Vangelo di Gesù Cristo secondo San Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Che ve ne pare? Se un uomo ha cento pecore e una di loro si perde, non lascerà le novantanove sul monte e andrà a cercare quella perduta? E se la ritrova, in verità vi dico, sarà più contento per quella che per le novantanove che non sono perite. Così anche il Padre vostro celeste non vuole che uno solo di questi piccoli si perda».»
Alla ricerca della pecora smarrita: quando Dio va alla ricerca di ciò che conta davvero
Scopri come la parabola del pastore paziente rivela l'amore incondizionato di Dio e trasforma la nostra visione di coloro che si allontanano dal cammino..
Matteo 18,12-14 ci immerge in una delle immagini più tenere del Vangelo: quella del pastore che lascia il suo gregge per cercare una sola pecora smarrita. Questa parabola racchiude l'intera rivoluzione spirituale di Cristo. Lungi da una fredda contabilità che favorirebbe i molti, Gesù rivela il volto di un Dio che valorizza infinitamente ogni persona. Questo testo, che leggiamo spesso durante Avvento, ci invita a considerare l'errore umano non come una colpa imperdonabile, ma come un'opportunità per misericordia dispiegamento divino. Insieme, esploreremo perché questa pecora unica fa battere più forte il cuore di Dio, come questa logica capovolge le nostre solite priorità e come possiamo incarnare questa cura nelle nostre relazioni quotidiane. Preparatevi a vedere la fede in modo diverso: non più come un club di perfezionisti, ma come un'avventura di ricerca e riscoperta.
La parabola del pastore che cerca : Innanzitutto collocheremo questo racconto nel suo contesto liturgico e biblico, mostrando come Matteo lo usa per parlare della comunità cristiana. Un'analisi della logica divina Decifreremo allora lo scandalo d'amore che rappresenta questa scelta pastorale, aberrante secondo i calcoli umani. Aree di riflessione Svilupperemo tre direzioni teologiche (il valore infinito della persona, gioia (della riscoperta responsabilità comunitaria) prima di esplorare le applicazioni concrete nelle nostre vite. Radicato nella tradizione Collegheremo questa parabola alle intuizioni dei Padri della Chiesa e alla spiritualità contemporanea, poi offriremo una meditazione orante e delle risposte alle sfide che questo testo solleva oggi.
Il pastore e la montagna: collocare la parabola nel suo contesto
Questa breve parabola di tre versetti occupa un posto strategico nel Vangelo di Matteo. Appare nel capitolo 18, interamente dedicato alla vita comunitaria e alla correzione fraterna. Poco prima, Gesù ha parlato dei "piccoli" che non devono essere motivo di scandalo (Mt 18,6-10), e subito dopo darà le regole per correggere un fratello che ha peccato (Mt 18,15-20). Il nostro testo costituisce quindi una svolta cruciale: spiega Perché Dobbiamo fare tutto il possibile per evitare di perdere qualcuno nella comunità.
L'immagine pastorale usata da Gesù è tutt'altro che astratta per i suoi ascoltatori. Nella Giudea del I secolo, la pastorizia strutturava l'economia e l'immaginario collettivo. Tutti sapevano che un pastore custodiva gelosamente il suo gregge, contandolo mattina e sera, conoscendo ogni animale. La montagna menzionata nel testo si riferisce agli aridi altipiani dove pascolavano le pecore, un terreno pericoloso con i suoi burroni e i suoi predatori. Perdere una pecora significava rischiare di ferirsi, morire di sete o finire nelle fauci di un lupo. Il pastore che andava alla sua ricerca correva quindi un rischio calcolato, ma reale.
Matteo riprende qui una tradizione già presente in Luca (Luca 15, (4-7), ma con una sfumatura importante. In Luca, la parabola serve a giustificare l'accoglienza di peccatori e pubblicani di fronte alle mormorazioni dei farisei: è una difesa della missione di Gesù verso gli esclusi. In Matteo, è rivolta ai discepoli stessi e riguarda la vita interna della Chiesa nascente. Il messaggio diventa più chiaro: nelle vostre assemblee, non trascurate nessun membro, nemmeno il più piccolo, nemmeno quello che si allontana. Questo adattamento editoriale mostra che le prime comunità leggevano in questa immagine un'istruzione pastorale essenziale.
L'allusione ai "piccoli" (in greco micro) attraversa l'intero capitolo 18 come un filo conduttore. Chi sono? I bambini, certamente, che Gesù ha appena posto al centro come modello per accogliere il Regno (Mt 18,1-5). Ma anche coloro che sono deboli nella fede, i discepoli fragili, coloro che inciampano, coloro la cui fiducia vacilla. Nella Chiesa primitiva, questo potrebbe riferirsi ai nuovi convertiti, i poveri Senza istruzione religiosa, sono emarginati dalla società. Gesù insiste: agli occhi del Padre, valgono quanto tutti gli altri messi insieme. Questa affermazione capovolge la consueta gerarchia di valori. Annuncia una teologia in cui la singola persona conta infinitamente, in cui Dio si prende cura del più piccolo tanto quanto del primo.
Il contesto liturgico, quello di Avvento Il fatto che questo testo venga ascoltato spesso arricchisce ulteriormente la lettura. L'antifona Alleluia che lo accompagna ("Il giorno del Signore è vicino; ecco, viene a salvarci") ci pone in uno stato di gioiosa attesa. Il pastore che cerca prefigura Cristo che viene a salvare l'umanità perduta. Avvento Questo ci ricorda che Dio non rimane lontano dalla sua creazione: scende nella montagna sterile della nostra storia per riportarci a Lui. Questa dinamica di "venuta" conferisce all'intera parabola un tono escatologico. Attendiamo Colui che già ci sta cercando.
La logica si capovolge: analizzare lo scandalo della misericordia
A prima vista, il comportamento del pastore sembra irragionevole. Lasciare 99 pecore incustodite per cercarne solo una? Qualsiasi pastore considererebbe questo calcolo assurdo. Il rischio che le 99 si disperdano o vengano attaccate supera di gran lunga il vantaggio di trovare la centesima. Eppure, Gesù presenta questa decisione come ovvia: "Non lascerà le 99...?". La formulazione retorica suggerisce che tutti dovrebbero rispondere "sì, certo". È qui che sta lo scandalo: Gesù ci invita ad adottare una razionalità che non è quella del calcolo utilitaristico.
Questa logica invertita rivela qualcosa di fondamentale sull'identità di Dio. Egli non opera secondo il principio della maggioranza. La sua contabilità non si basa sulla produttività. Per Lui, il valore di una persona non si misura in base al suo contributo al gruppo o alla sua capacità di rimanere sulla retta via. Ogni pecora possiede una dignità assoluta e inalienabile che giustifica ogni sforzo. Questa verità teologica è alla base di tutta l'etica cristiana: la persona umana ha un valore infinito, indipendentemente dai suoi meriti o dai suoi fallimenti.
Il testo evidenzia anche gioia La gioia smisurata del pastore quando ritrova la pecora smarrita è impressionante. "Egli gioisce per lei più che per le altre 99 che non si erano smarrite". Questa affermazione offende il nostro senso di giustizia. I 99 fedeli non meritano forse maggiore riconoscimento? Perché questa celebrazione per colei che ha causato così tanta preoccupazione? La risposta sta nella natura stessa dell'amore divino. Dio non gioisce Di lo smarrimento – sarebbe assurdo – ma Di Ritorno, vita ritrovata, relazione ristabilita. È la differenza tra la morte e la vita che provoca questa esplosione di gioia. Chi era perduto viene ritrovato, chi ha rischiato la morte viene salvato: come non esultare?
Questa gioia divina ci insegna anche qualcosa su come viviamo la nostra fede in comunità. Troppo spesso, le nostre Chiese operano in modo accusatorio o colpevolizzante nei confronti di coloro che si allontanano. Vengono giudicati, criticati ed esclusi mentalmente. Gesù ci mostra la strada opposta: l'autentica comunità cristiana cerca attivamente coloro che sono smarriti, investe energie per ritrovarli e celebra il loro ritorno senza recriminazioni o rimproveri. La parabola descrive così sia il cuore di Dio sia l'approccio pastorale della Chiesa.
Infine, merita attenzione la conclusione del brano: «Non vuole dunque il Padre vostro celeste che perisca neppure uno di questi piccoli». Il verbo «volere» (Thelein (in greco) esprime una volontà deliberata, un desiderio profondo. Dio non si rassegna a perdere nessuno. Non tollera la perdita come un danno collaterale accettabile. La sua volontà salvifica è universale e si estende a tutti, specialmente ai più vulnerabili. Questa affermazione anticipa ciò che Paolo svilupperà in seguito: Dio "vuole che tutti gli uomini siano salvati" (1 Tm 2,4). La parabola del pastore incarna narrativamente questo principio teologico. Lo rende concreto, toccante, quasi tangibile.
Il valore infinito di ogni persona: primo asse teologico
Il primo grande insegnamento di questa parabola riguarda l'antropologia cristiana, cioè la visione dell'umanità. Nella logica del pastore, una pecora non vale un centesimo del gregge. Vale quanto le altre 99 messe insieme, perché la sua perdita rappresenta una violazione inaccettabile della totalità voluta da Dio. Questa prospettiva altera radicalmente la nostra visione degli altri. Nessuno è intercambiabile, nessuno è un mero numero, nessuno può essere sacrificato in nome di un bene collettivo superiore.
Questa visione è radicata nella convinzione che ogni essere umano porta l'immagine di Dio (Gen 1, (p. 27). L'immagine di Dio conferisce una dignità che non dipende da alcuna prestazione, da alcun successo, da alcun conformismo. Il bambino che si smarrisce rimane portatore di questa impronta divina. Non la perde perdendosi. Al contrario, è proprio perché conserva questa dignità ontologica che Dio si mette in cammino per trovarlo. Se l'uomo fosse solo un animale tra gli altri, prevarrebbe il calcolo utilitaristico: è meglio salvare la maggioranza. Ma poiché è creato a immagine di Dio, ognuno conta infinitamente.
Questa prospettiva ha immense conseguenze etiche. Stabilisce il rispetto assoluto per ogni vita umana, dall'inizio alla fine. Vieta di trattare chiunque come un mezzo per raggiungere un fine, per quanto nobile. Esige che cerchiamo coloro che cadono, che ci preoccupiamo del destino di coloro che scompaiono, che investiamo tempo ed energie in coloro che la società considera perduti. Pensate ai senzatetto, a... migranti, ai prigionieri, ai malati mentali: la parabola ci ordina di guardarli con gli occhi del pastore, non con quelli dell'amministratore efficiente.
Nelle nostre comunità parrocchiali, questa prospettiva teologica sfida le nostre pratiche. Quando qualcuno smette di venire a Messa, cosa facciamo? Ci scrolliamo di dosso la cosa e diciamo: "Peccato per lui"? Oppure andiamo a cercarlo, non per farlo sentire in colpa, ma per dimostrargli che ci manca, che è importante, che il suo posto rimane vuoto? La parabola suggerisce che la missione della Chiesa non si limita ai fedeli presenti, ma si estende a tutti coloro che si sono allontanati. Richiede un approccio pastorale proattivo, che vada incontro alle persone piuttosto che aspettare che vengano.
Il valore infinito dell'individuo ridimensiona anche i nostri consueti criteri di successo comunitario. Spesso misuriamo la vitalità di una parrocchia in base al numero di partecipanti alla Messa o alle attività. Gesù ci offre un altro criterio: siamo in grado di notare l'assenza anche di una sola persona? Ci preoccupiamo di chi manca? Una comunità di 500 membri che non si preoccupa mai di chi è assente perde il punto. Un piccolo gruppo di 20 persone che cerca attivamente la 21a persona incarna meglio lo spirito del Vangelo. La qualità delle relazioni ha la precedenza sulla quantità della partecipazione.
Infine, questa antropologia ci parla del nostro valore agli occhi di Dio. Quante volte ci sentiamo insignificanti, persi nella folla, convinti che Dio abbia di meglio da fare che preoccuparsi di noi? La parabola risponde: no, tu conti quanto tutti gli altri. Quando ti allontani, il Padre si mette subito in cammino per cercarti. Non sei mai un caso trascurabile, mai un fascicolo da archiviare, mai un danno collaterale accettabile. Questa certezza di essere cercati, attesi, desiderati da Dio cambia tutto. Fornisce una solida base per l'autostima, non basata sui nostri successi ma sull'amore incondizionato del Creatore.
La gioia di essere riuniti
La seconda lezione della parabola riguarda la natura di gioia divina. Gesù afferma che il pastore «si rallegra per lei più che per le 99 che non si erano smarrite». Questa affermazione può sembrare ingiusta, ma rivela qualcosa di essenziale: Dio non gioisce della nostra perfezione statica, ma della nostra conversione, del nostro ritorno, della nostra riscoperta di Lui. Gioia Nasce dal movimento della morte verso la vita, della perdita verso la riunione, della disperazione verso la speranza.
Pensa alle tue esperienze. Ti rallegri di più della tua salute quando non l'hai mai persa, o dopo una grave malattia da cui ti stai riprendendo? Apprezzi di più la presenza di una persona cara quando è ancora lì, o dopo una lunga separazione? Questo contrasto spiega gioia Il dolore sproporzionato del pastore. Ha sperimentato l'angoscia della perdita, l'incertezza della ricerca, la paura di non trovare mai la pecora. Quando finalmente la vede, viva, il ricongiungimento esplode in pura gioia. Questa gioia non è disprezzo per i 99 fedeli, ma intensa gratitudine per un pericolo scongiurato, una vita salvata.
La tradizione cristiana ha sempre riflettuto su questa "gioia del cielo" per la conversione di un peccatore. Luca lo afferma esplicitamente: "Ci sarà gioia in cielo per un peccatore che si pente, più che per 99 giusti che non hanno bisogno di pentirsi» (Luca 15, 7) Questa gioia celeste ha implicazioni concrete per la nostra vita spirituale. Innanzitutto, significa che non è mai troppo tardi per tornare. Non importa quanto siamo lontani da Dio, non importa quanti errori abbiamo commesso: il ritorno porta sempre con sé una festa. Nessuna colpa può annullare gioia Una riunione divina.
Inoltre, questa prospettiva cambia la nostra visione della conversione. Spesso la immaginiamo come uno sforzo doloroso, una rinuncia difficile, una serie di sacrifici. La parabola ci mostra il suo altro lato: gioia. La conversione è trovare il Padre che ci ha cercato, tornare a casa dopo un lungo peregrinare, scoprire di essere attesi, sperati e celebrati. Questa gioia del ricongiungimento dovrebbe caratterizzare ogni atto di riconciliazione, ogni sacramento di penitenza, ogni momento di ritorno a Dio. Non veniamo per essere rimproverati, ma per lasciarci trovare da Colui che ci ha cercato con tanta angoscia.
Nella vita comunitaria, questo principio ci incoraggia a coltivare uno spirito di festa verso chi torna dopo un periodo di assenza. Troppo spesso, le nostre accoglienze rimangono tiepide, sospettose: "Ecco, è tornato, dov'era?". Invece, la parabola ci chiama a esprimere apertamente la nostra gioia. Qualcuno torna dopo anni di assenza? Festeggiamo, non in modo indiscreto, ma con un calore genuino che trasmetta: "Ci sei mancato, siamo felici di rivederti". Questa gioia condivisa guarisce le ferite della separazione e facilita il reinserimento.
Gioia La riscoperta parla anche della nostra esperienza di conversione continua. La vita cristiana non è un fiume lungo e calmo dove non ci allontaniamo mai. Perdiamo regolarmente la strada, prendiamo strade sbagliate e ci allontaniamo dal sentiero. Ogni volta che riconosciamo questo smarrimento e torniamo a Dio, è una nuova opportunità di gioia divina. Il sacramento della riconciliazione diventa così meno un'ammissione di fallimento che un'opportunità per rallegrare il cielo. Ogni sincera confessione porta con sé una celebrazione tra noi. gli angeli. Questa visione trasforma il nostro rapporto con le nostre debolezze: non sono più vergogne insormontabili, ma opportunità affinché l'amore di Dio si manifesti nuovamente.
Infine, questa gioia divina ci incoraggia a perseverare nella fede nonostante le difficoltà. Sappiamo che anche se ci allontaniamo, Dio ci cerca. Anche se ci perdiamo, Lui va a cercarci. Anche se ci allontaniamo, Lui ci attende con gioia. Questa certezza ci dà una fiducia incrollabile. Possiamo affrontare le nostre debolezze senza disperare, riconoscere i nostri errori senza crollare, perché sappiamo che ogni ritorno porta una gioia più grande di tutte le nostre infedeltà messe insieme.
Responsabilità della comunità
La terza lezione, più sottile ma cruciale, riguarda la nostra responsabilità collettiva nella ricerca di chi si è smarrito. La parabola si rivolge ai discepoli, chiedendo loro: "Cosa ne pensate?". Non solo descrive il comportamento di Dio, ma offre anche un modello per la comunità cristiana. Come il pastore, la Chiesa e ogni battezzato devono sentirsi responsabili di chi si smarrisce. Nessuno può dire: "Non è un mio problema".«
Questa responsabilità comunitaria deriva direttamente dalla natura della Chiesa come corpo di Cristo. In un corpo, ogni membro dipende dagli altri. Se uno soffre, soffrono tutti; se uno si perde, tutti ne sono colpiti. Paolo sviluppa splendidamente questa ecclesiologia in 1 Corinzi 12 "L'occhio non può dire alla mano: 'Non ho bisogno di te'" (1 Corinzi 12, 21). Applicare questa visione alla nostra parabola significa che la perdita di un singolo membro indebolisce l'intero corpo. La Chiesa raggiunge la sua pienezza solo quando tutti i suoi membri sono presenti e vivi.
In termini pratici, questa responsabilità si traduce in vigilanza pastorale. In una parrocchia, chi si accorge delle assenze? A chi importa sapere perché qualcuno che vedeva ogni domenica non viene più? Spesso, nessuno. Diamo per scontato che ognuno viva la propria fede come meglio crede e rispettiamo la sua "scelta" di prendere le distanze. La parabola, al contrario, suggerisce che dobbiamo tendere la mano, stabilire un contatto e mostrare che l'assenza è stata notata. Non in modo invadente o accusatorio, ma con premura fraterna: "Ci manchi, stai bene?"«
Questo approccio presuppone una conoscenza autentica dei membri della comunità. In una grande parrocchia urbana, dove le persone non si salutano nemmeno, è impossibile notare un'assenza. La parabola sostiene quindi la necessità di comunità a misura d'uomo, dove i volti sono riconoscibili, i nomi sono noti e le storie di vita vengono seguite. Questo non significa rimanere piccoli a tutti i costi, ma piuttosto strutturare la vita parrocchiale in modo che nessuno possa scomparire senza che nessuno se ne accorga. Gruppi di condivisione, équipe di quartiere e movimenti di Azione Cattolica: sono tutti ambiti in cui questa vigilanza reciproca può essere esercitata.
La responsabilità comunitaria implica anche un'autocritica collettiva quando qualcuno se ne va. Invece di incolpare solo la persona che se ne va, la comunità dovrebbe chiedersi: abbiamo fatto qualcosa che l'ha ferita? Il nostro modo di vivere la fede l'ha esclusa? Le nostre rigidità l'hanno soffocata? Questa autocritica non giustifica necessariamente la persona che se ne va, ma consente di migliorare la vita comunitaria e impedisce ad altri di seguire lo stesso cammino. Una chiesa che cerca veramente la pecora smarrita esamina anche le ragioni del suo allontanamento.
Inoltre, questa responsabilità non ricade solo sul "« pastori »"Funzionari, cioè i sacerdoti, i diaconi o i dirigenti" laici. Spetta a ogni battezzato in virtù del sacerdozio comune. Ognuno è pastore a modo suo; ognuno può notare un'assenza e agire di conseguenza. Una semplice telefonata, un messaggio gentile, un invito a prendere un caffè: sono tutti gesti semplici con cui incarniamo la cura del pastore. La parabola, in un certo senso, democratizza la sollecitudine pastorale affidandola a tutti.
Infine, questa sollecitudine per chi si è allontanato deve evitare due trappole opposte. La prima sarebbe l'indifferenza: non fare nulla, lasciar correre, considerarlo un problema proprio. La seconda sarebbe la molestia: insistere con forza, far sentire in colpa, cercare di costringerlo a tornare indietro. Tra le due c'è una via stretta: quella della presenza discreta ma costante. Dimostriamo di avere cura, di rimanere disponibili, di pregare, ma rispettiamo la libertà dell'altro. Lasciamo una porta aperta senza costringere nessuno ad attraversarla. Questa via di mezzo pastorale richiede discernimento costante e grande sensibilità.

Vivere la parabola quotidianamente
Come possiamo tradurre questi insegnamenti teologici nella nostra vita quotidiana? Questa sezione esplora le applicazioni pratiche della parabola del pastore in diversi ambiti dell'esistenza.
In famiglia, Questo testo ci invita ad adottare una vigilanza amorevole verso tutti. Quando un figlio si isola, un adolescente si allontana dai valori familiari o un coniuge sembra prendere le distanze, la reazione naturale oscilla tra l'indifferenza forzata ("passerà") e il confronto aggressivo ("cosa c'è che non va in te?"). La parabola suggerisce una terza via: cercarli pazientemente. Ciò significa creare spazi di dialogo senza giudizio, rimanere disponibili senza essere soffocanti e dimostrare una presenza costante che dice: "Ti cerco perché sei importante". Un genitore che incarna questo atteggiamento pastorale facilita il ritorno del figlio prodigo anziché allontanarlo con rimproveri.
In un contesto professionale, Lo spirito del pastore può trasformare le relazioni. Quando un collega si demotiva, si isola o sembra perdere l'equilibrio, il posto di lavoro spesso risponde con l'esclusione: valutazione negativa, emarginazione o licenziamento. Un approccio ispirato al Vangelo consisterebbe nel cercare innanzitutto la causa profonda di questo disorientamento. Problemi personali? Difficoltà interpersonali all'interno del team? Mancanza di riconoscimento? Un manager cristiano impegnato in questo approccio pastorale si prende il tempo di ascoltare, cerca soluzioni appropriate e dimostra una fede continua nell'individuo. Questo atteggiamento non deriva da un'ingenuità angelica, ma dalla convinzione che ogni dipendente possieda un valore che trascende la sua produttività immediata.
Nella vita parrocchiale, Come abbiamo visto, le applicazioni sono evidenti. Ma richiedono una rivoluzione di mentalità. Dobbiamo passare da una Chiesa che è una "stazione di servizio" (si viene quando serve, altrimenti si resta a casa) a una Chiesa che è un "corpo vivo" dove ogni membro è conosciuto e conta. In termini concreti, questo può tradursi in "cellule parrocchiali" di 8-12 persone che si incontrano regolarmente. In un contesto del genere, l'assenza di qualcuno è immediatamente percepibile e può suscitare una risposta fraterna. Possiamo anche immaginare un "ministero dell'accompagnamento" in cui volontari qualificati contattino coloro che non frequentano più, non per farli sentire in colpa, ma per mantenere il contatto.
Nelle nostre amicizie, La parabola ci pone anche una domanda. Quante amicizie si sgretolano per negligenza o orgoglio? Un amico si allontana, aspettiamo che faccia il primo passo, passano gli anni e il legame si spezza. Il pastore ci insegna l'importanza di prendere l'iniziativa per avvicinarci. Se qualcuno si allontana dalla nostra cerchia di amici, perché non andare da lui, invitarlo e fargli sapere che ci manca? Questo approccio richiede...’umiltà – è riconoscere che abbiamo bisogno dell’altro – ma salva tante relazioni preziose che altrimenti andrebbero perse nell’indifferenza.
Di fronte ai nostri fallimenti, Infine, la parabola ci libera dal senso di colpa paralizzante. Tutti noi perdiamo regolarmente la strada: nel dubbio, nella tiepidezza, nei compromessi etici e nelle varie dipendenze. Invece di sprofondare nella negazione o nella disperazione, possiamo ricordare che Dio ci sta già cercando. Questa certezza ci dà il coraggio di riconoscere i nostri fallimenti e di tornare. Il sacramento della riconciliazione diventa allora meno una confessione umiliante che un'opportunità per lasciarci trovare. Questa dinamica spirituale cambia tutto: non ci convertiamo più per paura della punizione, ma per fiducia in Colui che ci attende con gioia.
Echi nella tradizione cristiana
La parabola del pastore alla ricerca delle sue pecore ha profondamente segnato la tradizione cristiana fin dalle sue origini. I Padri della Chiesa vi hanno visto un'immagine centrale della missione di Cristo e del ministero della Chiesa. San Giovanni Crisostomo, Patriarca di Costantinopoli nel IV secolo, commentava: "Il pastore non dice: 'Lasciatela venire da sé', ma va, corre, la cerca con ansia". Questa enfasi sull'iniziativa divina risuona attraverso i secoli. Dio non si limita ad aprire la sua porta e ad attendere il nostro ritorno; esce, ci cerca attivamente, ci insegue con il suo amore.
Sant'Agostino, nel suo Confessioni, Agostino illustra questa verità attraverso la sua storia di vita. Prima della conversione, viveva in una confusione morale e intellettuale, inseguendo piaceri fugaci e filosofie incerte. Retrospettivamente, comprende che durante tutti quegli anni di peregrinazione, Dio lo stava cercando, preparando le circostanze della sua conversione e attendendolo pazientemente. "Tu eri lì, dentro di me, e io ero fuori", scrive. Questa esperienza agostiniana della ricerca divina permea tutta la spiritualità occidentale. Noi ci allontaniamo, ma Dio dimora in noi e ci richiama costantemente alla nostra vera casa.
L'iconografia cristiana ha spesso raffigurato il Buon Pastore che porta la pecora sulle spalle. Questa immagine, rinvenuta già nelle catacombe romane del III secolo, mostra Cristo come un pastore tenero e forte, capace di farsi carico delle nostre debolezze. Questo Cristo-pastore prefigura già il carico della croce: porta su di sé i nostri peccati, le nostre debolezze, i nostri smarrimenti. La pecora ritrovata simboleggia l'umanità intera, che Cristo riconduce al Padre attraverso il suo sacrificio pasquale. In questa interpretazione tipologica, la nostra parabola diventa una prefigurazione condensata dell'intero mistero della Redenzione.
La spiritualità ignaziana, sviluppata da San Ignazio di Loyola Nel XVI secolo, Ignazio riecheggiò questa parabola nel suo metodo di discernimento. Insegnò che Dio cerca costantemente l'umanità, anche quando è smarrita nell'errore, e che lascia tracce della Sua presenza (le "consolazioni") per aiutarci a ritrovare la retta via. Nella tradizione ignaziana, il direttore spirituale svolge il ruolo di pastore: aiuta la persona che discerne a riconoscere dove Dio la sta cercando e chiamando. Questa pedagogia spirituale traduce pastoralmente l'insegnamento della parabola: accompagnare qualcuno significa aiutarlo a lasciarsi trovare da Dio.
Più recentemente, il Concilio Vaticano II ha rinnovato questa visione pastorale invitando la Chiesa ad "uscire" verso il mondo contemporaneo piuttosto che aspettare che il mondo venga verso di essa. La Costituzione Gaudium et Spes Afferma che «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo» (GS 1). Questa solidarietà universale prolunga direttamente lo spirito del pastore che va alla ricerca della pecora smarrita. La Chiesa non può rimanere rinchiusa nelle sue certezze; deve andare verso coloro che sono smarriti nelle periferie esistenziali del nostro tempo.
IL papa Francesco, nella sua esortazione Evangelii Gaudium (2013), riprende questo tema con forza. Egli invoca una «Chiesa in uscita», una Chiesa che «esce dalla sua zona di comfort» per raggiungere coloro che si sono allontanati. Critica severamente le comunità cristiane che si accontentano dei propri spazi, indifferenti a coloro che sono assenti: «Preferisco una Chiesa malconcia, ferita e sporca per essersi messa in cammino, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze». Questa audace visione pastorale attualizza perfettamente la parabola: il pastore che lascia le 99 per cercare la ragazza perduta rischia, si sporca in montagna, ma è il prezzo di lealtà alla sua missione.
Infine, la tradizione mistica, di Teresa d'Avila ha Giovanni della Croce, Di Francesco Da Sales a Teresa di Lisieux, i mistici testimoniano esperienze in cui Dio cerca l'anima anche nel profondo della sua "oscurità". Aridità spirituale, tentazioni, dubbi: sono tutti terreni sterili dove la pecora si smarrisce. Eppure, i mistici affermano che è spesso in queste notti oscure che Dio lavora più intensamente per trovarci. Teresa di Lisieux, nella sua "piccola via", insegna che la nostra stessa piccolezza attrae la tenerezza divina. Più ci sentiamo persi, più Dio si avvicina a noi. Questa esperienza mistica convalida esistenzialmente la promessa della parabola: nessuno è così perduto che Dio non possa cercarlo.
Medita sulla parabola
Entriamo ora in una meditazione orante sul testo, seguendo pochi semplici passaggi che potrete seguire personalmente.
Primo passo: Trova il silenzio. Scegli un momento di tranquillità, mettiti comodo e fai qualche respiro profondo. Chiedi allo Spirito Santo di guidarti in questa lettura. Apri la Bibbia in Matteo 18:12-14 e leggi il brano lentamente due o tre volte, lasciando che le parole risuonino in te.
Secondo passo: identifica la pecora smarrita dentro di te. In quale ambito della tua vita ti senti attualmente perso? Quale parte di te si è allontanata? Questo potrebbe riguardare la tua fede (tiepidità, dubbi), le tue relazioni (conflitti irrisolti, isolamento), le tue scelte etiche (compromessi che ti appesantiscono) o la tua pace interiore (ansia, scoraggiamento). Riconosci onestamente questo allontanamento davanti a Dio, senza giudicarti o giustificarti. Semplicemente, dillo.
Terzo passo: immagina che Dio ti stia cercando. Visualizza mentalmente il pastore che vaga per la montagna, chiamando il tuo nome. Non ti sta accusando; ti sta cercando con preoccupazione e tenerezza. Ascolta la sua voce che ti chiama nel tuo vagare. Senti quanto gli manchi, quanto desidera ritrovarti. Lascia che l'emozione che accompagna questa consapevolezza cresca dentro di te: Dio ti sta cercando perché per Lui sei tutto.
Quarto passo: Accetta di essere trovato. Ritornare richiede consenso. La pecora potrebbe ancora fuggire dal pastore o nascondersi tra i cespugli. Ma si lascia afferrare e trasportare. Allo stesso modo, acconsenti interiormente a lasciarti trovare da Dio. Abbandona le tue difese, le tue fughe, le tue giustificazioni. Dì semplicemente: "Eccomi, Signore, trovami, portami, riportami indietro". Questa preghiera di resa apre lo spazio all'azione di Dio.
Quinto passo: Gusto gioia del pastore. La parabola sottolinea gioia Dio ti accoglie di nuovo. Accogli questa gioia divina come un dono gratuito. Dio non ti rimprovera, non ti ricorda i tuoi errori, non ti impone penitenze umilianti: gioisce. Lascia che questa gioia divina penetri nel tuo cuore e dissolva la tua colpa o la tua vergogna. Sei atteso con gioia, non con rabbia.
Sesto passo: Identifica la pecora smarrita intorno a te. Chi nella tua cerchia sembra perso in questo momento? Un parente, un amico, un collega, un membro della tua comunità? Presentali a Dio nella preghiera e chiedi la grazia di diventare tu stesso un pastore per loro. Come puoi dimostrare concretamente che ti importa? Prendi una decisione semplice e realizzabile (una chiamata, un messaggio, un invito).
Settimo passo: Ringraziare. Termina la tua meditazione con una preghiera di gratitudine per questo amore divino Lui ci cerca instancabilmente. Ringrazia Dio che non abbandona mai la ricerca, che non ti considera mai troppo perduto per essere ritrovato. Affida a Lui tutti coloro che sono attualmente perduti e chiedi che anche loro possano sapere gioia da trovare.
Questa meditazione può essere praticata regolarmente, soprattutto nei momenti in cui ci si sente lontani da Dio o prima di ricevere il sacramento della riconciliazione. Può anche diventare una pratica comunitaria durante i momenti di preghiera condivisa, con ogni persona che medita in silenzio prima di condividere brevemente ciò che l'ha toccata.

Rispondere alle obiezioni contemporanee
Quando oggi si propone questa parabola come modello pastorale, sorgono diverse obiezioni. È importante affrontarle con onestà.
Prima obiezione: "Ciò assolve dalla responsabilità coloro che prendono le distanze."« Se diamo troppa importanza al fatto che Dio stia cercando la pecora smarrita, non rischiamo forse di minimizzare la responsabilità personale di chi si smarrisce? In realtà, la parabola non nega la libertà umana o la responsabilità morale. Afferma semplicemente che Dio, da parte sua, non smette mai di cercarci. La nostra libertà rimane intatta: possiamo rifiutarci di essere trovati, continuare a fuggire, sprofondare sempre più nello smarrimento. Ma anche questo rifiuto non ferma la ricerca divina. Dio rispetta la nostra libertà pur continuando a chiamarci. La parabola non dice: "Smarriti senza preoccupazioni, Dio sistemerà tutto", ma piuttosto: "Quando ti smarrisci, sappi che Dio non ti abbandonerà".
Seconda obiezione: "È ingiusto nei confronti dei 99 che restano fedeli".« Questa osservazione riflette spesso una mentalità meritocratica: gli sforzi dei fedeli non verrebbero riconosciuti. Ma Gesù non confronta i rispettivi meriti. Non dice che la pecora smarrita vale Di più rispetto agli altri, ma la sua perdita porta una gioia speciale al suo ritorno. Inoltre, i 99 non sono trascurati: rimangono al sicuro e protetti nell'amore del pastore. La ricerca di chi è perduto non implica l'abbandono degli altri. Pastoralmente, questo significa che una Chiesa che cerca chi è lontano non deve trascurare chi è presente. L'uno non esclude l'altro.
Terza obiezione: "Questo non funziona in una società individualista".« Si sostiene talvolta che nella nostra cultura contemporanea, segnata dall'individualismo, le persone vogliano prendere le distanze dalla Chiesa e non apprezzino il fatto di essere "rinvigorite". È vero che tutti gli approcci pastorali devono rispettare la libertà ed evitare un proselitismo aggressivo. Ma esiste un modo delicato per mostrare attenzione a qualcuno senza violarne la libertà. Un messaggio gentile ("Ci manchi, ti pensiamo"), un invito non pressante ("Se vuoi, vieni a trovarci"), una presenza discreta ma coerente: questi gesti rispettano l'autonomia della persona, facendole sapere che non è stata dimenticata. Spesso, ciò che viene percepito come indiscrezione ecclesiastica deriva meno dal principio in sé che da una sua esecuzione maldestra.
Quarta obiezione: "Non possiamo sempre rincorrere le persone".« In effetti, un pastore o una comunità hanno limiti di energia e di tempo. Non si può dedicare 100% delle proprie risorse alla ricerca di coloro che se ne vanno, con il rischio di esaurire coloro che rimangono. La parabola non nega questa realtà. Stabilisce un principio di cura universale che deve poi essere saggiamente messo in pratica. Concretamente, ciò significa che si possono stabilire le priorità in base all'urgenza (qualcuno in crisi acuta merita un'attenzione immediata) e alle risorse disponibili, mantenendo sempre come principio guida questa preoccupazione per coloro che si sono allontanati. Questo è un ideale guida a cui aspiriamo, non uno standard quantitativo irraggiungibile.
Quinta obiezione: "Alcune persone sinceramente non vogliono più la Chiesa".« È vero. A volte le persone abbandonano definitivamente la fede cristiana e costruiscono la loro vita in modo diverso, consapevole e libero. In questi casi, insistere pesantemente diventa controproducente e irrispettoso. La cura pastorale deve riconoscere i suoi limiti. Un rapporto amichevole può essere mantenuto anche con qualcuno che ha lasciato la Chiesa, senza cercare a tutti i costi di "riconvertirlo". Questo rapporto di per sé testimonia...«Amore cristiano e lascia la porta aperta nel caso in cui la persona cambi idea. A volte, il modo migliore per trovare la pecora smarrita è semplicemente essere presenti senza forzare nulla.
Sesta obiezione: «La parabola ignora le cause strutturali delle partenze».» Questa è una critica pertinente. Molte persone lasciano la Chiesa non per mancanze personali, ma perché l'istituzione le ha ferite, escluse o deluse. In questi casi, "cercare" la pecora smarrita senza mettere in discussione le strutture che le hanno allontanate sarebbe ipocrita. La parabola, infatti, non affronta esplicitamente questa dimensione. Ma ne apre la porta. Una Chiesa che cerca veramente i suoi membri smarriti deve necessariamente esaminare la propria responsabilità nelle loro partenze. La ricerca autentica include la conversione istituzionale.
Preghiera ispirata alla parabola
Signore Gesù, Buon Pastore delle nostre anime,
Tu che conosci ciascuna delle tue pecore per nome,
Voi che lasciate il gregge sicuro per cercare quello perduto,
Insegnaci a vedere con i tuoi occhi coloro che si smarriscono.
Non consideriamo mai nessuno definitivamente perduto,
Non possiamo mai rassegnarci all'assenza di un fratello o di una sorella,
Non contiamo mai le nostre comunità senza notare chi manca.
Donaci il coraggio di andare alla ricerca di ciò che è giusto, anche quando è costoso.
Per coloro che oggi vagano lontano da te,
Nei burroni del dubbio o nei deserti della tiepidezza,
Ti preghiamo: va' alla loro ricerca, Signore.
Chiamateli con tenerezza, ritrovateli con gioia, riportateli indietro con dolcezza.
Per noi stessi, quando ci smarriamo,
Quando ci perdiamo nei nostri tortuosi sentieri,
Quando fuggiamo dalla tua presenza o ci nascondiamo nelle nostre ombre,
Vieni a prenderci, Signore, prima che siamo troppo lontani.
Insegnaci ad essere per gli altri ciò che tu sei per noi:
Pastori pazienti che non risparmiano sforzi,
Ricercatori tenaci che non si arrendono mai,
Testimoni della tua gioia quando qualcuno torna da te.
Che le nostre comunità riflettano il tuo cuore di pastore,
Che siano luoghi dove nessuno si perda nell'anonimato,
Dove ogni assenza viene notata, dove ogni ritorno viene celebrato,
Dove tutti capiscono che per te contano infinitamente.
Per le famiglie dilaniate, dove alcuni membri si sono allontanati,
Per le amicizie rotte dall'orgoglio o dalla negligenza,
Per le comunità svuotate dall'indifferenza o dalle ferite,
Suscita, Signore, pastori secondo il tuo cuore.
Aiutaci a testimoniare, con la nostra vita più che con le nostre parole.,
Che il tuo Vangelo non sia un peso ma una liberazione,
Che la tua casa non è una prigione ma una festa,
Che non aspetti a giudicare, ma ad abbracciare.
Padre che sei nei cieli, non vuoi che si perda neanche uno solo di questi tuoi piccoli,
Tienici tutti nel tuo amore,
Cerca coloro che si allontanano,
Riporta indietro coloro che vagano,
E rallegratevi con noi quando un fratello o una sorella ritornano da voi.
Per mezzo di Gesù Cristo, Pastore eterno, che vive e regna con te nell'unità dello Spirito Santo,
Per sempre e per sempre. Amen.
Parti per la tua ricerca con fiducia
Al termine di questo cammino, la parabola del pastore e della pecorella smarrita ci ha rivelato un volto di Dio che capovolge le nostre categorie abituali. Abbiamo scoperto un Pastore che calcola in modo diverso, che valorizza infinitamente ogni persona, che gioisce in modo sproporzionato a ogni ritorno e che non rinuncia mai a cercare chi si è smarrito. Questa logica divina capovolge la nostra cautela umana e i nostri calcoli gestionali. Ci chiama a una profonda conversione pastorale: da spettatori della vita comunitaria, dobbiamo diventare partecipanti attivi della ricerca e testimoni di gioia.
Questa parabola non è astratta. Si realizza concretamente nelle nostre famiglie, dove siamo invitati a cercare pazientemente chi si chiude in se stesso; nelle nostre comunità parrocchiali, dove dobbiamo notare ogni assenza e agire in fraterna solidarietà; nelle nostre amicizie, dove l'iniziativa della riconciliazione spetta a noi; e nella nostra vita spirituale, dove possiamo lasciarci trovare da Dio in ogni momento. L'insegnamento di Gesù non si limita a ispirarci; ci impegna a una pratica costante dell'amore.
Gli echi che abbiamo ascoltato nella tradizione cristiana, dai Padri della Chiesa ai papa Francesco, Questi eventi attestano la perenne attualità di questo messaggio. Ogni epoca ha accolto la chiamata ad "uscire" per cercare chi è perduto. Il nostro tempo, segnato dall'individualismo, dalla secolarizzazione e dalle ferite inflitte dalla Chiesa stessa, ha particolarmente bisogno di riscoprire questa dimensione fondamentale del Vangelo. Una Chiesa che non cerca è una Chiesa che ha dimenticato il cuore della sua missione.
Le sfide contemporanee che abbiamo affrontato dimostrano che questa ricerca pastorale richiede saggezza, sensibilità e umiltà. Non si tratta di imporre la fede a chi non la vuole più, ma di mostrare che conta ancora, che la sua assenza è stata notata, che la porta rimane aperta. Questo atteggiamento presuppone una Chiesa che confida nell'azione di Dio piuttosto che preoccuparsi delle sue statistiche. Il pastore della parabola non si fa prendere dal panico per i 99 rimasti; confida che siano al sicuro mentre cerca quello che si è smarrito. Allo stesso modo, una Chiesa che va verso le periferie non tradisce i suoi fedeli; dimostra pienamente la sua natura evangelica.
L'invito finale di questo testo è rivolto a ciascuno di noi personalmente. In quale ambito della tua vita puoi incarnare l'atteggiamento del pastore? Chi intorno a te è attualmente smarrito e merita la tua attenzione? E in quali angoli del tuo cuore hai bisogno di permettere a Dio di trovarti? Queste domande non sono retoriche; richiedono una risposta concreta, un impegno fermo. La parabola funziona solo se la viviamo.
Ricordiamo, infine, che Dio gioisce più dei nostri ritorni che delle nostre perfezioni. Questa certezza ci libera da una spiritualità ansiosa e meritocratica. Non costruiamo la nostra salvezza attraverso le nostre conquiste religiose; accogliamo un Dio che ci ha già cercato, trovato e portato sulle sue spalle. Questa grazia anticipata trasforma ogni cosa: le nostre cadute diventano occasioni di festa. misericordia, I nostri vagabondaggi ci conducono verso sentieri verso nuovi incontri, le nostre debolezze verso i luoghi dove risplende più luminoso l'amore di Dio. Lasciamoci dunque cercare e trovare, sempre di nuovo, dal Pastore che non si stanca mai di cercarci.
Per andare oltre nella pratica
- Identifica tre persone Individuate coloro nella vostra cerchia che si sono allontanati dalla Chiesa o dalla fede e pregate per loro ogni giorno per una settimana. Poi, contattate almeno uno di loro con un messaggio gentile, senza alcun intento di proselitismo, semplicemente per dimostrare che state pensando a loro.
- Unisciti o crea un gruppo di condivisione Nella tua parrocchia dovrebbero esserci dalle 8 alle 12 persone, di cui ogni membro è conosciuto e le assenze vengono annotate. Impegnati a contattare più volte in modo amichevole chiunque sia assente.
- Prenota una fascia oraria mensile Per meditare sulla parabola del pastore in relazione alla tua vita spirituale, chiediti onestamente: "In quale ambito mi sono smarrito questo mese?" e lascia che Dio ti ritrovi nel sacramento della riconciliazione.
- Suggeriscilo al tuo parroco o al consiglio parrocchiale per istituire un "ministero del sostegno" in cui volontari qualificati contattino le persone che non vengono più, con rispetto e tenerezza, per mantenere i contatti e dimostrare che sono attese.
- Nella tua famiglia, stabilisci una pratica : quando un membro sta attraversando un periodo difficile o sembra allontanarsi dai valori familiari, organizza un momento speciale (pasto, passeggiata, gita) per dimostrargli concretamente che è importante e che ci si prende cura di lui, senza giudizi o rimproveri.
- Leggi e condividi con gli altri cristiani l'esortazione apostolica Evangelii Gaudium Di papa Francesco, in particolare i capitoli sulla «Chiesa in uscita», per approfondire questa visione pastorale di una comunità che esce per cercare piuttosto che attendere passivamente.
- Esamina i tuoi atteggiamenti Tendi a giudicare coloro che si allontanano dalla Chiesa? A criticarli? A condannarli? Chiedi allo Spirito Santo di trasformare la tua prospettiva affinché tu li veda non come traditori o deboli, ma come pecore smarrite che Dio cerca amorevolmente.
Riferimenti per ulteriori letture
- Testi biblici Ezechiele 34:11-16 (Dio stesso è il pastore che cerca le sue pecore); ; Luca 15, 4-7 (versione lucana della parabola); Giovanni 10,1-18 (il Buon Pastore che dà la vita per le sue pecore); Salmo 23 (« Il Signore è il mio pastore »).
- Magistero : Concilio Vaticano II, Gaudium et Spes, n. 1; ; Papa Francesco, Esortazione apostolica Evangelii Gaudium (2013), in particolare i nn. 20-24 (la Chiesa in uscita); ; Benedetto XVI, Enciclica Deus Caritas Est (2005), prima parte sull'amore di Dio.
- Autori patristici e spirituali San Giovanni Crisostomo, Omelie su Matteo ; Sant'Agostino, Confessioni, Libro VIII; San Gregorio Magno, Regola pastorale ; Santa Teresa di Lisieux, Storia di un'anima, capitolo su misericordia divine.
- Studi teologici contemporanei Kenneth E. Bailey, Il poeta e il contadino: un approccio letterario-culturale alla parabole Luca (Excelsis, 2017); Gioacchino Jeremias, IL parabole di Gesù (Seuil, 1984); Henri Nouwen, Il ritorno del figliol prodigo (Cerf, 1995, meditazione che illumina anche la parabola del pastore).
- Risorse pastorali Alfonso Borras, Comunità parrocchiali: diritto canonico e prospettive pastorali (Cerf, 1996); Christian de Chergé, Speranza invincibile (Bayard, 1997), in particolare i testi sull'accoglienza dell'altro e pazienza pastorale.
- Catechesi e Liturgia Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 1443-1445 (il sacramento della riconciliazione come riunione); Rito della Penitenza (in particolare i prefazi che evocano il ritorno del peccatore); Lezionario domenicale, commenti omiletici per la II domenica di Avvento, anno A.


