Vangelo di Gesù Cristo secondo San Matteo
In quel tempo, Gesù camminava e due ciechi lo seguirono, gridando: «Abbi pietà di noi, figlio di Davide!» Entrato in casa, i ciechi gli si avvicinarono e Gesù chiese loro: «Credete che io possa fare questo?». Gli risposero: «Sì, Signore». Allora toccò loro gli occhi e disse: «Avvenga per voi secondo la vostra fede». Allora si aprirono loro gli occhi e Gesù li ammonì dicendo: «Badate che nessuno lo senta!». Ma essi, usciti, diffusero la notizia del suo operato in tutta la regione circostante.
Aprire gli occhi della fede: quando credere precede la guarigione
Come l'incontro tra due ciechi e Gesù rivela il cammino verso una visione trasformata di Dio, di se stessi e del mondo.
Due uomini gridano per le strade, inseguendo un rabbino itinerante che non riescono a vedere. La loro cecità fisica maschera una sorprendente chiarezza spirituale: riconoscono Gesù come il Messia ancor prima di essere guariti. Questo brano di Matteo 9 capovolge le nostre certezze sulla fede, la preghiera e la trasformazione. Ci invita a esaminare la nostra cecità e a scoprire che la vera visione inizia sempre con un atto di fiducia che precede l'ovvio.
Questo articolo esplora la dinamica paradossale della fede che vede prima di vedere. Scopriremo come questi uomini ciechi ci insegnino la perseveranza nella preghiera, l'importanza della confessione pubblica e l'audacia di credere contro ogni apparenza. Vedremo anche perché Gesù chiede il silenzio e come questa tensione tra annuncio e discrezione illumini la nostra testimonianza oggi.
Lo sfondo di un incontro decisivo
Questo racconto si inserisce in una sequenza di miracoli che scandiscono il ministero di Gesù in Galilea secondo Matteo. Dopo aver risuscitato la figlia di Giairo e guarito la donna emorragica, l'evangelista presenta questa duplice guarigione del cieco come una dimostrazione progressiva dell'autorità messianica di Cristo. Il contesto storico e letterario rivela diverse dimensioni essenziali.
Matteo struttura il suo Vangelo attorno a cinque grandi discorsi e sezioni narrative che illustrano gli insegnamenti di Gesù. Nel capitolo 9, ci troviamo in una fase in cui l'opposizione delle autorità religiose inizia a consolidarsi, mentre le folle si meravigliano delle opere del Nazareno. La guarigione del cieco avviene poco prima della chiamata dei dodici apostoli e del loro invio in missione, creando così un ponte tra la manifestazione personale del Messia e l'estensione del suo ministero da parte dei suoi discepoli.
L'ambiente culturale della Palestina del I secolo attribuiva particolare importanza alla cecità. I ciechi costituivano un gruppo sociale emarginato, spesso ridotto all'accattonaggio, ed erano considerati portatori di una maledizione divina secondo alcune interpretazioni restrittive della Torah. Questa visione teologica della cecità come punizione per il peccato permeava le mentalità, sebbene i testi dell'Antico Testamento offrissero una prospettiva più sfumata.
L'uso del titolo "Figlio di Davide" rivela una notevole consapevolezza messianica tra questi mendicanti. Nella tradizione ebraica, questo titolo designava il Messia atteso, il re davidico che avrebbe restaurato Israele. Usandolo, i ciechi dimostrano una comprensione teologica che persino i discepoli di Gesù avrebbero impiegato tempo per comprendere appieno. Riconoscono in questo rabbino itinerante il compimento delle promesse ancestrali, colui che avrebbe portato liberazione e guarigione.
L'ambientazione geografica rimane volutamente vaga in questo brano. Matteo non specifica in quale città si svolga la scena, focalizzando l'attenzione sulla dinamica relazionale piuttosto che sui dettagli topografici. Questa vaghezza universalizza la narrazione: può verificarsi ovunque persone sofferenti cerchino con determinazione Gesù. La "casa" menzionata diventa così uno spazio simbolico, un luogo di intimità dove può avvenire un vero incontro con Cristo, lontano dal tumulto della folla.
La struttura narrativa della fede in azione
La narrazione si sviluppa in una drammatica progressione in quattro parti che rivela la pedagogia divina. Questa struttura narrativa non è casuale, ma trasmette intrinsecamente un insegnamento sulla natura della fede e della guarigione spirituale.
In primo luogo, l'inseguimento persistente. Due ciechi seguono Gesù, gridando. Il verbo greco usato per "seguire" è lo stesso che altrove designa il discepolato. Matteo suggerisce quindi che questi uomini, nella loro disabilità, stiano già compiendo un atto di fede radicale seguendo qualcuno che non possono vedere. Il loro grido ripetuto, "Abbi pietà di noi, Figlio di Davide", struttura la loro supplica secondo una formula liturgica che ricorda i salmi di lamentazione. Non chiedono esplicitamente la guarigione, ma invocano misericordia divino, riconoscendo implicitamente la loro totale dipendenza.
Seconda parte: l'ingresso in casa e la domanda di Gesù. Cristo non risponde immediatamente alle grida dei ciechi per strada. Questo apparente ritardo non è indifferenza, ma un approccio pedagogico. Permette ai due uomini di dimostrare la loro perseveranza e il loro profondo desiderio. Una volta entrati nell'intimità della casa, Gesù pone una domanda sconcertante: "Credi che io possa fare questo?". Questa domanda non ha lo scopo di ottenere informazioni che Gesù potrebbe non conoscere, ma di suscitare un'esplicita confessione di fede. Il Signore si aspetta sempre una risposta personale, un impegno del cuore che vada oltre la mera speranza di un beneficio materiale.
Terza fase: la confessione e il gesto di guarigione. La risposta del cieco è breve ma decisa: "Sì, Signore". Questo doppio titolo, "Signore", aggiunge una dimensione di autorità divina al riconoscimento messianico ("Figlio di Davide"). Gesù tocca poi i loro occhi, accompagnando questo gesto con una parola creativa: "Avvenga per voi secondo la vostra fede". Questa formulazione rivela il principio teologico centrale del brano. La fede non è una forza magica che costringe Dio, ma lo spazio di fiducia che permette al potere divino di operare. Il miracolo attualizza una possibilità che la fede ha già reso reale nel regno spirituale.
Quarto momento: l'ordine di tacere e la sua trasgressione. Gesù ordina fermamente agli uomini guariti di non parlare con nessuno. Questa prescrizione, tipica del "segreto messianico" di Matteo, crea una tensione drammatica. I due uomini disobbediscono immediatamente e parlano di Gesù in tutta la regione. Questa disobbedienza paradossale solleva la questione dell'autentica testimonianza: come si può tacere quando si è stati trasformati dall'incontro con Cristo? Tuttavia, il testo non presenta il loro annuncio come un modello da seguire, suggerendo un'ambiguità riguardo alle forme appropriate di testimonianza.

Il paradosso della fede che vede prima di vedere
La prima importante dimensione teologica di questo brano risiede nell'inversione che opera tra visione fisica e spirituale. I ciechi vedono spiritualmente prima di vedere fisicamente, mentre tanti personaggi dei Vangeli vedono Gesù con i loro occhi senza riconoscerlo veramente.
Questo rovesciamento rivela che la cecità fisica non è mai, nella prospettiva evangelica, un ostacolo assoluto alla conoscenza di Dio. Al contrario, può diventare fonte di una particolare lucidità. Privati della vista ordinaria, questi uomini sviluppano una percezione interiore che permette loro di discernere l'identità profonda di Gesù. Chiamano "Figlio di Davide" colui che gli scribi e i farisei, nonostante la loro erudizione scritturale, non riconoscono ancora. La loro disabilità diventa così paradossalmente un'apertura privilegiata alla rivelazione.
Questa dinamica percorre tutta la Scrittura. Il profeta Isaia aveva già predetto: «In quel giorno i sordi udranno le parole del libro, e liberati dall'oscurità e dalle tenebre, gli occhi dei ciechi vedranno» (Sono 29,18). La tradizione profetica associava il recupero della vista ai tempi messianici, segno che Dio stesso stava venendo a visitare il suo popolo. Guarendo il cieco, Gesù adempì queste profezie, ma lo fece in un modo che rivelava che la guarigione più fondamentale riguarda gli occhi del cuore.
Paolo sviluppa questa teologia della visione interiore nelle sue lettere. Prega affinché gli Efesini ricevano «uno spirito di sapienza e di rivelazione, perché possiate conoscerlo meglio; e gli occhi del vostro cuore siano illuminati per vedere la speranza alla quale vi ha chiamati» (Efesini 1:17-18). La vera cecità, in questa prospettiva, non è l'assenza di percezione visiva, ma l'incapacità di riconoscere l'azione di Dio e l'identità di Cristo.
Il brano di Matteo ci mette quindi di fronte alla nostra cecità. Quante volte vediamo senza vedere, guardiamo senza percepire? Possiamo possedere una conoscenza teorica impressionante della dottrina cristiana pur rimanendo ciechi alla presenza viva di Cristo nella nostra vita quotidiana. Possiamo moltiplicare le esperienze religiose senza mai riconoscere veramente chi è Colui che affermiamo di seguire. I ciechi di Cafarnao ci insegnano che esiste una visione più profonda della vista, una conoscenza che precede la percezione sensoriale.
La confessione della fede come atto creativo
La seconda dimensione teologica esplora il ruolo della confessione di fede nell'opera di guarigione. Gesù non guarisce i ciechi prima di aver ricevuto la loro risposta alla sua domanda: "Credi tu che io possa fare questo?". Questa domanda fa sì che la guarigione non sia un atto unilaterale del potere divino, ma una cooperazione tra la grazia offerta e la fede che la riceve.
La fede, nella teologia biblica, non è mai una mera adesione intellettuale a verità dottrinali. È prima di tutto una relazione di fiducia, un abbandonarsi nelle mani di un Altro riconosciuto come degno di totale fiducia. I ciechi manifestano questa fede relazionale seguendo Gesù senza vederlo, attribuendogli titoli che rivelano il riconoscimento della sua autorità unica e accettando di seguirlo fino alla casa dove avrà luogo l'incontro decisivo.
Ma Gesù chiede più di una fiducia implicita. Suscita una confessione esplicita, una parola che impegna. "Credi che io possa fare questo?". Questa domanda esige una risposta personale, una posizione chiara. Non c'è spazio per ambiguità o mezze misure. Bisogna dire sì o no, affermare pubblicamente la propria convinzione che Gesù ha il potere di trasformare la situazione. Questa parola di fede diventa essa stessa creativa, aprendo lo spazio in cui il miracolo può verificarsi.
L'affermazione finale di Gesù conferma questa dinamica: "Sia fatto a voi secondo la vostra fede". Questa affermazione non significa che la fede umana produca risultati meccanicamente, come se potessimo manipolare Dio attraverso tecniche spirituali. Piuttosto, rivela che la fede è il luogo dell'alleanza, lo spazio relazionale in cui il potere divino può essere liberamente esercitato perché incontra una fiducia ricettiva. La fede non è la causa efficiente del miracolo, ma la sua causa abilitante, che lo rende possibile creando le condizioni per un incontro autentico.
Questa teologia della confessione di fede percorre tutto il Nuovo Testamento. Gesù dichiara altrove: "Se puoi credere, ogni cosa è possibile a chi crede" (Marco 9:23). Paolo afferma che "con il cuore si crede per ottenere la giustizia, e con la bocca si fa professione di fede per ottenere la salvezza" (Romani 10:10). Giacomo sottolinea che "la preghiera fatta con fede salverà il malato" (Giacomo 5:15). La confessione di fede non è quindi un accessorio facoltativo, ma un elemento costitutivo del processo di guarigione e salvezza.
La perseveranza nella preghiera come cammino di maturazione
La terza dimensione teologica esamina il tema della perseveranza. I ciechi non si limitano a lanciare un appello silenzioso. Gridano, seguono Gesù nonostante gli ostacoli, persistono anche quando il Signore non risponde immediatamente. Questa ostinazione rivela una qualità essenziale della fede autentica: non cedere allo scoraggiamento di fronte a un'apparente mancanza di risposta.
Cristo insegna altrove questa necessità di perseverare nella preghiera attraverso diverse parabole. L'amico sgradito che bussa alla porta nel cuore della notte finché non ottiene ciò che vuole (Luca 11,5-8), la vedova che perseguita il giudice ingiusto finché non le concede giustizia (Luca 18,(I versetti 1-8) illustrano lo stesso principio. Dio non sempre risponde immediatamente alle nostre preghiere, non per indifferenza ma per amore di insegnamento. Il ritardo ci permette di chiarire il nostro desiderio, di purificare la nostra richiesta, di passare da una semplice richiesta egoistica a una vera ricerca di Dio stesso.
I ciechi gridano per strada, ma le loro preghiere non vengono esaudite immediatamente. Gesù entra in una casa e non impedisce loro di seguirlo. Questo movimento spaziale simboleggia una progressione spirituale: da un grido pubblico a un incontro intimo, da un appello collettivo a una risposta personale. La preghiera persistente ci conduce dall'esterno all'interno, dalla superficie alle profondità, dalla richiesta alla relazione.
Questa perseveranza non è testardaggine o cieca ostinazione. Piuttosto, dimostra una profonda convinzione che Gesù può e vuole rispondere. I ciechi non cambiano idea, non cercano un altro guaritore e non si rassegnano al loro destino. Credono che il Figlio di Davide abbia il potere di salvarli e si aggrappano a questa certezza nonostante il silenzio iniziale. La loro fede non è scossa dalla mancanza di una risposta immediata perché si basa sull'identità di Gesù piuttosto che sull'ottenimento di un risultato specifico.

Applicazioni per la nostra vita spirituale oggi
Questi insegnamenti teologici trovano concreta applicazione in diversi ambiti della nostra vita cristiana. Non rimangono pie astrazioni, ma diventano percorsi pratici per approfondire il nostro rapporto con Cristo.
Nella nostra vita di preghiera, l'esempio dei ciechi ci chiama ad abbandonare preghiere tiepide e distanti. Quante volte mormoriamo richieste distratte senza credere veramente che Dio interverrà? Quante volte preghiamo per abitudine, per obbligo, senza un reale impegno nel nostro desiderio? I ciechi gridano, persistono e insistono. La loro preghiera è urgente, personale e fiduciosa. Non recitano una formula appresa, ma esprimono un bisogno vitale. La nostra preghiera dovrebbe riscoprire questa intensità, questa convinzione che Gesù può trasformare la nostra situazione.
Nel nostro rapporto con la fede, questo brano ci libera dall'illusione che dobbiamo prima comprendere per poi credere. I ciechi credono prima di vedere, confessano prima di essere guariti. Questa sequenza controintuitiva rivela che la fede autentica precede sempre la prova. Viviamo in una cultura che esige dimostrazioni prima dell'impegno, garanzie prima della fiducia. Il Vangelo capovolge questa logica: ci invita a dire di sì nell'oscurità, a confessare la nostra convinzione prima che l'evidenza diventi evidente. Questa fede precede e prepara l'esperienza della trasformazione.
Nella nostra testimonianza, la tensione tra il silenzio richiesto e l'annuncio dei guariti ci interpella. Gesù comanda la discrezione, ma il cieco non può tacere. Questa dialettica rivela che la vera testimonianza scaturisce da un'irrefrenabile trasformazione interiore. Non rendiamo testimonianza strategicamente o per obbligo morale, ma perché siamo stati toccati da Cristo e questo incontro trabocca naturalmente dalle nostre labbra. Allo stesso tempo, Gesù ci ricorda che la testimonianza più autentica non è sempre quella più forte. C'è un annuncio silenzioso, una luminosità discreta che può essere più potente di qualsiasi discorso.
Nelle nostre relazioni comunitarie, la dinamica collettiva merita attenzione. Matteo menziona due ciechi, mentre Marco ne presenta solo uno. Questa pluralità suggerisce che la fede è spesso vissuta in comunione, che abbiamo bisogno gli uni degli altri per mantenere la fiducia nei momenti difficili. I due uomini si sostengono a vicenda nella loro ricerca di Gesù, si rafforzano a vicenda nelle loro convinzioni e professano insieme la loro fede. La nostra vita cristiana non è un'avventura solitaria, ma un cammino comunitario in cui ci incoraggiamo a vicenda a continuare a credere nonostante gli ostacoli.
La tradizione patristica e la teologia dell'illuminazione
I Padri della Chiesa hanno meditato su questo brano con una profondità che arricchisce notevolmente la nostra comprensione. Origene di Alessandria, nel III secolo, sviluppò un'interpretazione allegorica in cui la cecità fisica simboleggia la cecità spirituale dell'umanità decaduta. Per lui, tutti gli esseri umani nascono ciechi alla verità divina e hanno bisogno di Cristo, la luce del mondo, per ricevere la visione spirituale. Il tocco degli occhi di Gesù prefigura il battesimo, il sacramento dell'illuminazione che apre gli occhi del cuore alla realtà del Regno.
Agostino d'Ippona, nel V secolo, medita a lungo sul tema del desiderio in questo brano. I ciechi manifestano un intenso desiderio, una sete ardente di guarigione che li spinge a superare ogni ostacolo. Per Agostino, questo stesso desiderio è già opera della grazia. Dio coltiva il desiderio in noi prima di realizzarlo, preparando i nostri cuori a ricevere ciò che Egli vuole donarci. La preghiera insistente dei ciechi rivela che Dio è già all'opera in loro ancor prima del miracolo visibile. Il santo vescovo scrive nelle sue Confessioni che i nostri cuori sono inquieti finché non riposano in Dio, illustrando questa stessa dinamica del desiderio creato e realizzato dalla grazia.
Giovanni Crisostomo, patriarca di Costantinopoli nel IV secolo, sottolineò il metodo di insegnamento graduale di Gesù. Il Signore non rispose immediatamente alle grida dei ciechi per diversi motivi: per mettere alla prova la loro fede, per insegnare loro pazienza, per condurli verso un incontro più intimo. Crisostomo sottolinea anche la saggezza della domanda: "Credi che io possa fare questo?". Non che Gesù ignori i loro pensieri, ma vuole rendere esplicita la loro fede, per farli passare da una vaga speranza a una chiara confessione. Questa pedagogia divina rispetta la libertà umana guidandola verso una decisione personale.
La teologia orientale sviluppa in particolare il tema dell'illuminazione. La guarigione del cieco diventa un tipo, una figura del battesimo inteso come "photismos", illuminazione. San Gregorio Nazianzeno parla del battesimo come di un sigillo luminoso, un segno di luce che trasforma radicalmente il battezzato. Il neofita passa dalle tenebre alla luce meravigliosa di Dio, ricevendo una nuova visione che gli permette di percepire la realtà spirituale invisibile agli occhi della carne. Questa teologia dell'illuminazione battesimale risuona profondamente con il racconto di Matteo.
Anche la tradizione latina medievale sfrutta il simbolismo digitale. San Bernardo di Chiaravalle medita sul fatto che ci sono due ciechi, vedendo in ciò un riferimento ai due comandamenti dell'amore: amare Dio e amare il prossimo. La cecità spirituale consiste proprio nell'incapacità di vedere Dio e di riconoscere il volto di Cristo nei fratelli. La guarigione restituisce questa duplice visione, permettendoci di contemplare la gloria divina e di discernere la presenza del Signore in ogni persona umana.
Un percorso di meditazione in sei fasi
Per integrare personalmente questo vangelo, seguire un percorso meditativo strutturato aiuta a passare dalla comprensione intellettuale all'esperienza interiore.
Fase 1: Identifica i tuoi punti ciechi. Prenditi un momento di silenzio per riconoscere onestamente i punti ciechi della tua vita. Dove non vedo chiaramente? Quali aspetti della mia vita brancolano nel buio? Potrebbero essere relazioni bloccate, scelte di carriera incerte, questioni di fede irrisolte o ferite non guarite. Dai un nome preciso a questi punti ciechi, senza minimizzarli o drammatizzarli.
Fase 2: Incamminarsi verso Gesù. Immagina concretamente cosa significhi seguire Cristo nella mia situazione attuale. I ciechi inseguirono Gesù senza vederlo, guidati dalla sua voce e dalla sua fama. Anch'io devo accettare di camminare verso di Lui con i mezzi a mia disposizione, anche quando tutto non è chiaro. Questo cammino può assumere la forma di una preghiera regolare, di una lettura assidua della Scrittura, di un coinvolgimento comunitario o di un processo di riconciliazione.
Passo 3: Grida la mia supplica. Osare esprimere la mia richiesta con intensità, senza falsa modestia o eccessiva moderazione. "Abbi pietà di me, Figlio di Davide". Ripeti questa invocazione più volte, lasciala scendere dalla mia testa al mio cuore, caricala di tutto il mio desiderio di trasformazione. Accetta di essere un mendicante davanti a Dio, riconosci la mia radicale dipendenza, la mia povertà essenziale.
Fase 4: Entrare nell'intimità. Passare dal clamore pubblico all'incontro personale. I ciechi seguirono Gesù in casa. Anch'io devo accettare di uscire dal trambusto, di abbandonare le distrazioni, per entrare in uno spazio di intimità con il Signore. Potrebbe essere un ritiro spirituale, una cappella silenziosa, un angolo della mia stanza trasformato in un luogo di preghiera. L'essenziale è creare le condizioni per un incontro personale con Cristo.
Passo 5: Rispondere alla Sua Domanda. Lascia che Gesù mi ponga la Sua domanda: "Credi che io possa farlo?". Non rispondere troppo in fretta per abitudine o per cortesia. Approfondisci i miei dubbi, le mie paure, le mie esitazioni. Poi, al di là di queste resistenze, trova dentro di te quel nucleo di fiducia che può dire: "Sì, Signore, credo che tu possa". Pronuncia questa confessione ad alta voce, o anche scrivila, per ancorarla alla realtà.
Fase 6: Ricevere il tocco e accettare la trasformazione. Aprirmi all'azione di Gesù, accettare che Lui tocchi i punti ciechi della mia vita. Questa guarigione potrebbe non essere istantanea o spettacolare. Potrebbe svolgersi gradualmente, in tocchi successivi. Ma posso già anticipare la nuova visione che mi è promessa, prepararmi a vedere in modo diverso, a riconoscere la presenza di Dio dove prima non la percepivo.

Le sfide contemporanee della fede senza vedere
La nostra era postmoderna pone sfide specifiche alla fede dei ciechi. Diversi ostacoli culturali e spirituali complicano la nostra capacità di credere prima di vedere, di confessare prima di ricevere.
La prima sfida è la richiesta di prove tangibili. Viviamo in una civiltà scientifica che valorizza la verifica empirica, la riproducibilità e la misurazione oggettiva. Questa epistemologia ha prodotto notevoli progressi nelle scienze naturali, ma diventa problematica quando pretende di essere l'unica via per accedere alla realtà. La fede biblica non si oppone alla ragione, ma riconosce modalità di conoscenza che vanno oltre la pura dimostrazione logica. Credere che Gesù possa guarirci prima di vederne il risultato si scontra con la nostra mentalità contemporanea. Eppure, ogni relazione autentica, ogni impegno profondo, richiede questo tipo di fiducia anticipata. Non possiamo amare, sposarci o avere figli pretendendo prima la prova assoluta che tutto andrà bene.
La seconda sfida è la proliferazione delle offerte spirituali. I ciechi riconoscono Gesù come il Figlio di Davide e non cercano oltre. La nostra epoca offre un fiorente mercato spirituale dove ognuno può scegliere in base alle proprie preferenze. Questa diversità può essere arricchente, ma rischia anche di indebolire l'impegno. L'autentica fede cristiana richiede una forma di esclusività, non per ristrettezza mentale, ma perché riconoscere Gesù come Signore implica una fedeltà assoluta. Scegliere Cristo significa rinunciare a considerarlo solo un'altra opzione, un fornitore di servizi spirituali in competizione con gli altri.
La terza sfida è l'individualismo, che indebolisce la fede comunitaria. I due ciechi camminano insieme, sostenendosi a vicenda nella loro ricerca di guarigione. La nostra cultura valorizza l'autonomia a tal punto da rendere ogni individuo un atomo isolato, che costruisce la propria verità. Questa atomizzazione rende difficile la perseveranza nella fede. Senza una comunità che porti le nostre preghiere quando vacilliamo, senza fratelli e sorelle che ravvivino la nostra convinzione quando dubitiamo, la nostra fede rischia di appassire. La Chiesa non è un club facoltativo per cristiani socievoli, ma il corpo di Cristo, lo spazio in cui la fede di ciascuno è sostenuta da quella di tutti.
Quarta sfida: il consumismo spirituale, che cerca risultati immediati. I ciechi perseverarono nonostante il silenzio iniziale di Gesù. La nostra cultura della gratificazione immediata mal tollera l'attesa, i ritardi e la lenta maturazione. Vogliamo soluzioni rapide, trasformazioni spettacolari e guarigioni senza sforzo. Questa impazienza ostacola la vera conversione, che richiede tempo. Il Regno di Dio cresce come un seme, lentamente e invisibilmente all'inizio, prima di produrre un raccolto abbondante. Accettare questo ritmo di crescita organica si scontra con il nostro desiderio di controllo e risultati immediati.
Queste sfide non sono insormontabili. Richiedono semplicemente una particolare vigilanza e un discernimento spirituale Rinnovati. Di fronte allo scientismo, possiamo affermare la legittimità di altre modalità di conoscenza senza abbandonare la razionalità. Di fronte al pluralismo, possiamo mantenere la nostra convinzione cristologica nel rispetto dei sinceri ricercatori di altre tradizioni. Di fronte all'individualismo, possiamo reinvestire nella vita comunitaria, riscoprendo la Chiesa come famiglia spirituale. Di fronte al consumismo, possiamo coltivare pazienza, imparare ad abitare il tempo dell’attesa come tempo fertile di maturazione interiore.
Preghiera per aprire gli occhi del cuore
Signore Gesù, Figlio di Davide e Figlio di Dio, Luce venuta nel mondo per dissipare le nostre tenebre, noi gridiamo a te dal profondo della nostra cecità. Come i ciechi di Cafarnao, ti inseguiamo senza sempre vederti, ti invochiamo senza sempre discernere la tua presenza. Abbi pietà di noi.
Conosci gli angoli bui della nostra esistenza, i luoghi in cui brancoliamo senza trovare la strada, le domande che ci tormentano senza trovare risposte, le ferite che ancora sanguinano in segreto. Vedi la nostra confusione, i nostri dubbi, le nostre paure. Sai quanto è difficile per noi credere quando tutto rimane oscuro, fidarci di te quando sembri silenzioso.
Donaci la fede dei ciechi che hanno osato gridare il tuo nome per strada, che hanno perseverato nonostante il silenzio iniziale, che hanno varcato la soglia di casa per entrare in intimità con te. Accresci in noi questo ardente desiderio di incontrarti veramente, questa sete di trasformazione che accetta di rischiare tutto per ricevere tutto.
Confessiamo davanti a te la nostra fragile fede: sì, Signore, crediamo che tu puoi guarire ciò che è rotto dentro di noi, aprire ciò che è chiuso, illuminare ciò che rimane nell'oscurità. Crediamo che tu possiedi l'autorità e il potere di trasformare le nostre situazioni più radicate, di liberare ciò che era incatenato, di resuscitare ciò che sembrava morto.
Tocca gli occhi del nostro cuore, Signore. Donaci quella visione interiore che riconosce la tua presenza sotto il velo delle apparenze. Insegnaci a vederti negli eventi della nostra vita quotidiana, a discernere la tua provvidenza nei meandri della nostra storia, a riconoscere il tuo volto nei volti dei nostri fratelli e sorelle in umanità.
Donaci anche il coraggio di testimoniare. Come il cieco guarito che non poteva tacere, possa tutta la nostra vita proclamare le meraviglie che hai compiuto per noi. Possano le nostre parole e le nostre azioni irradiare la tua luce, possa la nostra esistenza diventare una trasparenza della tua presenza, possa la nostra gioia essere contagiosa per tutti coloro che ancora camminano nelle tenebre.
Aiutaci a sopportare il periodo di attesa in cui non rispondi immediatamente alle nostre preghiere. Aiutaci a capire che il tuo apparente silenzio è spesso una lezione, che ci guidi verso un incontro più profondo, che coltivi in noi il desiderio affinché possiamo realizzarlo meglio.
Preghiamo per tutti coloro che cercano la luce senza sapere dove trovarla, per coloro che gridano nella notte senza ricevere risposta, per coloro che, paralizzati dalla disperazione, non osano più nemmeno implorarti. Che sentano la tua voce che li chiama, che sentano su di loro il tuo sguardo tenero, che scoprano che tu li precedi sempre nel loro cammino.
Ti affidiamo in particolare coloro che soffrono di cecità fisica, affinché la loro disabilità possa paradossalmente diventare fonte di accresciuta visione spirituale. Ti presentiamo anche tutti coloro che soffrono di cecità collettiva: società intrappolate in ideologie mortali, comunità religiose imprigionate dal legalismo o dal fanatismo, e famiglie incapaci di vedersi e amarsi veramente.
Vieni, Signore Gesù, con la tua potenza di guarigione. Realizza in noi oggi ciò che hai compiuto per i ciechi di un tempo. Che tutto avvenga per noi secondo la nostra fede, e che questa fede stessa sia tuo dono, tua grazia, tua opera in noi.
Attraverso il tuo Spirito Santo, illuminaci, trasformaci e plasmaci a tua immagine. Rendici testimoni luminosi della tua risurrezione, portatori di speranza per questo mondo che inciampa nelle tenebre. Che possiamo... Sposato, tua madre e nostra madre, possiamo cantare le meraviglie che compi per gli umili che confidano in te.
Ti rendiamo grazie per le guarigioni già ricevute, per l'illuminazione già donata, per le conversioni già compiute. Ti adoriamo, o Cristo, luce del mondo, via, verità e vita. A te gloria, onore e lode, ora e sempre. Amen.

Dalla cecità alla vista, un cammino sempre aperto
Il Vangelo dei due ciechi guariti parla a noi, nella nostra cecità, con una promessa liberatrice: Gesù può aprirci gli occhi, vuole che vediamo, attende la nostra fiducia per compiere la sua opera di trasformazione in noi. Questo brano non è semplicemente il racconto di un singolo miracolo avvenuto duemila anni fa in Palestina, ma la rivelazione di una dinamica spirituale permanente, sempre attuale e attuale.
Abbiamo scoperto che la vera cecità non è principalmente fisica ma spirituale, che gli occhi del cuore contano più degli occhi della carne. Abbiamo capito che la fede autentica precede sempre la prova, che consiste nel dire di sì nell'oscurità prima di ricevere la luce. Abbiamo compreso l'importanza della perseveranza nella preghiera, questa ostinazione fiduciosa che insegue Cristo nonostante l'apparente silenzio e gli ostacoli incontrati.
La domanda che Gesù pose ai ciechi risuona in ognuno di noi oggi: "Credi che io possa fare questo?". Questa domanda attende la nostra risposta personale, il nostro impegno sincero, la nostra esplicita professione di fede. Non possiamo rimanere nell'indecisione o nell'ambiguità. Dobbiamo scegliere, prendere posizione, osare affermare la nostra convinzione che Cristo ha il potere di trasformare radicalmente le nostre vite.
La guarigione del cieco ci ricorda anche che Dio rispetta la nostra libertà. Non si introduce mai con la forza nei nostri cuori, né impone la sua luce con la forza. Attende il nostro consenso, il nostro desiderio, la nostra supplica. Per questo la preghiera rimane essenziale, non per informare Dio dei nostri bisogni, che Lui già conosce, ma per esprimere la nostra disponibilità, la nostra apertura alla sua azione, la nostra fattiva collaborazione all'opera della grazia.
Il cammino offerto da questo Vangelo rimane aperto davanti a noi oggi. Possiamo, fin da ora, identificare i nostri punti ciechi, intraprendere il cammino verso Gesù, gridare la nostra supplica, entrare in intimità con Lui, confessare la nostra fede e ricevere il suo tocco guaritore. Questo cammino spirituale non garantisce risultati magici o immediati, ma ci colloca in una dinamica di trasformazione graduale in cui Cristo opera pazientemente per aprirci gli occhi.
L’invito finale è chiaro: diventare noi stessi testimoni della luce ricevuta. Come i ciechi guariti che non riuscirono a rimanere in silenzio nonostante l’ordine di essere discreti, siamo chiamati a condividere gioia dell'incontro trasformativo con Cristo. Non attraverso un proselitismo aggressivo o un desiderio di convincere a tutti i costi, ma attraverso la naturale radiosità di una vita illuminata dall'interno, attraverso la coerenza tra le nostre parole e le nostre azioni, attraverso l'amore autentico che mostriamo a tutti.
Pratiche per vivere questo vangelo
- Istituire un momento quotidiano di preghiera silenziosa, anche breve, per creare questo spazio di intimità con Gesù paragonabile all'ingresso del cieco in casa, lontano dal tumulto e dalle distrazioni.
- Individuare un'area di cecità spirituale nella mia vita e affidarla esplicitamente a Cristo ogni giorno per una settimana, ripetendo la preghiera del cieco: "Abbi pietà di me, figlio di Davide".«
- Praticare lectio divina con questo brano di Matteo, lasciandolo risuonare dentro di me, interrogando le mie resistenze, risvegliando il mio desiderio di trasformazione, fino a farlo diventare una parola personale rivolta alla mia situazione.
- Unirmi o rafforzare la mia partecipazione a una comunità di fede per vivere collettivamente questo cammino spirituale, sostenendomi insieme ad altri credenti con perseveranza e fiducia.
- Scrivere la mia confessione di fede in risposta alla domanda di Gesù, spiegando chiaramente gli ambiti in cui credo che Lui possa intervenire, le trasformazioni che mi aspetto da Lui e l'impegno che sto prendendo.
- Esercitare discernimento sulla mia testimonianza, trovare il giusto equilibrio tra la discrezione richiesta e la proclamazione necessaria, imparare a condividere la mia fede con rispetto e autenticità, senza imporla.
- Coltivare il pazienza spirituale accettando che alcune guarigioni richiedono tempo, rinunciando alla pretesa di risultati immediati, vivendo serenamente il tempo della maturazione interiore.
Riferimenti
Benedetto XVI, Gesù di Nazareth, Flammarion, 2007, in particolare il capitolo su miracoli come segni del Regno.
Brown Raymond E., Cosa sappiamo del Nuovo Testamento?, Bayard, 2000, per il contesto storico e letterario del Vangelo di Matteo.
Origene, Commento al Vangelo secondo Matteo, Fonti Cristiane, per l'interpretazione patristica allegorica e spirituale del brano.
Penna Romano, I Vangeli: Testi e Contesti, Cerf, 2017, per l'analisi esegetica contemporanea delle narrazioni di guarigione nei Vangeli sinottici.
Agostino d'Ippona, Omelie sul Vangelo di Giovanni, Biblioteca Agostiniana, in particolare i passi sulla luce e sulla cecità spirituale.
Chouraqui André, L'universo della Bibbia, Lidis-Brepols, per aver compreso il contesto ebraico palestinese del primo secolo e il significato del titolo "Figlio di Davide".
Wright NT, Gesù, Parte prima, 2010, per una lettura storica e teologica di miracoli di Gesù come segni del Regno inaugurato.
Guardini Romano, Il Signore, Alsazia, 1945, per una profonda meditazione sulla persona di Cristo e sulla sua azione trasformatrice nei Vangeli.


