenti

  1. Vangelo secondo Giovanni, capitoli 6 e 11.
  2. Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 988-1019.
  3. Sant'Agostino, Omelie sul Vangelo di Giovanni.
  4. Ireneo di Lione, Contro le eresie, V, 36.
  5. Papa Francesco, Cristo Vivit, 2019.
  6. Liturgia di Tutti i Santi e funerali cristiani.
  7. Benedetto XVI, Spe Salvi, 2007.
  8. San Gregorio di Nissa, Sulla vita beata.

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