Io, Daniele, ero turbato nello spirito, perché le visioni che vedevo mi turbavano profondamente. Mi avvicinai a uno di quelli che stavano intorno al trono e gli chiesi il significato di tutto ciò. Egli mi rispose e mi rivelò l'interpretazione:
«Queste immense bestie, quattro in numero, rappresentano quattro re che sorgeranno dalla terra. Ma saranno i santi dell'Altissimo a ricevere la regalità e a detenerla per l'eternità.»
Poi lo interrogai riguardo alla quarta bestia, diversa da tutte le altre, questa bestia terribile e potente, con denti di ferro e artigli di bronzo, che divorava, sbranava e calpestava il resto. Lo interrogai riguardo alle dieci corna che aveva sulla testa e riguardo a quel corno che era spuntato e ne aveva abbattute altre tre davanti a sé, a quel corno con occhi e una bocca che proferiva parole arroganti, a quel corno che era più grande degli altri. L'avevo vista guidare la guerra contro i santi e sconfiggerli, fino alla venuta dell'Antico che aveva reso giudizio in favore dei santi dell'Altissimo, e giunse il tempo in cui i santi avrebbero preso possesso del regno.
A queste domande, ho ricevuto la risposta: "La quarta bestia rappresenta un quarto regno sulla terra, diverso da tutti gli altri regni. Divorerà tutta la terra, la calpesterà e la stritolerà. Le dieci corna rappresentano dieci re che sorgeranno da questo regno. Poi sorgerà un altro re, diverso dai precedenti, e ne spodesterà tre. Pronuncerà parole contro l'Altissimo, opprimerà i santi dell'Altissimo e cercherà di alterare il calendario delle feste e la Legge. I santi saranno dati nelle sue mani per un tempo, dei tempi e la metà di un tempo. Poi si riunirà la corte e le sarà tolto il potere, per essere distrutta e annientata per sempre. Il regno, il potere e la grandezza di tutti i regni sotto il cielo saranno dati al popolo dei santi dell'Altissimo. Il suo regno è un regno eterno e tutti gli imperi lo serviranno e gli obbediranno".«
Quando le bestie crollano: ricevere la regalità promessa ai santi dell'Altissimo
C'è qualcosa di profondamente inquietante in questo capitolo di Daniele. Bestie mostruose emergono dal mare, imperi divorano la terra, un corno arrogante bestemmia contro il cielo. Eppure, al centro di questa visione da incubo, una promessa esplode come un tuono: regalità, dominio e potere saranno dati al popolo dei santi. Non saranno presi con la forza. Non saranno conquistati con le armi. Saranno dati. Questo dovrebbe farci riflettere sul nostro rapporto con il potere, con la storia e con la nostra vocazione spirituale.
Questo testo da Daniele 7 Non si tratta di una curiosità archeologica riservata agli specialisti della letteratura apocalittica ebraica. Parla a noi oggi, a noi che viviamo in un mondo in cui gli imperi assumono forme nuove ma altrettanto voraci, dove la tentazione del potere rimane onnipresente, dove la questione del senso della storia si pone con rinnovata urgenza. Daniele ci offre una chiave di lettura che può trasformare la nostra prospettiva sul presente e la nostra speranza per il futuro.
Inizieremo collocando la visione di Daniele nel suo contesto storico e letterario per comprenderne il significato per i suoi primi lettori. Poi analizzeremo il cuore del messaggio: questo sorprendente capovolgimento in cui la regalità passa dalle bestie ai santi. Esploreremo quindi tre temi principali: la natura del potere secondo Dio, l'identità di questi "santi dell'Altissimo" e le implicazioni concrete per la nostra vita. Faremo riferimento alla tradizione per arricchire la nostra comprensione prima di offrire spunti di meditazione e applicazioni pratiche.

Una visione nata nella fornace della storia
Per immergersi veramente in questo testo, bisogna prima essere disposti a lasciarsi trasportare in un altro mondo. Questo non è un trattato di teologia astratta. Siamo immersi in una visione, con tutto il suo mistero, il suo simbolismo e la sua intensità emotiva. Daniele stesso ci dice che la sua mente era "angosciata" e "scossa". Questa non è una lettura leggera e colloquiale. È un'esperienza che scuote nel profondo.
IL Il libro di Daniel Fu scritto nella sua forma definitiva intorno al II secolo a.C., durante la persecuzione di Antioco IV Epifane. Questo re seleucide aveva intrapreso la forzata ellenizzazione della Giudea, profanando il Tempio, proibendo la pratica della Torah e perseguitando coloro che rimanevano fedeli all'Alleanza. I "santi dell'Altissimo" menzionati nel testo sono principalmente questi fedeli ebrei che rischiarono la vita piuttosto che rinunciare alla loro fede.
Ma le radici del testo risalgono ancora più indietro. La finzione narrativa colloca Daniele alla corte di Babilonia nel VI secolo, durante l'Esilio. Questa sovrapposizione temporale non è casuale. Trasmette qualcosa di essenziale: gli imperi si susseguono, le loro forme cambiano, ma la loro dinamica rimane la stessa. Babilonia, Persia, Grecia, Roma – e tutte quelle che sarebbero venute dopo – condividono la stessa tentazione di onnipotenza, la stessa ambizione di divorare il mondo.
La struttura letteraria del capitolo 7 è notevole. Forma un cardine nel Il libro di DanielQuesto segna il passaggio dalle narrazioni cortesi (capitoli 1-6) alle visioni apocalittiche (capitoli 7-12). Non è un caso che questa visione inaugurale culmini nella promessa fatta ai santi. Tutto ciò che segue nel libro sarà una meditazione su questa speranza fondamentale.
Il genere apocalittico, di cui Daniele è uno dei principali rappresentanti nella Bibbia ebraica, non è una letteratura di evasione. È una letteratura di resistenza. Quando non si può più parlare apertamente, si parla per simboli. Quando l'oppressore sembra invincibile, si rivela (questo è il significato della parola "apocalisse") che il suo potere è già stato giudicato, già condannato, già a tempo debito. Le bestie possono ruggire quanto vogliono: il loro tempo sta per scadere.
Anche il contesto liturgico di questo testo merita la nostra attenzione. Nella tradizione cristiana, viene letto durante le ultime settimane dell'anno liturgico, quando la Chiesa medita sulle ultime cose e sul ritorno di Cristo. Questa lettura non è arbitraria. Riconosce in questo testo un messaggio che trascende il suo contesto immediato per illuminare la nostra attesa del Regno.
Nella tradizione ebraica, questo brano appartiene ai testi che hanno nutrito per secoli la speranza messianica. La figura del «Figlio dell'uomo» che appare pochi versetti prima (Giorno 7(13-14) è stato interpretato in molti modi: come una rappresentazione collettiva del popolo fedele, una figura messianica individuale, o entrambi. Gesù stesso avrebbe poi adottato questo titolo, dandone un nuovo significato pur rimanendo all'interno di questa lunga tradizione di speranza.
La grande inversione: quando il potere cambia mano
Qui risiede il cuore pulsante del nostro testo: un completo rovesciamento della logica del potere. Daniele vede quattro bestie terrificanti emergere dal mare – simboli del caos primordiale – ed esercitare un dominio brutale sulla terra. Poi, all'improvviso, tutto cambia. L'Anziano siede sul trono, la corte è istituita e il potere regale è trasferito ai santi dell'Altissimo.
Ciò che colpisce immediatamente è il contrasto tra la violenza delle bestie e l'apparente passività dei santi. Le bestie "si avventano", "divorano", "strappano", "calpestano". Il loro vocabolario è quello della predazione e della distruzione. I santi, d'altra parte, "ricevono" e "posseggono". Non prendono nulla. Non impongono nulla. La regalità è data a loro.
Questo paradosso è al centro del messaggio. Il vero potere non si acquisisce con la forza. Si riceve come un dono. Questo è l'esatto opposto di ciò in cui credono gli imperi. Per loro, il potere si conquista, si difende e si espande attraverso la conquista. Per i santi, il potere viene dall'alto, dal Vecchio che siede sul suo trono, da Colui la cui regalità è "eterna".
Diamo un'occhiata più da vicino alla quarta bestia, quella che affascina e terrorizza Daniele. È "diversa da tutte le altre", "terribilmente potente", con "denti di ferro e artigli di bronzo". Non si limita a dominare: "divora tutta la terra, la calpesta e la stritola". Questo è l'impero in tutta la sua estensione. Questo è il potere che non conosce limiti, che vuole assorbire tutto, standardizzare tutto, soggiogare tutto.
Il corno che appare dopo porta l'orrore ancora più in là. Ha "occhi" – simbolo di intelligenza calcolatrice – e "una bocca che proferisce parole deliranti". "Pronuncia parole ostili all'Altissimo" e "perseguita i santi". Tenta persino di "cambiare le date delle feste e della Legge". Non si tratta più di una mera dominazione politica: è un tentativo di ristrutturare il tempo stesso, di riscrivere le regole fondamentali dell'esistenza, di sostituire Dio.
Eppure – ed è qui che tutto cambia – questo corno arrogante è solo temporaneo. "Un tempo, due tempi e la metà di un tempo": una frase enigmatica che dice tutto. Il male ha i suoi limiti. Il suo dominio non è eterno. È contato, misurato, già preso in prestito, anche se sembra trionfare.
Poi arriva il giudizio. Il tribunale si riunisce. Il dominio viene "tolto" alla bestia. Non contestato, negoziato, sminuito: tolto. E tutto ciò che sembrava così potente viene "distrutto e completamente annientato". Questa è la verità sugli imperi: la loro apparente solidità è un'illusione. Passano. Tutti. Senza eccezioni.
Ciò che rimane è la regalità conferita ai santi. E questa regalità è "eterna". Il testo insiste: "tutti gli imperi lo serviranno e obbediranno". Non solo alcuni imperi, non solo gli imperi futuri, ma "tutti". L'equilibrio di potere è completamente invertito. Coloro che hanno servito diventano coloro che sono serviti. Coloro che sono stati calpestati ricevono fedeltà universale.

Il potere secondo Dio: una logica capovolta
La prima dimensione che dobbiamo esplorare è questa concezione radicalmente diversa del potere che percorre tutto il nostro testo. Infatti, se la regalità è "data" ai santi, è perché non è dello stesso ordine di quella delle bestie. Obbedisce a una logica diversa, opera secondo regole diverse e mira a fini diversi.
Il potere delle bestie è un potere di dominio. Si esercita sugli altri, contro gli altri, a spese degli altri. Divide il mondo in dominanti e dominati, predatori e prede. Si nutre di paura e violenza. Conosce una sola direzione: l'espansione, l'accumulo, la divorazion di tutto ciò che gli resiste.
Il potere conferito ai santi è di natura completamente diversa. Non si tratta semplicemente di un trasferimento in cui chi era precedentemente dominato diventa il nuovo dominante, riproducendo gli stessi schemi con altri attori. No. Ciò che viene conferito è una regalità che partecipa della regalità divina stessa. "La sua regalità è una regalità eterna": il possessivo è ambiguo, riferendosi sia ai santi che all'Altissimo. Questo perché la loro regalità non è separata da quella di Dio. Ne è la manifestazione, l'estensione, il riflesso.
Ora, come esercita Dio la sua regalità? Le Scritture ce lo mostrano costantemente: attraverso la giustizia, attraverso misericordiaPrendendosi cura dei piccoli e dei deboli. Il Dio della Bibbia non è un super-imperatore che governa con la forza. È Colui che "rovescia i potenti dai troni e innalza gli umili", come canterà la Bibbia. Sposato nel suo Magnificat. È Lui che si rivela non nell'uragano o nel terremoto, ma nel "sussurro di una brezza leggera", come scoprì Elia.
Questa regalità paradossale troverà la sua espressione più piena nella figura di Gesù. Colui che assumerà il titolo di «Figlio dell'uomo» contemplato da Daniele, colui che affermerà che «gli è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra», eserciterà questa autorità lavando i piedi dei suoi discepoli, guarendo i malatidando il benvenuto i pescatori, morendo su una croce. «I re delle nazioni le dominano e coloro che esercitano il potere su di esse si proclamano benefattori. Ma presso di voi non c'è nulla di simile». Questa è la carta del potere secondo Dio.
Ciò che viene dato ai santi non è quindi una licenza per dominare a loro volta. È una partecipazione al modo divino di regnare. È una responsabilità, non un privilegio. È un servizio, non una ricompensa. I santi non ricevono la regalità per godere del potere, ma per esercitarlo secondo la volontà di Dio.
Questo cambia completamente il nostro rapporto con il potere. Nelle nostre famiglie, nelle nostre comunità, nelle nostre aziende, nelle nostre società, siamo costantemente tentati dal modello animalesco: imporre, controllare e schiacciare tutto ciò che oppone resistenza. La visione di Daniel ci chiama a un percorso diverso. Il vero potere non è ciò che viene imposto, ma ciò che viene dato. Non ciò che prende, ma ciò che riceve. Non ciò che domina, ma ciò che serve.
Questa inversione non è semplicemente una strategia alternativa, una tecnica di gestione più efficiente. È uno spostamento ontologico, una trasformazione del nostro stesso essere. Per esercitare il potere secondo la volontà di Dio, bisogna prima essere trasformati da Lui. Bisogna accettare di ricevere prima di poter dare. Bisogna riconoscere la propria debolezza prima di poter aiutare gli altri. Bisogna rinunciare alla logica animalesca che ancora alberga in noi.
Perché questo è il segreto che Daniele ci rivela: le bestie non sono solo imperi esteriori. Sono anche forze interiori. Questa avidità che vuole divorare tutto, questa arroganza che "pronuncia parole deliranti", questa volontà di potenza che calpesta tutto sul suo cammino – le conosciamo interiormente. Ricevere la regalità dei santi significa anche accettare che queste bestie interiori siano giudicate, detronizzate e annientate, per far posto a un altro modo di essere nel mondo.
Chi sono i santi dell'Altissimo?
La seconda dimensione da esplorare riguarda l'identità di questi misteriosi "santi dell'Altissimo". Chi sono? E soprattutto: possiamo essere tra loro?
La parola ebraica tradotta come "santi" è qaddishin. Non si riferisce principalmente a individui moralmente perfetti o canonizzati da un'autorità religiosa. Significa "coloro che sono separati", "coloro che appartengono all'Altissimo", "coloro che sono consacrati". La santità, nella Bibbia, è meno una qualità morale che una relazione. Ciò che è in relazione con il Dio santo è santo. Coloro che appartengono a Lui sono santi.
Nel contesto immediato di Daniele, i santi si riferiscono al popolo fedele di Israele, a coloro che sostengono l'Alleanza nonostante la persecuzione, a coloro che rifiutano di inchinarsi davanti agli idoli, a coloro che osservano il sabato e le feste a rischio della propria vita. Sono i Maccabei e i loro compagni, i martiri della fede, tutti coloro che hanno preferito la morte all'apostasia.
Ma il testo si apre anche a una dimensione più ampia. Questi santi ricevono una regalità che abbraccia "tutti i regni della terra". La loro vocazione non è quella di formare un piccolo gruppo separato dal resto dell'umanità. È quella di essere le primizie di una nuova umanità, i testimoni di un'altra possibilità, i messaggeri del Regno che viene.
La tradizione cristiana ha visto nei santi dell'Altissimo una figura della Chiesa, questo popolo radunato da tutte le nazioni, ebrei e gentili, unito in Cristo. Non una Chiesa trionfalista che vorrebbe dominare il mondo, ma una Chiesa serva, una Chiesa pellegrina, una Chiesa che porta nella sua carne i segni della persecuzione mentre vive già la vittoria promessa.
Ciò che caratterizza i santi nel nostro testo è che sono perseguitati. Il corno "fa la guerra ai santi e li vince". I santi "sono consegnati in suo potere". Questo dovrebbe farci riflettere. La santità, secondo Daniele, non è una situazione comoda. Espone a contraddizione, ostilità e sofferenza. I santi non sono coloro che sono riusciti a mettersi al riparo dalle bestie. Sono coloro che affrontano le bestie e rimangono saldi.
Questa dimensione di resistenza è essenziale. I santi non sono passivi, in attesa dell'intervento di Dio. Sono impegnati in una lotta. Rifiutano "le parole ostili all'Altissimo". Sostengono "le date delle feste e la Legge" che il corno cerca di cambiare. Oppongono alla menzogna dell'impero la verità della fede. La loro resistenza non è armata – non hanno né denti di ferro né artigli di bronzo – ma è reale, attiva e coraggiosa.
Ed è proprio questa resistenza disarmata a essere vittoriosa. Non per le proprie forze – il corno "prevale su di loro" per un po' – ma per l'intervento del Vecchio. Il giudizio viene dall'alto. La vittoria è data, non conquistata. Ma è data a coloro che hanno resistito, a coloro che non hanno capitolato, a coloro che hanno mantenuto la loro lealtà nonostante tutto.
Questa connessione tra lealtà Lo sforzo umano e l'intervento divino sono cruciali. Evitano due insidie. La prima sarebbe il volontarismo: credere che tutto dipenda dai nostri sforzi, dalla nostra lotta, dalla nostra resistenza. La seconda sarebbe il quietismo: credere che tutto sia predeterminato e che non abbiamo nulla da fare. Daniele ci mostra una via di mezzo: siamo chiamati a perseverare, a resistere, a rimanere fedeli, ma la vittoria finale viene solo da Dio.
Chi può diventare un santo dell'Altissimo? Tu. Io. Chiunque scelga di appartenere al Dio vivente piuttosto che agli idoli di questo mondo. Chiunque si rifiuti di inchinarsi alle bestie del suo tempo. Chiunque mantenga la speranza quando tutto sembra perduto. La santità non è riservata a un'élite spirituale. È offerta a tutti coloro che accettano di ricevere ciò che Dio vuole donare.
Vivere già come eredi del Regno
La terza dimensione riguarda le implicazioni concrete di questa promessa per la nostra vita quotidiana. Se ci viene promessa la regalità, come dovrebbe cambiare il nostro modo di vivere qui e ora?
La prima conseguenza è la liberazione dalla paura. Le bestie sono terrificanti. Il loro potere sembra assoluto. Il corno blasfemo sembra invincibile. Eppure, il loro tempo sta per scadere. Il loro dominio ha una fine. Sapendo questo, possiamo guardarle in modo diverso. Non ingenuamente, come se non fossero pericolose. Ma senza quel terrore paralizzante che ci farebbe rinunciare alla nostra libertà interiore.
Pensa alle situazioni della tua vita in cui ti senti schiacciato da forze al di fuori del tuo controllo: un sistema economico spietato, una burocrazia kafkiana, dinamiche relazionali tossiche, dipendenze che sembrano invincibili. La visione di Daniel non promette che queste bestie scompariranno domani mattina. Afferma che non sono eterne, che il loro potere è già stato giudicato, che la loro fine è certa. Questa certezza può cambiare il nostro rapporto con l'oppressione. Ci permette di evitare di assolutizzare ciò che è solo relativo, di evitare di perpetuare ciò che è temporaneo.
La seconda conseguenza è il senso di responsabilità. Se la regalità ci è destinata, dobbiamo iniziare a esercitarla ora, nei limiti delle nostre circostanze presenti. Ogni atto di giustizia che compiamo, ogni parola di verità che pronunciamo, ogni gesto di misericordia che compiamo è un assaggio del Regno promesso. Non siamo condannati ad attendere passivamente. Possiamo già vivere come cittadini del mondo a venire.
Ciò si traduce in cose molto concrete. Nella nostra famiglia, esercitare la regalità dei santi significa creare uno spazio di gentilezza, perdono e crescita reciproca. Nel nostro lavoro, significa rifiutarci di scendere a compromessi con l'ingiustizia, trattare ogni persona con dignità e mettere le nostre competenze al servizio del bene comune. Nel nostro impegno civico, significa lavorare per una società più giusta, difendere i più vulnerabili e resistere ai discorsi d'odio e alla retorica divisiva.
La terza conseguenza è la solidarietà con i perseguitati. I santi di Daniele sono "abbandonati al potere" del corno. Subiscono persecuzioni. Ancora oggi, milioni di cristiani sono perseguitati per la loro fede in tutto il mondo. Milioni di altri soffrono sotto regimi oppressivi, in situazioni di sfruttamento, violenza e ingiustizia. Se apparteniamo al popolo dei santi, la loro causa è la nostra causa. La loro lotta è la nostra lotta. Non possiamo semplicemente aspettare la nostra incoronazione; dobbiamo stare al fianco di coloro che soffrono ora.
La quarta conseguenza è il distacco dalle attuali forme di potere. Se la vera regalità è quella che viene da Dio, le regalità terrene perdono il loro carattere assoluto. Possiamo rispettarle, collaborare con loro quando servono. il bene comuneMa non dobbiamo loro una fedeltà incondizionata. "Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini", come direbbero gli apostoli. Questa relativizzazione del potere politico è una delle eredità più preziose della tradizione biblica. Fonda la possibilità stessa di critica, resistenza e disobbedienza civile quando le circostanze lo richiedono.
La quinta conseguenza è la pazienza attiva. Il Regno è promesso, ma non è ancora pienamente realizzato. Viviamo in una fase intermedia, tra la promessa e il suo compimento. Questa situazione richiede una pazienza che non è rassegnazione, ma perseveranza. Seminiamo semi di cui potremmo non vedere il raccolto. Gettiamo fondamenta su cui altri costruiranno. Partecipiamo a un'opera che ci supera infinitamente. Questa consapevolezza può liberarci dall'ossessione dei risultati immediati e darci la lunga pazienza dei costruttori di cattedrali.

Echi nella tradizione
La visione di Daniele ha continuato a risuonare nel corso dei secoli, alimentando le riflessioni dei teologi, le preghiere dei mistici e le speranze delle comunità perseguitate. Alcuni echi di questa ricca tradizione meritano di essere menzionati.
I Padri della Chiesa interpretarono questo testo come una profezia di Cristo e della sua Chiesa. Per Ireneo di Lione, nel II secolo, le quattro bestie rappresentano la successione degli imperi pagani e i santi dell'Altissimo prefigurano la comunità cristiana chiamata a regnare con Cristo. Per Ippolito di Roma, il corno arrogante annuncia l'Anticristo, la figura dell'opposizione definitiva a Dio che sarà sconfitta alla fine dei tempi.
Agostino d'Ippona, nella sua monumentale Città di Dio, sviluppò una teologia della storia ispirata a Daniele. La storia umana è l'arena di un confronto tra due città: la città terrena, fondata sull'amore di sé fino al disprezzo di Dio, e la città celeste, fondata sull'amore di Dio fino al disprezzo di sé. Gli imperi passano, con la loro gloria e la loro violenza, ma la Città di Dio rimane. Questa visione ha segnato profondamente la coscienza occidentale, offrendo un quadro di riferimento per pensare alle catastrofi storiche: la caduta di Roma, le invasioni barbariche e molte altre prove ancora da venire.
Nel Medioevo, l'abate Gioacchino da Fiore propose una lettura trinitaria della storia, discernendo in Daniele e l'Apocalisse I segni di una futura Era dello Spirito in cui la regalità dei santi si sarebbe pienamente realizzata. Le sue idee, a volte controverse, hanno alimentato numerosi movimenti di riforma e rinnovamento spirituale.
Nella spiritualità carmelitana, Giovanni della Croce Meditava sul passaggio dalle bestie interiori – quegli attaccamenti disordinati che ci tiranneggiano – alla libertà dei figli di Dio. La notte oscura dell'anima, questa prova purificatrice, è come il momento in cui il corno sembra trionfare. Ma l'alba sta arrivando, e con essa la regalità promessa.
La tradizione liturgica colloca questo testo nelle ultime settimane dell'anno, quando la Chiesa contempla la fine dei tempi e la venuta di Cristo nella gloria. Questa scelta non è di poco conto. Essa invita i fedeli a rileggere la propria storia alla luce della promessa, a discernere le follie del loro tempo e a mantenere la speranza nonostante le apparenze contrarie.
Più vicini ai nostri giorni, i teologi della liberazione hanno trovato in Daniele una risorsa per riflettere sulla resistenza alle strutture di oppressione. Il Dio di Daniele è un Dio che si schiera dalla parte delle vittime, che giudica gli imperi, che promette giustizia ai poveri. Questa interpretazione, a volte contestata, ha alimentato l'impegno di molti cristiani verso i più vulnerabili.
La figura dei santi dell'Altissimo continua a prendere forma nella storia. Dietrich Bonhoeffer, combattente della resistenza contro il nazismo, visse questa santità fino al martirio. Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador, fu assassinato per aver difeso i contadini oppressi. Milioni di testimoni anonimi, di tutte le fedi e culture, incarnano questa coraggiosa fedeltà che si rifiuta di cedere alle forze del loro tempo.
Camminando con Daniel
Come possiamo permettere a questo testo di agire dentro di noi, trasformare la nostra prospettiva e rinnovare la nostra speranza? Ecco alcuni suggerimenti per un'appropriazione personale.
Primo passo: prendetevi il tempo di contemplare le bestie. Non con compiacimento, ma con lucidità. Quali sono le forze che, nel nostro mondo e nelle nostre vite, "divorano, sbranano e calpestano"? Quali sistemi, quali strutture, quali dinamiche esercitano questo brutale dominio? E soprattutto: quali bestie ancora dimorano in noi – questa avidità, questa volontà di potenza, questa paura che a volte ci rende noi stessi oppressori? Questa contemplazione non ha lo scopo di deprimerci, ma di dare un nome a ciò contro cui stiamo lottando.
Secondo passo: alzate gli occhi al trono. Il Vecchio siede. Il tribunale è al suo posto. La sentenza è già stata pronunciata. Nel cuore del caos, una presenza pacifica sostiene la sovranità del bene. Contemplare questa presenza significa ritrovare il senso delle proporzioni. Le bestie sono grandi, ma Dio è più grande. Il loro potere è reale, ma il Suo potere è supremo.
Terzo passo: accettare di essere "liberati" per un certo tempo. Il corno prevale sui santi. Questa fase è dolorosa ma necessaria. Mette alla prova la forza della nostra fede. Ci libera dall'illusione di poter essere risparmiati dalla prova. Ci unisce a tutti coloro che soffrono per la giustizia. Accettare questa vulnerabilità significa rifiutare la fantasia di onnipotenza, che è proprio il peccato delle bestie.
Quarto passo: trattenere lealtàDurante questo "tempo, tempi e metà tempo", cosa dovremmo fare? Mantenere. Preservare. Perseverare. Continuare a celebrare le festività che il corno cerca di sopprimere. Continuare a vivere secondo la Legge che cerca di cambiare. Continuare a proclamare la verità che cerca di soffocare. Questa fedeltà silenziosa è già una vittoria.
Quinto passo: ricevere la regalità. Non prenderla. Non meritarla. Riceverla come un dono. Questo implica una trasformazione del nostro rapporto con il potere. Finché vogliamo dominare, non possiamo ricevere. È accettando di non essere i padroni che diventiamo capaci di regnare, con un regno che è servizio, dono, amore.
Sesto passo: esercitare questa regalità adesso. Nelle piccole cose della vita quotidiana. Nelle nostre relazioni. Nei nostri impegni. Ovunque possiamo portare un po' di giustizia, pace e verità. Il Regno non è solo per domani. Inizia oggi, in ogni azione che ne porta il segno.
Settimo passo: attendere con fiducia. Il risultato non è nelle nostre mani. La vittoria finale viene da Dio. Questa attesa non è passiva: è gravida di tutto ciò che abbiamo seminato. Ma è anche umile: riconosce che il compimento è al di là del nostro controllo. Attendere in questo modo significa vivere nella speranza.
Il potere trasformativo di una promessa
Alla fine di questo viaggio, cosa dovremmo imparare? Innanzitutto: la visione di Daniele non è semplicemente un documento storico che testimonia le speranze di un popolo oppresso più di duemila anni fa. È un messaggio vivo che continua a sfidarci, a provocarci, a trasformarci.
Ci dice che la storia ha un significato. Non un significato ovvio, leggibile sulla superficie degli eventi. Ma un significato profondo, nascosto, che la fede può discernere. Gli imperi cadono. Le bestie si sgretolano. Ciò che rimane è la regalità conferita ai santi. Questa convinzione può sostenerci nelle prove più ardue.
Ci dice anche che siamo chiamati a una vocazione straordinaria. Non a essere sottomessi alla storia, ma a diventarne attori. Non a rassegnarci al regno delle bestie, ma a inaugurare un altro regno. Non a imitare la violenza dei potenti, ma a esercitare un potere di ordine completamente diverso: il potere dell'amore, del servizio e del dono.
Ci dice infine che questa vocazione è parte di una comunità e di un impegno a lungo termine. Non siamo individui isolati in cerca della propria salvezza personale. Siamo il "popolo dei santi dell'Altissimo", eredi di una lunga storia di fedeltà, responsabili di trasmettere la speranza alle generazioni future.
Di fronte alle bestie del nostro tempo – che si tratti di sistemi economici distruttivi, regimi politici oppressivi, ideologie disumanizzanti o dei nostri demoni interiori – la visione di Daniele ci invita a un triplice movimento: lucidità per riconoscerle, resistenza per contrastarle, fiducia nel sapere che il loro potere non è l'ultima parola.
Possiamo già vivere come eredi del Regno. Non in un ingenuo trionfalismo che ignora la realtà della sofferenza e del male, ma in quella speranza attiva che trasforma il presente alla luce del futuro promesso. Ogni atto di giustizia, ogni parola di verità, ogni gesto di compassione è una pietra posta sulle fondamenta del mondo a venire.
Regnanza, dominio e potere sono dati al popolo dei santi dell'Altissimo. Questa promessa attende solo il nostro "sì" per iniziare a compiersi: in noi, attraverso di noi, a volte nonostante noi, ma mai senza di noi.
Agisci
• Identificare un animale Questa settimana, nomina una forza oppressiva nella tua vita o nel tuo ambiente e pensa a un modo concreto per resisterle.
• Praticare il potere di servizio : scegli una situazione in cui hai autorità ed esercitala deliberatamente come servizio piuttosto che come dominio.
• Unisciti ai perseguitati : scopri di più su Cristiani perseguitati oggi (o altri gruppi oppressi) e impegnarsi concretamente con loro: preghiera, donazioni, advocacy.
• Meditare Daniele 7 : prenditi quindici minuti al giorno per una settimana per rileggere lentamente questo testo, lasciando che le immagini agiscano dentro di te.
• Festeggia nonostante tutto : mantenere fedelmente un pratica spirituale (preghiera, Eucaristia, Sabbath) come atto di resistenza contro le forze che vogliono separarci da Dio.
• Condividere la speranza : Racconta a qualcuno perché continui ad avere fiducia in te stesso nonostante le difficoltà: questa parola può essere una luce per gli altri.
• Esamina i tuoi animali In un regolare esame di coscienza, identifica le dinamiche di dominio che risiedono nel tuo cuore e affidale a misericordia divine.
Riferimenti
– Daniele 715-27 (traduzione liturgica) – Ireneo di Lione, Contro le eresieLibro V – Agostino d’Ippona, La città di Dio, libri XVIII-XX – Giovanni della Croce, La salita del Carmelo E La notte oscura – John J. Collins, Daniele: Un commento al libro di Daniele (Hermeneia) – Jacques Ellul, Apocalisse: Architettura in movimento – Gustavo Gutiérrez, Teologia della liberazione


