«Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino» (Mt 3,1-12)

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Vangelo di Gesù Cristo secondo San Matteo

In quei giorni apparve Giovanni Battista, che proclamava nel deserto della Giudea: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino». Giovanni è colui di cui parla il profeta Isaia: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!».

Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava locuste e miele selvatico. Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la regione lungo il Giordano accorrevano a lui, e si facevano battezzare da lui nel Giordano, confessando i loro peccati. Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere, chi vi ha insegnato come sfuggire all'ira imminente? Fate frutti degni di conversione. Non dite in voi stessi: "Abbiamo Abramo per padre", perché io vi dico che Dio può far sorgere una discendenza ad Abramo anche da queste pietre. Già la scure è posta alla radice degli alberi e ogni albero che non porta buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco‘.

»Io vi battezzo con acqua per la conversione; ma dopo di me viene uno che è più forte di me, al quale io non sono degno di sciogliere i sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Ha in mano il ventilabro, pulirà la sua aia e raccoglierà il suo grano nel granaio, ma brucerà la pula con fuoco inestinguibile».»

Abbracciare la conversione radicale: quando Giovanni Battista sfida le nostre certezze

Riscoprire l'urgenza spirituale di Avvento attraverso la predicazione profetica del deserto.

Nel deserto della Giudea, un grido risuona, echeggiando attraverso i secoli: "Pentitevi!". Non è un cortese suggerimento, ma un vibrante richiamo che scuote le fondamenta del nostro conforto spirituale. Giovanni Battista ci mette di fronte a una verità inquietante: il regno di Dio sta bussando alla porta, e potremmo non essere pronti. Questo messaggio, lungi dall'essere una polverosa reliquia del passato, pulsa di una bruciante attualità per la nostra vita oggi.

Inizieremo esplorando il contesto esplosivo della predicazione di Giovanni, per poi approfondire il suo messaggio di conversione, che rifiuta ogni compiacimento. Successivamente, scopriremo come questa chiamata plasma concretamente la nostra vita quotidiana, prima di coglierne il profondo significato teologico. Infine, affronteremo la resistenza contemporanea a questa richiesta radicale, concludendo con preghiera e azione.

Appare il profeta: Giovanni Battista nel suo ambiente spoglio

Giovanni Battista non apparve in un luogo qualsiasi o in un momento qualsiasi. Il deserto della Giudea, questa distesa arida a pochi chilometri da Gerusalemme, divenne il palcoscenico di una rivoluzione spirituale. Matteo colloca questo evento "in quei giorni", un'espressione volutamente vaga che crea un ponte tra i tempi antichi e i nostri. Il deserto non fu una scelta casuale: nella memoria ebraica, è il luogo dell'incontro con Dio, il luogo dell'Esodo in cui Israele fu forgiato in popolo.

Giovanni incarna una rottura totale con le strutture religiose consolidate. A differenza dei sacerdoti del Tempio con le loro sontuose vesti, indossa peli di cammello e una cintura di cuoio, proprio come il profeta Elia (2 Re 1,8). Non è una coincidenza: Giovanni si colloca deliberatamente all'interno della discendenza profetica. La sua dieta – locuste e miele selvatico – sottolinea il suo radicale distacco dalle convenzioni sociali. Vive di ciò che il deserto gli offre, completamente libero dai vincoli del sistema.

La citazione da’Isaia 40, Il punto che Matteo solleva riguardo a Giovanni 3 è fondamentale. Nel suo contesto originale, questo brano prediceva il ritorno dall'esilio in Babilonia, quando Dio avrebbe ricondotto il suo popolo a Gerusalemme. Matteo riutilizza questa profezia per annunciare un nuovo esodo, una nuova liberazione. Giovanni prepara la strada non per un re terreno, ma per il Signore stesso che viene a visitare il suo popolo. "Preparare la via" evoca i lavori stradali intrapresi prima della visita reale: gli ostacoli devono essere livellati, i burroni riempiti e le curve raddrizzate.

La folla che accorreva da Giovanni era sbalorditiva: «Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la regione del Giordano» accorrevano a lui. Questa iperbole matteana sottolinea lo straordinario impatto della sua predicazione. Le persone non venivano per semplice curiosità, ma come penitenti: venivano battezzate «confessando i loro peccati». Il battesimo di Giovanni non è il battesimo cristiano che conosciamo; è un atto profetico di purificazione che esprime pubblicamente un desiderio di cambiamento. L'acqua del Giordano, un fiume carico di simbolismo fin da Giosuè, diventa il luogo in cui Israele ricomincia la sua storia.

Ma poi l'atmosfera si indurisce. Compaiono i farisei e i sadducei, due gruppi religiosi opposti su quasi tutto ma uniti nella loro ambizione. Giovanni non usa mezzi termini: "Razza di vipere!". L'espressione è brutale, viscerale. Si riferisce a esseri velenosi e pericolosi, la cui natura stessa è corrotta. Questi leader religiosi potrebbero pensare di poter sfuggire al giudizio imminente con un semplice rituale, ma Giovanni smaschera la loro ipocrisia.

«Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino» (Mt 3,1-12)

Conversione o catastrofe: l'urgenza della scelta decisiva

Il messaggio di Giovanni è racchiuso in una frase esplosiva: "Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino". Analizziamo questa bomba teologica. Il verbo "convertitevi" traduce il greco metanoeite, che letteralmente significa "cambia la tua intelligenza", "trasforma il tuo modo di pensare". Non si tratta di un rimpianto superficiale o di un miglioramento estetico; è una rivoluzione interiore, un completo capovolgimento di prospettiva.

La "macchina" (gar (in greco) stabilisce una causalità logica: la conversione non è facoltativa, è resa necessaria dalla vicinanza del regno. E infatti, «il regno dei cieli è molto vicino» (uovaIl passato prossimo del verbo greco indica un'azione passata i cui effetti persistono. Il regno si è avvicinato e rimane vicino. È imminente, pressante, urgente. Non c'è più tempo da perdere a procrastinare.

Questa urgenza spiega la violenza dell'immagine usata da Giovanni. "La scure è alla radice degli alberi": non si tratta di una minaccia lontana, ma di un'azione continua. Il taglialegna è già lì, la scure è alzata. L'albero che non porta frutto verrà tagliato "e gettato nel fuoco". Giovanni non parla di un fuoco gentile e purificatore, ma di un fuoco distruttivo. L'immagine agricola è chiara: gli alberi sterili non hanno posto nel frutteto di Dio.

Ma cosa significa "produrre frutti degni di conversione"? Giovanni esige azioni concrete, trasformazioni visibili. Non basta dire "mi pento"; tutta la vita deve testimoniarlo. È qui che Giovanni mina la sicurezza religiosa degli ebrei del suo tempo: "Non crediate di dire tra voi: 'Abbiamo Abramo per padre'". L'appartenenza etnica o religiosa, per quanto legittima, non garantisce nulla. Dio può suscitare figli ad Abramo "da queste pietre".

Questa dichiarazione è rivoluzionaria. Giovanni annuncia che il criterio di appartenenza al popolo di Dio cambierà. Non sarà più la discendenza biologica, ma la conformità del cuore e della vita alla volontà divina. Le "pietre" – forse un'allusione ai Gentili, considerati duri e insensibili – possono diventare figli di Abramo attraverso la fede e la conversione. Paolo svilupperà magistralmente questa teologia in Romani 4 e Galati 3.

Il contrasto tra il battesimo di Giovanni e quello che amministrerà il Messia è impressionante. "Io vi battezzo con acqua per la conversione": Giovanni si presenta come un semplice servitore il cui gesto rituale richiede un cambiamento. Ma "colui che viene dopo di me è più potente di me e io non sono degno di portargli i sandali".«umiltà Jean raggiunse il suo apice. Togliersi i sandali era il lavoro di uno schiavo, e Jean si considera addirittura indegno di questo servizio minimo.

«Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco»: questa è la tremenda promessa. Il battesimo messianico non sarà un mero gesto simbolico esteriore, ma un'immersione totale nella potenza trasformante dello Spirito. Il «fuoco» qui ha una duplice funzione: purificazione e giudizio. Lo Spirito-fuoco consuma ciò che è impuro e illumina ciò che è vero. Questa promessa si compirà a Pentecoste, quando lingue di fuoco scenderanno sui discepoli.

L'immagine finale del ventilatore completa il quadro. Il contadino usa una pala per lanciare in aria il grano trebbiato: il vento porta via la pula leggera mentre il grano pesante ricade. Il Messia compirà questa selezione definitiva: il grano – coloro che hanno portato frutto – sarà «raccolto nel granaio», mentre la pula – gli sterili, gli ipocriti – sarà «bruciata nel fuoco inestinguibile». Questa terribile espressione evoca il giudizio finale, irrevocabile.

I tre pilastri della trasformazione autentica

Riconoscere onestamente la nostra vera condizione spirituale

Il primo passo per ogni vera conversione è superare la negazione. I farisei e i sadducei a cui si rivolge Giovanni illustrano perfettamente questa autocompiacimento religioso che ostacola ogni progresso spirituale. Si accostano al battesimo, forse per conformismo sociale o superstizione, ma senza riconoscere veramente il loro bisogno. Giovanni smaschera il loro inganno: credono di poter negoziare con Dio, presentando i loro titoli (discendenti di Abramo) come un passaggio sicuro.

Ripetiamo costantemente questo schema. Quante volte ci affidiamo alla nostra eredità cristiana, al battesimo ricevuto da bambini, alla nostra regolare partecipazione alla Messa, alla nostra generosità economica, come se queste cose ci esentassero da un confronto onesto con i nostri lati oscuri? Giovanni ci costringe ad affrontare i nostri compromessi, le nostre ipocrisie, la nostra durezza di cuore. Riconoscere i nostri peccati, come fecero coloro che accolsero il battesimo nel Giordano, significa accettare la vulnerabilità di una visione chiara e senza evasioni.

Questo riconoscimento non può essere superficiale. Richiede ciò che il Padri del deserto Lo chiamavano il "dono delle lacrime", questa capacità di piangere per la nostra condizione e per il male che abbiamo causato. Non si tratta di masochismo morboso; è una sofferenza feconda che apre la strada alla guarigione. Finché minimizziamo il nostro peccato, non possiamo ricevere la grazia. Come disse lui. Sant'Agostino "Dio dona dove trova mani vuote."«

Riconoscere onestamente la nostra condizione significa anche abbandonare i nostri paragoni confortanti. "Almeno io non sono come questo o quello" è una classica strategia farisaica. Giovanni non lascia spazio a questo relativismo morale. Davanti a Dio, siamo tutti chiamati allo stesso metro di santità. Il barometro non è la media dei comportamenti sociali, ma la perfezione dell'amore divino.

In termini pratici, questo potrebbe tradursi in un regolare esame di coscienza che non si limiti a elencare atti isolati, ma interroghi le nostre convinzioni più profonde. Dove mi porta veramente il cuore? Cosa sto realmente idolatrando, anche se professo di servire Dio? Quali relazioni ho avvelenato con il mio egoismo? In quali ambiti sono prigioniero delle opinioni altrui? Queste domande, poste nella preghiera, squarciano il velo dell'illusione.

Per produrre risultati tangibili che attestino il cambiamento interiore

Giovanni non esorta semplicemente al pentimento emotivo; invoca "frutti degni di conversione". Il singolare è significativo: si riferisce a un frutto completo che abbraccia tutta la nostra vita, non azioni isolate. Questo frutto si manifesta nel modo in cui trattiamo il nostro coniuge, gestiamo i nostri soldi, parliamo di coloro che ci hanno fatto del male, reagiamo all'ingiustizia e consideriamo i poveri.

I Vangeli sono pieni di esempi di frutti concreti. Zaccheo, che restituì quattro volte quanto aveva rubato (Luca 19). La peccatrice che lava i piedi di Gesù con le sue lacrime (Luca 7). Il figliol prodigo che ritorna da suo padre (Luca 15). Questi resoconti dimostrano che la conversione autentica si esprime attraverso gesti costosi, vere e proprie rinunce e riconciliazioni efficaci.

I nostri frutti sono particolarmente evidenti nelle relazioni orizzontali. Possiamo avere una vita di preghiera straordinaria ma trattare con disprezzo i nostri collaboratori domestici. Possiamo essere generosi con la Chiesa ma spietati con un debitore. Giovanni mette in luce queste incongruenze. Il frutto autentico è olistico: permea ogni aspetto della nostra esistenza. Come ha detto... San Giacomo «La fede senza le opere è morta» (Giacomo 2:17).

Produrre frutta implica anche pazienza E perseveranza. Un albero non diventa fruttuoso dall'oggi al domani. Ci sono stagioni di crescita invisibile, periodi di potatura dolorosa, periodi di siccità. La nostra cultura della gratificazione immediata ci rende impazienti con i nostri processi di trasformazione. Ma Dio, il paziente vignaiolo, opera a lungo termine. L'essenziale è che la traiettoria complessiva delle nostre vite si muova verso una maggiore conformità a Cristo.

In pratica, identifichiamo un'area concreta in cui la nostra conversione deve concretizzarsi. Forse è perdono donare a qualcuno che ci ha ferito profondamente. Forse è un cambiamento nella nostra gestione finanziaria per essere più generosi. Forse è la decisione di rompere una relazione tossica che ci allontana da Dio. Forse è l'impegno a dedicare tempo ai poveri. Il frutto della conversione ha un nome e un indirizzo specifico.

Per ricevere il battesimo nello Spirito e il fuoco che trasfigura

Giovanni annuncia che il Messia battezzerà "in Spirito Santo e fuoco". Questa promessa supera infinitamente ciò che possiamo realizzare con i nostri sforzi. La conversione, per essere completa, deve culminare in un incontro trasformante con lo Spirito vivente di Dio. Non siamo noi a essere trasformati dalla forza di volontà morale, ma lo Spirito che ci riconfigura dall'interno.

Il Battesimo nello Spirito si riferisce all'evento della Pentecoste, quando i discepoli, riuniti nel Cenacolo, vengono improvvisamente investiti da una potenza che li spinge a percorrere le strade di Gerusalemme per proclamare il Cristo risorto. Pietro, che aveva rinnegato Gesù con vigliaccheria, ora proclama con coraggio davanti alla folla. Questa trasformazione non è il risultato di un programma di crescita personale; è l'opera dello Spirito, che li infiamma.

La parola "fuoco" in questa espressione ha diverse risonanze. In primo luogo, è il fuoco purificatore che consuma le nostre impurità, proprio come l'oro viene purificato nel crogiolo. In secondo luogo, è il fuoco della passione e dello zelo per Dio che sostituisce la nostra tiepidezza. Infine, è il fuoco del giudizio che separa definitivamente ciò che appartiene a Dio da ciò che Gli resiste. Accettare questo battesimo richiede quindi una totale disponibilità, un'accettazione di morire a se stessi per rinascere a una vita nuova.

Nella tradizione cristiana, questo battesimo nello Spirito viene ricevuto sacramentalmente nella cresima, ma deve anche diventare una realtà esperienziale continua. Dobbiamo chiedere regolarmente di essere riempiti di nuovo dallo Spirito, perché siamo costantemente permeabili, come vasi che perdono. La preghiera del "Veni Creator Spiritus" o del "Veni Sancte Spiritus" non è un lusso per i mistici; è una necessità vitale per ogni cristiano che voglia vivere al di sopra delle proprie scarse risorse.

In termini pratici, come ci prepariamo a questo battesimo nello Spirito? Attraverso una preghiera di invocazione umile e persistente. i sacramenti, particolarmente l'Eucaristia che è sempre una nuova Pentecoste. Attraverso la docilità alle sollecitazioni interiori che percepiamo. Attraverso la frequentazione della Parola di Dio che è "ispirata" (teopneusto, (letteralmente "alitato da Dio"). Lo Spirito non si dona a chi lo manipola, ma a chi lo implora con fede.

«Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino» (Mt 3,1-12)

Quando la conversione plasma le nostre scelte quotidiane

L'appello di Giovanni alla conversione risuona in ogni ambito della nostra esistenza. Non si tratta di un adattamento superficiale, ma di una revisione completa delle nostre priorità, dei nostri valori e delle nostre relazioni. Esaminiamo concretamente come questa esigenza si manifesta.

Nelle nostre relazioni, la conversione si manifesta nella ricerca attiva della riconciliazione con coloro che abbiamo ferito o che ci hanno ferito. Giovanni invoca il frutto: forse il primo frutto è questo umile passo di chiedere perdono, di riconoscere i nostri torti senza giustificazione. È anche imparare a perdonare non una volta, ma "settanta volte sette", cioè senza limiti. Il risentimento trattenuto è l'albero sterile di cui parla Giovanni.

Nel nostro rapporto con il denaro e i beni materiali, la conversione richiede la liberazione dall'avidità e l'apertura alla generosità. "Non crediate di dire tra voi: 'Abbiamo Abramo per padre'" risuona con la nostra tendenza a trovare conforto nei nostri beni. La conversione ci spinge a chiederci: di cosa ho veramente bisogno? Cosa potrei condividere? In che modo il mio stile di vita riflette il Regno che viene? Il giovane ricco del Vangelo (Matteo 19) illustra tragicamente il rifiuto di portare questo frutto.

Nella nostra vita professionale, la conversione trasforma la nostra etica. Ci rende incapaci di scendere a compromessi con la disonestà, per quanto "meschina". Ci sensibilizza alla giustizia verso i nostri colleghi o dipendenti. Guida le nostre ambizioni: cerchiamo di servire o di dominare? Il denaro che guadagniamo è il risultato di un autentico contributo alla società o dello sfruttamento di un sistema ingiusto? Queste domande sono inquietanti, ma questo è esattamente il ruolo della predicazione profetica.

Nella nostra vita ecclesiale, la conversione ci libera dall'ipocrisia che Giovanni denuncia nei farisei. Smettiamo di recitare una parte la domenica e viviamo diversamente durante la settimana. Smettiamo di nasconderci dietro titoli ("Sono un chierichetto", "Faccio parte del consiglio parrocchiale") per evitare di esaminare il nostro cuore. La vera pietà è quella che traspare in tutta la nostra vita, non quella che si riduce a gesti rituali.

Infine, nella nostra vita civile e politica, la conversione ci rende profetici. Giovanni non esitò a denunciare l'ingiustizia e l'ipocrisia delle autorità religiose del suo tempo. Siamo pronti a prendere una posizione chiara contro le strutture di oppressione, anche a costo del nostro benessere o della nostra popolarità? Una neutralità compiacente non è un'opzione per coloro che hanno accolto il Regno che viene. Il nostro impegno per... giustizia sociale, per la dignità di migranti, Per la salvaguardia del creato, tutto questo fa parte dei "frutti degni di conversione".

Echi nella tradizione

La figura di Giovanni Battista ha affascinato i Padri della Chiesa e i teologi di tutte le epoche. Sant'Agostino, nei suoi sermoni su Avvento, Giovanni è presentato come la "voce" che scompare quando appare la "Parola". Giovanni è interamente orientato verso l'altro. La sua grandezza risiede proprio nel suo annientamento davanti a Cristo. Questa teologia della kenosi (vuoto) fa di Giovanni il modello per ogni ministro di Dio: diminuire affinché Cristo possa crescere.

I Padri greci, in particolare Giovanni Crisostomo, insistono sulla natura radicale della conversione (metanoiaPer loro, non si tratta semplicemente di un cambiamento etico, ma di una trasformazione ontologica. L'essere umano convertito diventa una "nuova creatura" (2 Corinzi 5:17). Il battesimo nello Spirito e nel fuoco realizza ciò che i riti di purificazione ebraici potevano solo abbozzare: una rigenerazione totale.

La tradizione monastica ha profondamente riflettuto sull'esperienza di Giovanni nel deserto. I monaci del IV secolo, in fuga nel deserto egiziano, si consideravano imitatori del Battista. Il deserto diventa il luogo del confronto con se stessi e con Dio, lontano dalle distrazioni e dai compromessi della società. È lì, nell'aridità, che il cuore umano si purifica e la voce di Dio può finalmente essere ascoltata. San Benedetto, Nella sua Regola, incoraggia i suoi monaci a considerare la Quaresima come un «ritorno al deserto» spirituale.

San Tommaso d'Aquino, nella sua Summa Theologica, Tommaso analizza meticolosamente il battesimo di Giovanni. Spiega che questo battesimo non era un sacramento in senso cristiano – non conferiva la grazia – ma un segno profetico che preparava i cuori. Il suo valore risiedeva nella disposizione interiore che suscitava. Tommaso sottolinea che il battesimo cristiano, d'altra parte, opera ex opere operato Comunica veramente la vita divina. Questa distinzione teologica non sminuisce l'importanza del battesimo giovanneo come pedagogia della conversione.

La teologia riformata, con Lutero e Calvino, apprezzò particolarmente l'invito di Giovanni a non fare affidamento su titoli religiosi. "Abbiamo Abramo per padre" risuona con la critica protestante del merito umano davanti a Dio. Solo la fede giustifica, non l'affiliazione istituzionale o la condotta morale. Giovanni proclama questa gratuità smascherando ogni autogiustificazione. Tuttavia, come sottolineano gli stessi riformatori, la fede autentica porta necessariamente frutto, esattamente ciò che Giovanni auspica.

La teologia della liberazione latinoamericana ha riscoperto la dimensione sociale della predicazione di Giovanni Battista. La sua denuncia delle autorità religiose corrotte, il suo appello a un cambiamento radicale di vita, la sua vicinanza agli emarginati (viveva nel deserto, fuori dal sistema) – tutto questo risuona con l'opzione preferenziale per i poveri. Gustavo Gutiérrez e Leonardo Boff hanno sottolineato che la conversione biblica non è mai puramente interiore: si incarna in scelte politiche ed economiche concrete.

Hans Urs von Balthasar, teologo cattolico contemporaneo, riflette sulla "santità kenotica" di Giovanni. Vede in lui l'archetipo del testimone che si annulla completamente di fronte alla testimonianza che rende. Questa abnegazione assoluta, lungi dall'essere autodistruzione, è la via maestra per la vera realizzazione. Perdendo la propria vita per Cristo, Giovanni la guadagna pienamente. Questo è il paradosso evangelico per eccellenza.

Traccia di meditazione

Per integrare esistenzialmente il messaggio di Giovanni, propongo un approccio meditativo in più fasi, da seguire nell'arco di diversi giorni o settimane.

Primo passo: entrare nel deserto interiore. Scegli un momento e un luogo di silenzio. Leggi lentamente Matteo 3:1-12. Immagina di essere tra la folla che corre verso Giovanni. Cosa ti attrae verso di lui? Quale grido interiore ti spinge a muoverti? Rimani con questa domanda senza cercare una risposta immediata.

Secondo passo: ascolta la voce che urla. Concentratevi sulla chiamata: "Pentitevi". Lasciate che questa parola risuoni dentro di voi. A cosa siete chiamati esattamente a convertirvi in questo momento della vostra vita? Non generalizzare; siate specifici. Forse emergerà un nome, una situazione o un'abitudine.

Terzo passo: riconosci i tuoi peccati. Come le folle che confessarono i propri peccati al battesimo, nominate umilmente davanti a Dio i vostri punti ciechi, la vostra resistenza, la vostra durezza. Non accontentatevi di frasi generiche. Dite la verità dal vostro cuore. Piangete se vi vengono le lacrime.

Quarto passo: identificare i falsi rifugi. Cosa nella tua vita gioca il ruolo del "abbiamo Abramo come padre"? Su cosa fai affidamento falsamente per rassicurarti davanti a Dio? La tua anzianità nella parrocchia? La tua generosità finanziaria? La tua conoscenza teologica? Lascia che John scuota queste false sicurezze.

Quinto passo: Immagina un frutto concreto. Se il tuo albero dovesse dare frutti degni di conversione, come sarebbero? Sii specifico. Forse si tratta di una riconciliazione da intraprendere, di una restituzione da fare, di un impegno da prendere, di una rottura con una situazione malsana. Decidi un'azione concreta.

Sesto passo: Implorare il battesimo nello Spirito. Riconosci la tua incapacità di trasformarti. Chiedi umilmente e fervidamente allo Spirito Santo di venire a battezzarti, di infiammarti e di purificarti. Usa la preghiera tradizionale: "Vieni, Spirito Santo, riempi i cuori dei tuoi fedeli e accendi in loro il fuoco del tuo amore".«

Settimo passo: decidere e agire. La meditazione che non conduce all'azione rimane sterile. Fai passi concreti, quindi, l'azione che hai identificato nel quinto passo. È difficile? È normale. Chiedi la grazia, ma fai il passo. Il regno di Dio è vicino; non c'è più tempo per esitare.

«Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino» (Mt 3,1-12)

Le attuali sfide di fronte alla chiamata giovannea

La nostra epoca presenta diverse forme specifiche di resistenza al messaggio di Giovanni Battista. Identifichiamole e delineiamo alcune possibili risposte.

Il relativismo morale prevalente Ciò rende difficile affermare che certi comportamenti siano oggettivamente sbagliati e meritevoli di conversione. Giovanni parla di "vipere", di alberi sterili gettati nel fuoco, di paglia bruciata. Questo linguaggio suona insopportabilmente duro in una cultura che valorizza la tolleranza assoluta. Come dovremmo rispondere? Distinguendo la persona dalle sue azioni. Amare qualcuno non implica approvare tutte le sue scelte. La verità è un atto d'amore, anche quando è destabilizzante. Come ha detto Benedetto XVI, "l'amore senza verità diventa sentimentalismo".

Individualismo contemporaneo Resiste all'idea di giudizio collettivo. "A ciascuno la sua verità, a ciascuno la sua strada" è il mantra moderno. Ma Giovanni annuncia un regno che verrà per tutti, con criteri oggettivi: portare frutto o essere abbattuti. Come possiamo sostenere questa universalità senza cadere nell'autoritarismo? Ricordando che la legge morale naturale, iscritta nel cuore umano, trascende le culture. Alcune cose sono vere per tutti non per imposizione arbitraria, ma perché corrispondono alla nostra natura più profonda, creata da Dio.

Conforto spirituale Questo è forse l'ostacolo principale. Siamo felici di avere un po' di religione per arricchire le nostre vite, ma non di una conversione radicale che capovolge tutto. Giovanni appare nel deserto, non in un accogliente soggiorno. La sua predicazione è dura, esigente. Richiede un cambiamento totale. Di fronte a questa resistenza, dobbiamo osare proclamare che... cristianesimo La spiritualità autentica non è una spiritualità supplementare, ma un dominio totale di Cristo sulla nostra esistenza. È tutto o niente. Come disse Gesù: "Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà" (Matteo 16:25).

Cultura terapeutica Trasforma il peccato in una mera disfunzione psicologica. Non parliamo più di conversione, ma di "sviluppo personale", "guarigione interiore" e "autorealizzazione". Queste realtà hanno il loro posto, ma non sostituiscono la metanoia biblica. Come possiamo reintegrare la dimensione del peccato senza sentirci morbosamente in colpa? Comprendendo che riconoscere il proprio peccato non significa odiare se stessi, ma vedersi per come si è, con lucidità e nella prospettiva dell'amore misericordioso di Dio. Il peccato non ha l'ultima parola; la grazia sì.

L'emergenza consumistica Paralizza l'urgenza del Vangelo. Siamo pressati da mille richieste superficiali, ma l'urgenza del Regno ci lascia indifferenti. "Il Regno dei Cieli è vicino", proclama Giovanni, ma viviamo come se non dovesse mai arrivare. Come possiamo riscoprire questa tensione escatologica? Meditando regolarmente sulla nostra mortalità. Moriremo, forse presto. Siamo pronti? Questa prospettiva, lungi dall'essere morbosa, è liberatoria. Ridimensiona le nostre ansie e ci riporta a ciò che è essenziale.

Preghiera di conversione e consacrazione

Signore Dio dei nostri padri, tu che hai mandato Giovanni nel deserto per preparare la via al tuo Figlio, eccoci davanti a te, con il cuore turbato e l'anima in cerca.

Riconosciamo la nostra lentezza nel convertirci, il nostro attaccamento alle nostre certezze, la nostra paura del cambiamento radicale che tu esigevi. Come i farisei e i sadducei, abbiamo spesso cercato di negoziare compromessi con te, di presentare i nostri titoli piuttosto che i nostri cuori.

Perdonaci per aver riposto la nostra fiducia nel nostro patrimonio spirituale, nelle nostre pratiche religiose, nelle nostre buone opere, come se tutto ciò potesse esentarci dall'umile riconoscimento della nostra miseria. Ci siamo detti: "Siamo battezzati, siamo credenti", pensando che questo fosse sufficiente.

Confessiamo davanti a te i nostri alberi sterili: quelle relazioni che abbiamo avvelenato con il nostro egoismo, quelle parole offensive che abbiamo pronunciato senza pentimento, quelle ingiustizie che abbiamo tollerato con il nostro silenzio, quelle povere persone che abbiamo ignorato, quei perdoni che abbiamo rifiutato.

Riconosciamo i nostri falsi rifugi: il denaro che ci rassicura più della tua provvidenza, l'opinione degli altri che ci preoccupa più del tuo giudizio, il conforto che ci sostiene più della tua volontà.

Signore, come il tuo servo Giovanni gridò nel deserto, fa' che la tua Parola gridi nei nostri deserti interiori. Risvegliaci dal nostro sonno spirituale. Scrollaci di dosso le nostre false sicurezze. Infiammaci con il tuo fuoco purificatore.

Ti imploriamo: battezzaci nel tuo Santo Spirito e nel tuo fuoco. Vieni e consuma in noi tutto ciò che non è tuo. Vieni e accendi in noi l'ardente desiderio della tua santità. Vieni e trasforma i nostri cuori di pietra in cuori di carne.

Donaci il coraggio di produrre frutti degni di conversione. Aiutaci a compiere azioni concrete che testimonino il nostro cambiamento: questa riconciliazione che temiamo, questo perdono che rifiutiamo, questa generosità che ci costa, questo impegno che ci spaventa.

Rendici simili a Giovanni: totalmente liberi dalle omologazioni umane, radicalmente orientati verso di te, capaci di diminuire affinché Cristo cresca, pronti a rendere testimonianza alla verità a qualunque costo.

Che la tua ascia tagli tutto ciò che è morto, sterile e marcio dentro di noi. Che il tuo fuoco consumi la nostra pula: le nostre pretese, le nostre ipocrisie, la nostra tiepidezza. Che la tua pala vagli la nostra esistenza per separare il grano dalla pula.

*Oggi ti dedichiamo questi ambiti specifici della nostra vita nei quali ci chiami alla conversione: (silenzio affinché ognuno possa nominarlo internamente).

Rafforza la nostra volontà vacillante. Sostieni le nostre fragili risoluzioni. Accompagna i nostri primi passi esitanti. E quando cadremo – perché cadremo – rialzaci nella tua infinita misericordia.

Rendici voci che gridano nel deserto di questo mondo: «Preparate la via del Signore!». Rendici profetici nelle nostre parole e nelle nostre vite. Che le persone, vedendoci vivere, riconoscano che il regno di Dio è veramente vicino.

Per Cristo nostro Signore, che viene e battezza con lo Spirito Santo e il fuoco. Amen.

«Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino» (Mt 3,1-12)

Il regno bussa alla porta, apriamola!

Siamo giunti alla fine del nostro viaggio con Giovanni Battista, ma in realtà siamo all'inizio di un cammino di conversione che non si esaurisce mai al di qua dell'eternità. Il messaggio del profeta del deserto risuona con rinnovata urgenza nel nostro mondo contemporaneo. "Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino" non è un reperto archeologico, ma un appello ardente per l'oggi.

Abbiamo visto che un'autentica conversione richiede tre movimenti inseparabili: riconoscere onestamente la nostra reale condizione spirituale senza nasconderci dietro titoli o esibizioni religiose; produrre frutti tangibili che attestino il cambiamento interiore in tutte le sfere della nostra esistenza; accogliere il battesimo nello Spirito e il fuoco che solo può trasfigurarci al di là delle nostre limitate capacità.

Questa conversione non è un evento una tantum, ma un processo continuo. Ogni giorno siamo chiamati a scegliere nuovamente il regno di Dio, ad allontanarci dai nostri idoli, a lasciarci purificare dal fuoco dello Spirito. Gli ostacoli sono molti – relativismo, individualismo, conforto spirituale, cultura terapeutica – ma la grazia di Dio è più forte di ogni nostra resistenza.

Il regno dei cieli rimane "molto vicino". Questa vicinanza è sia una promessa che una minaccia. Una promessa perché Dio viene a salvarci, liberarci e trasformarci. Una minaccia perché il suo arrivo affronta i nostri compromessi, giudica la nostra sterilità e consuma le nostre ipocrisie. Non possiamo rimanere neutrali o tiepidi. O accogliamo attivamente questo regno attraverso una conversione radicale, o lo rifiutiamo passivamente per inerzia, e allora rischiamo di essere abbattuti come l'albero sterile.

Il tempo di Avvento Il momento in cui entriamo con questo testo è proprio il tempo liturgico in cui la Chiesa ci invita a preparare la strada, a raddrizzare i nostri sentieri, a renderci pronti per la venuta del Signore. Non lasciamoci sfuggire questa occasione di grazia. Individuiamo un ambito specifico della nostra vita che richiede conversione e agiamo con decisione nei prossimi giorni.

L'ultima chiamata è semplice ma impegnativa: apriamo la porta dei nostri cuori al Re che viene. Spazziamo via i nostri pesi e le nostre resistenze davanti a Lui. Accendiamo lampade sul suo cammino attraverso le nostre opere di carità e giustizia. E quando arriverà, possiamo essere trovati vigili, fecondi e infiammati dal suo Spirito.

Azione immediata: sette passi concreti

  • Dedica trenta minuti questa settimana a un esame di coscienza approfondito alla presenza del Signore, individuando con precisione un'area che richiede una conversione radicale nella tua vita attuale.
  • Intraprenderai un processo di riconciliazione con una persona che hai ferito o che ti ha ferito, anche se ti costa umanamente, perché il frutto della conversione si manifesta prima di tutto nelle nostre relazioni.
  • Identificare un "falso rifugio"« su cui fai eccessivo affidamento per rassicurarti davanti a Dio e decidi di compiere un atto simbolico che manifesti la tua rinuncia a questa sicurezza illusoria.
  • Prega ogni giorno durante Avvento la sequenza «Veni Sancte Spiritus» per implorare il battesimo nello Spirito e il fuoco che trasforma i nostri cuori oltre le nostre capacità naturali.
  • Scegli un impegno concreto per la carità o la giustizia Nelle settimane che precedono Natale: visitare una persona malata isolata, fare una donazione significativa a un ente di beneficenza, fare volontariato con i bisognosi, partecipare a una campagna di sensibilizzazione.
  • Pratica il "deserto interiore"« isolandosi volontariamente da certi stimoli superflui (social network, televisione, consumismo compulsivo) per creare uno spazio di silenzio in cui si possa ascoltare la voce di Dio.
  • Condividi con almeno una persona il vostro cammino di conversione e chiedetegli di accompagnarvi con la preghiera e l'incoraggiamento fraterno, perché non ci convertiamo mai da soli, ma sempre nella Chiesa.

Riferimenti

Scritture : Isaia 40, 1-11 (consolazione e preparazione al ritorno); Luca 3, 1-18 (versione lucana della predicazione di Giovanni); ; Giovanni 1, 19-34 (Testimonianza di Giovanni su Cristo); ; Atto 2, 1-13 (compimento della promessa del battesimo nello Spirito a Pentecoste).

Padri della Chiesa : Sant'Agostino, Sermoni su Avvento ; San Giovanni Crisostomo, Omelie su Matteo ; San Gregorio Nazianzeno, Discorso sul battesimo.

Teologia classica : San Tommaso d'Aquino, Summa Theologica, III, domande 38-39 (su Giovanni Battista e il suo battesimo); Hans Urs von Balthasar, Il Vangelo come criterio e critica di ogni spiritualità nella Chiesa.

Letteratura spirituale Charles de Foucauld, Meditazioni sui Santi Vangeli ; Dietrich Bonhoeffer, Il prezzo della grazia (sulla conversione costosa contro la grazia a buon mercato); Thomas Merton, Semi di contemplazione (nel deserto interno).

Magistero contemporaneo Benedetto XVI, Esortazione apostolica Verbum Domini (2010), paragrafi sulla conversione alla Parola; Francesco, Esortazione apostolica Evangelii Gaudium (2013), capitoli sulla trasformazione missionaria della Chiesa.

Opere contemporanee Romano Guardini, Il Signore, Meditazioni sulla figura di Cristo; Timothy Keller, La ragione appartiene a Dio (dialogo con lo scetticismo contemporaneo sui temi del giudizio e della conversione).

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