Lettura dal libro di Ben Sira il Saggio
Il Signore è un giudice
che si mostra imparziale nei confronti delle persone.
    Non discrimina i poveri,
Ascolta la preghiera degli oppressi.
    Non disprezza la supplica dell'orfano,
né la ripetuta lamentela della vedova.
    Colui il cui servizio è gradito a Dio sarà ben accolto,
la sua supplica raggiungerà il cielo.
    La preghiera dei poveri trafigge le nubi;
finché lei non ha raggiunto il suo obiettivo, lui rimane inconsolabile.
Egli persevera finché l'Altissimo non lo guarda,
    né pronunciata sentenza a favore dei giusti e resa giustizia.
– Parola del Signore.
Quando la preghiera degli umili rompe il silenzio del cielo
La voce dei dimenticati giunge al trono di Dio: scopri come la povertà spirituale apre una via privilegiata verso il cuore dell’Altissimo e trasforma il nostro rapporto con la giustizia divina.
In un mondo in cui successo e forza sembrano regnare sovrani, il libro di Ben Sira rivela un capovolgimento radicale: è la preghiera dei poveri, dei deboli, degli oppressi che squarcia le nubi e giunge direttamente al cuore di Dio. Questo brano del Siracide (Sir 35,15b-17.20-22a) proclama una verità sconvolgente per sempre: Dio non è indifferente alla condizione umana; è un giudice imparziale che ascolta di preferenza coloro che il mondo ignora. Questa parola antica, scritta nel II secolo a.C., risuona con forza profetica nella nostra società contemporanea e ci invita a riscoprire il potere trasformativo della preghiera degli umili.
Questo articolo vi guiderà attraverso cinque movimenti essenziali: in primo luogo, collocheremo questo testo nel suo contesto storico e spirituale; in secondo luogo, analizzeremo il paradosso divino dell'imparzialità che favorisce i poveri; poi esploreremo tre dimensioni fondamentali: la giustizia divina, la perseveranza nella preghiera e la solidarietà con gli oppressi; poi stabiliremo legami con la grande tradizione cristiana; e infine, proporremo modi concreti per incarnare questo messaggio nella nostra vita quotidiana.

Contesto
Il Libro del Siracide, noto anche come Siracide o Ecclesiastico, occupa un posto speciale nella storia biblica. Scritto in ebraico intorno al 180 a.C. da Yeshua Ben Siracide, un saggio di Gerusalemme, quest'opera di saggezza fu composta in un momento cruciale della storia ebraica. L'autore visse in un periodo di intensa tensione in cui la cultura ellenistica, alimentata dalle conquiste di Alessandro Magno, minacciava di dissolvere l'identità religiosa del popolo ebraico. Di fronte a questa ondata di assimilazione culturale, il Siracide si propose di riaffermare la forza e la rilevanza della tradizione ebraica, dimostrando che la saggezza di Israele non aveva nulla da invidiare alle filosofie greche.
Questo contesto storico spiega il tono particolare del libro: Ben Sira cerca di trasmettere una saggezza radicata nella Legge e nei Profeti, pur dialogando con le sfide del suo tempo. Il saggio probabilmente insegnava in una scuola di Gerusalemme, formando i giovani alle virtù necessarie per orientarsi in un mondo complesso. Suo nipote tradusse poi l'opera in greco intorno al 132 a.C., consentendone la diffusione in tutto il mondo mediterraneo e la sua inclusione nella Settanta, la Bibbia greca dei primi cristiani.
Il nostro brano specifico, situato nel capitolo 35, rientra in una sezione del libro dedicata all'autentica pratica religiosa. Ben Sira ha appena discusso il valore dei sacrifici e del culto, sostenendo che l'osservanza della Legge vale più di molte offerte rituali. È in questo contesto che introduce un insegnamento fondamentale sulla natura di Dio e sul suo rapporto con i poveri, gli oppressi, gli orfani e le vedove, quelle categorie di persone che, nel mondo antico, si trovavano prive di protezione legale o sociale.
Il testo liturgico che stiamo studiando ha una struttura attentamente elaborata: inizia con l'affermazione dell'imparzialità divina, prosegue con l'enumerazione di coloro che Dio ascolta in modo particolare (i poveri, gli oppressi, l'orfano, la vedova), culmina poi con la potente immagine della preghiera trafitta dalle nubi e si conclude con la garanzia della perseveranza premiata. Questa progressione rivela una profonda teologia della preghiera e della giustizia divina, in cui l'apparente debolezza umana diventa paradossalmente la via privilegiata per raggiungere il cuore di Dio.
Il paradosso divino svelato
Al centro del nostro testo c'è un affascinante paradosso che destabilizza le nostre consuete concezioni di giustizia: Dio è presentato come un giudice "che si mostra imparziale verso le persone", eppure, subito dopo, il testo afferma che "non fa discriminazioni tra i poveri" e che "ascolta la preghiera degli oppressi". Come possiamo conciliare questa imparzialità divina con quella che sembra essere una spiccata preferenza per i poveri?
Questo apparente paradosso rivela in realtà una profonda comprensione della vera giustizia. L'imparzialità di Dio non significa che Egli tratti tutti gli esseri umani allo stesso modo, indipendentemente dalle loro circostanze; significa piuttosto che Egli non è influenzato dai criteri di potere, ricchezza o status sociale che dominano i giudizi umani. Nelle società antiche, come nelle nostre, i tribunali umani spesso favoriscono, consapevolmente o meno, i potenti, i ricchi, coloro che hanno conoscenze e i mezzi per difendersi. Dio, d'altra parte, inverte questa logica perversa: la sua imparzialità consiste proprio nel non riprodurre le ingiustizie strutturali che caratterizzano le nostre società.
Affermando che Dio "non discrimina i poveri", Ben Sira traccia un contrasto implicito ma potente con le pratiche giudiziarie del suo tempo. I poveri, gli orfani e le vedove erano sistematicamente svantaggiati nei tribunali umani: non avevano i mezzi per corrompere i giudici, le conoscenze per far valere i propri diritti e spesso persino la conoscenza delle procedure legali. Di fronte a questa ingiustizia strutturale, Dio si presenta come il giudice che ristabilisce l'equilibrio, che dà voce a coloro che vengono messi a tacere, che porge orecchio a coloro che non vengono mai ascoltati.
Questo paradosso dell'imparzialità preferenziale trova la sua spiegazione ultima nella natura stessa di Dio come creatore e padre di tutti. Proprio perché è padre di tutti, Dio si preoccupa maggiormente del bambino in pericolo, del bambino ferito, del bambino dimenticato. Questa "opzione preferenziale per i poveri", per usare l'espressione della teologia moderna, non è un'esclusione dei ricchi, ma una correzione dell'esclusione che i poveri già subiscono nell'ordine sociale. Manifesta la volontà divina di ripristinare un'uguaglianza fondamentale calpestata dalle strutture umane di oppressione.
Ben Sira sviluppa questa visione moltiplicando le categorie di persone a cui Dio presta particolare ascolto: gli oppressi, l'orfano, la vedova. Queste tre figure rappresentano gli archetipi della vulnerabilità sociale nella Bibbia. Gli oppressi subiscono l'ingiustizia di un sistema che li schiaccia; l'orfano ha perso il protettore naturale, il padre, in una società patriarcale; la vedova ha perso il suo status sociale e legale con la morte del marito. Tutti e tre condividono una caratteristica comune: la loro impotenza di fronte alle strutture stabilite, la loro incapacità di far valere i propri diritti attraverso mezzi convenzionali. È proprio questa impotenza che apre una via diretta verso Dio.

Giustizia divina in azione
La prima dimensione fondamentale del nostro testo riguarda la natura stessa della giustizia di Dio, che si oppone radicalmente alle forme corrotte di giustizia che conosciamo nelle società umane. Quando Ben Sira proclama che "il Signore è un giudice imparziale verso le persone", non sta semplicemente facendo un'affermazione teologica astratta; sta annunciando una rivoluzione nella nostra comprensione di cosa sia la vera giustizia.
Nel mondo antico, come in molte società contemporanee, la giustizia era – e rimane – in vendita. I giudici accettavano tangenti, favorivano amici e parenti ed emettevano verdetti basati sullo status sociale delle parti in causa piuttosto che sulla verità dei fatti. Questa corruzione del sistema giudiziario era una delle lamentele più ricorrenti dei profeti ebrei, da Amos a Isaia, da Michea a Geremia. Essi denunciavano instancabilmente i giudici che "vendevano il giusto per denaro e il povero per un paio di sandali".
Di fronte a questa diffusa perversione, la dichiarazione di Ben Sira risuona come un tuono di speranza. Esiste un tribunale dove i dadi sono tratti in anticipo, dove la bilancia non pende a favore del miglior offerente, dove la voce dei deboli conta quanto – o addirittura di più – quella dei potenti. Questo tribunale è il cuore stesso di Dio, accessibile attraverso la preghiera. Questa affermazione aveva – e conserva ancora oggi – un significato profondamente sovversivo. Significa che l'ordine sociale stabilito, con le sue gerarchie e i suoi privilegi, non riflette l'ordine divino; significa che gli ultimi sulla terra possono essere i primi nel giudizio di Dio.
Questa visione della giustizia divina come riequilibrio fondamentale trova un'eco particolare nell'esperienza concreta della preghiera. Quando una persona oppressa prega, compie un atto di resistenza spirituale contro l'ingiustizia che la travolge. Afferma che al di là delle apparenze, al di là delle strutture sociali che la mantengono impotente, esiste un'autorità superiore che vede, che ascolta, che si prende cura. Questa affermazione non è una fuga verso l'aldilà, una rassegnazione passiva di fronte all'ingiustizia; al contrario, è la fonte di una speranza che ci permette di continuare a resistere, a esigere, a perseverare nonostante le avversità.
Ben Sira sottolinea in particolare che Dio "non disprezza la supplica dell'orfano, né il lamento ripetuto della vedova". Il verbo "disprezzare" è qui cruciale: descrive l'atteggiamento abituale dei potenti verso le lamentele dei deboli, questo modo di ignorare le loro suppliche, di trattarle come quantità trascurabili. Dio, tuttavia, non disprezza. Prende sul serio ciò che gli uomini ritengono insignificante; ascolta attentamente ciò che i tribunali umani respingono senza esaminarlo. Questa attenzione divina agli ultimi rivela una gerarchia di valori radicalmente diversa da quella che governa le nostre società.
La giustizia divina implica anche una dimensione temporale essenziale: sarà esercitata. Il testo afferma che Dio "pronuncerà la sentenza in favore dei giusti e renderà giustizia". Questa promessa di giustizia futura non è un oppio destinato a cullare gli oppressi affinché attutiscano la loro sventura; è una garanzia che alimenta la perseveranza e la resistenza. Sapere che la situazione attuale non è definitiva, che l'ultima parola non appartiene agli oppressori, che le lacrime di oggi saranno asciugate domani, ci dà la forza di rimanere saldi nei momenti di prova. Questa speranza escatologica costituisce uno dei pilastri della fede biblica e cristiana..
Perseveranza nella preghiera
La seconda dimensione centrale del nostro testo riguarda la natura stessa della preghiera del povero e la sua caratteristica essenziale: la perseveranza. L'immagine usata da Ben Sira è di notevole poesia: "La preghiera del povero attraversa le nuvole; finché non ha raggiunto la meta, egli rimane inconsolabile". Questa metafora dell'attraversamento delle nuvole rivela diversi aspetti fondamentali dell'esperienza spirituale degli oppressi.
Le nuvole, nell'immaginario biblico, rappresentano spesso la barriera tra il mondo terreno e quello celeste, tra l'umano e il divino. Evocano sia la vicinanza che la distanza di Dio: vicine perché le nuvole fanno parte della nostra esperienza quotidiana del cielo, distanti perché velano ciò che sta al di là. Affermando che la preghiera del povero "trapassa le nuvole", Ben Sira proclama che questa preghiera ha un potere speciale di colmare la distanza tra la terra e il cielo, di squarciare il velo che nasconde il volto di Dio. Questa è un'affermazione straordinaria: la preghiera balbettante del povero, forse priva di eloquenza e di formule sofisticate, raggiunge direttamente il trono di Dio con maggiore sicurezza delle elaborate preghiere dei potenti.
Ma il testo non si ferma a questa prima immagine. Aggiunge una precisazione cruciale: «finché non ha raggiunto il suo scopo, rimane inconsolabile». Questa frase rivela la dimensione esistenziale della preghiera del povero: nasce da un bisogno reale, urgente, vitale. Non è una preghiera di conforto o di routine, è un grido strappato dall'angoscia, una supplica che coinvolge tutto l'essere. L'«inconsolabilità» del povero non è una debolezza, ma una forza: manifesta l'autenticità della sua preghiera, l'impossibilità di accontentarsi di risposte superficiali o di consolazioni artificiali. Questa preghiera può essere placata solo da una vera risposta, da un vero intervento, da una vera giustizia.
La perseveranza è al centro di questa spiritualità della preghiera dei poveri. Ben Sira insiste: "Egli persevera finché l'Altissimo non lo abbia guardato, abbia pronunciato la sentenza in favore dei giusti e abbia reso giustizia". Questa perseveranza non è testardaggine o ostinazione; è fedeltà a una speranza contro ogni previsione. È il rifiuto di rassegnarsi al male, di adattarsi all'ingiustizia, di accettare come definitiva una situazione che nega la dignità umana. Questa perseveranza nella preghiera diventa così un atto di resistenza spirituale, un'affermazione ostinata che le cose possono e devono cambiare.
La Chiesa primitiva, di fronte alla persecuzione e alle difficoltà, meditò profondamente su questo insegnamento di Ben Sirah. Vi trovò un modello di preghiera per i momenti difficili: una preghiera che non si arrende, che continua a bussare alla porta del cielo anche quando sembra chiusa, che si rifiuta di tacere anche nell'apparente silenzio di Dio. Questa spiritualità della perseveranza è radicata nella convinzione che Dio alla fine risponde sempre, che la sua giustizia finisce sempre per compiersi, anche se i suoi ritardi superano la nostra comprensione.Francia-Cattolico+4
La perseveranza nella preghiera rivela anche una dimensione profonda della relazione con Dio: manifesta la fiducia. Perseverare nella preghiera nonostante l'apparente assenza di risposta significa affermare che Dio esiste, che ascolta, che si prende cura di noi, che agirà a suo tempo. È un atto di fede che trascende l'esperienza immediata del silenzio o dell'assenza. In questa prospettiva, la perseveranza stessa diventa una forma di risposta: continuando a pregare, i poveri ricevono già qualcosa da Dio, una forza interiore che permette loro di non sprofondare nella disperazione, una speranza che li mantiene in piedi nonostante le avversità.
Ben Sira stabilisce anche un legame tra la qualità della preghiera e la qualità del servizio reso a Dio: "Chi serve Dio con benevolenza sarà accolto, la sua supplica giungerà fino al cielo". Questo versetto suggerisce che la preghiera autentica è parte di un insieme più ampio di fedeltà a Dio. Non è una tecnica magica per ottenere favori, ma l'espressione di una relazione viva, nutrita dall'osservanza della Legge, dalla pratica della giustizia e dall'interesse per gli altri. La preghiera che "raggiunge il cielo" è quella che nasce da una vita coerente con le esigenze divine.

Solidarietà con gli oppressi
La terza dimensione essenziale del nostro testo riguarda l'implicita chiamata alla solidarietà con coloro che Dio preferisce ascoltare. Se Dio si schiera dalla parte dei poveri, degli orfani, delle vedove e degli oppressi, allora coloro che vogliono camminare con Dio devono fare lo stesso. Questa logica percorre tutta la Bibbia e costituisce uno dei criteri fondamentali per l'autenticità della fede.
Il testo di Ben Sira ci pone di fronte a un interrogativo inquietante: da che parte stiamo? Siamo tra coloro le cui preghiere faticano a varcare le nubi perché nascono da una vita segnata dall'indifferenza verso la sofferenza altrui? Oppure accettiamo di identificarci con i poveri, di fare nostre le loro cause, di unirci alle loro preghiere? Queste domande non sono retoriche; coinvolgono tutta la nostra esistenza cristiana.
La tradizione cattolica ha elaborato questa intuizione con il nome di “opzione preferenziale per i poveri”. Questa espressione, resa popolare dalla teologia latinoamericana e fatta propria dal magistero della Chiesa, afferma che i cristiani devono fare proprie le priorità di Dio stesso. Come ha sottolineato Papa Benedetto XVI, “l’opzione preferenziale per i poveri è implicita nella fede cristologica in quel Dio che si è fatto povero per noi, per arricchirci con la sua povertà”. Questa opzione non è semplicemente un’ulteriore scelta ideologica o politica; scaturisce direttamente dalla natura stessa di Dio rivelata nella Scrittura e incarnata in Gesù Cristo.
Questa solidarietà con gli oppressi deve tradursi concretamente nelle nostre vite. Implica innanzitutto una conversione di prospettiva: imparare a vedere i poveri non come oggetti di pietà o di carità condiscendente, ma come soggetti privilegiati della rivelazione divina, come coloro attraverso i quali Dio ci parla e ci interpella. Questa conversione di prospettiva trasforma radicalmente le nostre relazioni sociali e i nostri impegni. Ci spinge ad ascoltare veramente i poveri, a imparare da loro, a riconoscere in loro una saggezza e una dignità che le nostre società negano sistematicamente.
La solidarietà con gli oppressi implica quindi un impegno per la giustizia sociale. Non possiamo affermare che Dio ascolti preferenzialmente i poveri e rimanere indifferenti alle strutture sociali, economiche e politiche che creano e mantengono la povertà. La preghiera dei poveri che squarcia le nubi ci chiama a lavorare affinché questa preghiera trovi risposta non solo nell'aldilà, ma anche nel qui e ora, in trasformazioni concrete che riducano l'ingiustizia e restituiscano dignità. È qui che la dimensione contemplativa della preghiera incontra la dimensione attiva dell'impegno per la giustizia.
Questa solidarietà ha anche un'importante dimensione liturgica e comunitaria. Quando la Chiesa si riunisce per pregare, deve essere il luogo in cui la voce dei poveri può esprimersi, dove le loro preoccupazioni diventano le nostre preoccupazioni, dove la loro preghiera diventa la nostra preghiera. Troppo spesso, le nostre liturgie riflettono le preoccupazioni delle classi medie e alte, oscurando il grido degli emarginati. Una Chiesa fedele al messaggio di Ben Sira sarebbe una Chiesa in cui la preghiera dei poveri è centrale, dove gli ultimi hanno la prima parola.
Infine, la solidarietà con gli oppressi implica una certa forma di povertà spirituale per tutti i cristiani. Anche coloro che non sono materialmente poveri sono chiamati a coltivare questo atteggiamento interiore dei poveri che riconoscono la loro totale dipendenza da Dio, che non ripongono la loro fiducia nelle ricchezze o nel potere, che mantengono il loro cuore libero e disponibile. È ciò che Gesù chiamerà i "poveri in spirito" nelle Beatitudini, questa disposizione interiore che permette alla preghiera di squarciare le nubi indipendentemente dalla nostra condizione sociale.
Tradizione
Il nostro brano di Ben Sira ha profondamente influenzato la tradizione spirituale e teologica del cristianesimo, sebbene il libro del Siracide occupi uno status speciale nel canone biblico. I Padri della Chiesa, pur consapevoli dei dibattiti sulla canonicità di questo libro, lo hanno citato e meditato ampiamente, riconoscendone la profonda saggezza spirituale.
San Cipriano di Cartagine, nel III secolo, citava regolarmente il Siracide nei suoi scritti, considerandolo una fonte di autentico insegnamento sulla vita cristiana. Questa pratica era comune tra i Padri latini, che distinguevano tra il "canone della fede" (libri la cui autorità era universalmente riconosciuta) e il "canone della lettura ecclesiastica" (libri utili per l'istruzione spirituale). Il Siracide apparteneva chiaramente a quest'ultima categoria, e il suo insegnamento sulla preghiera dei poveri trovò particolare risonanza nelle comunità cristiane che affrontavano persecuzioni e ingiustizie.
Rabano Mauro, vescovo di Magonza nel IX secolo, compose il primo commento cristiano sistematico al libro del Siracide. Nel suo approccio edificante, sottolineò come gli insegnamenti del Siracide prefigurassero e preparassero la strada alla rivelazione evangelica. Per lui, il tema della preghiera dei poveri trovava il suo compimento nell'insegnamento di Gesù sulle Beatitudini e nella sua stessa identificazione con i poveri e gli emarginati.
La tradizione spirituale medievale ha sviluppato una ricca teologia della preghiera dei poveri. Gli ordini mendicanti, in particolare francescani e domenicani, hanno fatto della povertà evangelica il cuore del loro carisma. San Francesco d'Assisi, sposando Madonna Povertà, ha riscoperto intuitivamente l'insegnamento di Ben Sira: è nell'abnegazione volontaria, nell'identificazione con gli ultimi, che la preghiera acquista il suo massimo potere di penetrare le nubi e raggiungere il cuore di Dio.
La spiritualità del Rosario, questa "preghiera dei poveri" per eccellenza, prosegue anche la tradizione del Siracide. Semplice, ripetitivo, accessibile a tutti senza bisogno di erudizione teologica, il Rosario permette agli umili di unirsi a Maria nella sua meditazione sui misteri della salvezza. Questa preghiera popolare, così amata dalla gente comune, dai malati e da quanti non hanno parole erudite, testimonia la verità già proclamata da Ben Siracide: Dio ascolta più volentieri le preghiere semplici che sgorgano da un cuore sincero che i sofisticati discorsi teologici.
La tradizione liturgica cattolica ha inserito il nostro brano nel lezionario domenicale, proponendolo regolarmente ai fedeli per la meditazione. Questa presenza liturgica garantisce che l'insegnamento di Ben Sira continui a nutrire la coscienza cristiana, ricordando alla Chiesa che deve tenere lo sguardo rivolto ai poveri se vuole rimanere fedele al suo Signore.
Più di recente, il magistero pontificio ha esplicitamente evidenziato questo testo. Papa Francesco, nel suo messaggio per l'VIII Giornata Mondiale dei Poveri del 2024, ha posto al centro un versetto simile al nostro: "La preghiera del povero sale fino a Dio". In questo messaggio, il Papa dispiega tutte le implicazioni ecclesiologiche e spirituali dell'insegnamento di Ben Sira, insistendo sul fatto che "i poveri occupano un posto privilegiato nel cuore di Dio". Arriva persino a citare un versetto che non compare nel nostro estratto ma che ne illumina potentemente il significato: "Le lacrime della vedova non scendono forse sulle guance di Dio?" (Sir 35,18). Questa commovente immagine rivela fino a che punto Dio si identifichi con la sofferenza del povero, al punto da esserne egli stesso toccato nel suo intimo.
Questa insistenza di Papa Francesco è in linea con l'intera dottrina sociale della Chiesa sviluppatasi a partire dal XIX secolo. L'"opzione preferenziale per i poveri", formalizzata dai vescovi latinoamericani e adottata dalla Chiesa universale, trova una delle sue radici bibliche più profonde nel nostro testo del Siracide. Essa afferma che la Chiesa può essere fedele al Vangelo solo schierandosi risolutamente dalla parte dei poveri e degli oppressi, non per filantropia o ideologia, ma per fedeltà a quel Dio che ascolta preferenzialmente la loro preghiera.
Meditazione
Come possiamo tradurre il potere trasformativo di questo messaggio biblico nella nostra vita quotidiana? Ecco alcune idee concrete per incarnare l'insegnamento di Ben Sira sulla preghiera dei poveri.
Primo passo: coltivare la povertà interioreInizia ogni momento di preghiera con un atto di umiltà, riconoscendo davanti a Dio la tua povertà fondamentale, la tua totale dipendenza da Lui. Qualunque siano le tue risorse materiali, entra nella disposizione interiore dei poveri che non hanno nulla da offrire se non il loro cuore aperto e il loro bisogno. Questo atteggiamento spirituale permette alla tua preghiera di penetrare le nubi.
Secondo passo: pratica la perseveranza nell'intercessioneIndividua una situazione di ingiustizia che ti tocca in modo particolare, a livello locale, nazionale o internazionale. Impegnati a pregare per questa causa ogni giorno, con la tenacia dei poveri che "perseverano finché l'Altissimo non li guarda". Mantieni presente questa intenzione nella tua preghiera anche quando non sembra verificarsi alcun cambiamento visibile.
Terzo passo: ascoltare davvero i poveriCercate opportunità concrete per incontrare persone che vivono in povertà o esclusione. Ma non limitatevi ad atti di carità; impegnatevi ad ascoltare veramente le loro storie, le loro preoccupazioni, la loro visione del mondo. Lasciate che le loro parole trasformino la vostra preghiera e le vostre priorità.
Quarto passo: semplifica la tua preghieraCome la preghiera dei poveri, priva di sofisticata eloquenza ma piena di autenticità, semplificate le vostre formule di preghiera. Privilegiate parole semplici, grida del cuore e silenzi immersi, piuttosto che lunghe composizioni teologiche. Riscoprite la potenza delle preghiere tradizionali, accessibili a tutti, come il Padre Nostro o l'Ave Maria.F
Quinto passo: dedica la tua vita alla giustiziaLa preghiera dei poveri non può rimanere isolata da un impegno concreto per la giustizia. Individua un'azione concreta – fare volontariato in un'associazione, sostenere una causa, cambiare i tuoi modelli di consumo – che rifletta la tua solidarietà con gli oppressi. Crea un collegamento esplicito tra questa azione e la tua preghiera.
Passo sei: medita sull'imparzialità divinaEsamina regolarmente i tuoi pregiudizi e favoritismi. Chi stai privilegiando nelle tue relazioni, nella tua attenzione, nella tua generosità? Chiedi a Dio di trasformare la tua prospettiva affinché sia più simile alla Sua, che "non discrimina i poveri".
Settimo passo: creare spazi per una preghiera inclusivaSe avete responsabilità nella vostra comunità ecclesiale, impegnatevi affinché la liturgia e i momenti di preghiera riflettano veramente le preoccupazioni dei poveri. Invitate persone di diversa estrazione a parlare, a formulare intenzioni di preghiera, a condividere le loro esperienze spirituali. Fate della vostra comunità un luogo in cui le voci degli emarginati possano essere veramente ascoltate.

Una rivoluzione spirituale e sociale
La nostra meditazione sul brano di Ben Sira ci conduce a una presa di coscienza radicale: la preghiera non è un'attività pia che ci isola dalla realtà sociale; al contrario, è il luogo da cui scaturisce una forza trasformatrice capace di sconvolgere l'ordine costituito. Quando Dio afferma di ascoltare di preferenza la preghiera dei poveri, annuncia una rivoluzione che riguarda sia il cielo che la terra.
Questa rivoluzione inizia nei nostri cuori. Ci chiama a identificarci con i poveri, a fare nostre le loro cause, a unirci alla loro preghiera che giunge attraverso le nuvole. Ma non può fermarsi qui: deve dispiegarsi nelle nostre scelte di vita, nel nostro impegno sociale, nelle nostre lotte per la giustizia. La preghiera dei poveri che sale a Dio deve scendere sulla terra sotto forma di azioni concrete che trasformino le strutture di oppressione.
Il messaggio di Ben Sira risuona con particolare urgenza nel nostro mondo contemporaneo, segnato da crescenti disuguaglianze. Di fronte alla diffusa indifferenza verso la sofferenza dei più vulnerabili, di fronte a sistemi economici che schiacciano i deboli e di fronte a perpetuate ingiustizie strutturali, l'affermazione che Dio ascolta le preghiere dei poveri costituisce una parola di resistenza e di speranza. Ci assicura che la situazione attuale non è definitiva, che la giustizia di Dio alla fine si compirà.
Ma questa certezza non ci esime dall'agire; al contrario, ci obbliga a farlo. Sapere che Dio è dalla parte degli oppressi ci obbliga a fare lo stesso, a diventare noi stessi strumenti della sua giustizia, risposte concrete alle preghiere dei poveri che si rivolgono a Lui. Siamo chiamati a essere le mani con cui Dio asciuga le lacrime, la voce con cui pronuncia la sua sentenza in favore dei giusti, la forza con cui rende giustizia agli oppressi.
Questa vocazione richiede una profonda conversione. Ci chiede di rinunciare ai privilegi ingiusti di cui potremmo godere, di mettere in discussione i nostri stili di vita che contribuiscono allo sfruttamento dei più deboli, di allontanarci dalle nostre preoccupazioni comode e di lasciarci interpellare dal grido dei poveri. È un cammino impegnativo, ma è l'unico che ci permette di camminare veramente con il Dio rivelato nella Scrittura.
L'immagine della preghiera che squarcia le nubi ci invita infine alla speranza. Nei momenti in cui tutto sembra perduto, quando l'ingiustizia sembra trionfare definitivamente, quando le nostre preghiere sembrano perdersi nel silenzio, Ben Sira ci assicura che la preghiera autentica, quella che nasce da un cuore spezzato dall'ingiustizia, finisce sempre per raggiungere il suo scopo. Squarcia le nubi, attraversa le distanze, tocca il cuore di Dio e innesca la sua risposta. Questa certezza non è ingenuità; è fede in un Dio che "non tarderà" e che "rimarrà impaziente" finché la giustizia non sarà pienamente compiuta.
Che possiamo diventare noi stessi intercessori perseveranti, voci che si uniscono alla grande sinfonia delle preghiere dei poveri che si elevano a Dio attraverso i secoli. Che possiamo diventare anche strumenti della risposta divina, mani e piedi che traducono nella storia umana la giustizia e la compassione di Dio per gli ultimi. Questa è la nostra vocazione di cristiani, eredi della tradizione di Ben Sira e discepoli di Cristo che si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà.
Pratico
Esamina i tuoi occhi ogni giorno sulle persone in povertà che incontrate, chiedendo a Dio di trasformare i vostri pregiudizi nel riconoscimento della loro dignità e della loro speciale vicinanza a Lui.
Dedica cinque minuti ogni giorno a una preghiera perseverante di intercessione per una situazione concreta di ingiustizia, ispirata dalla tenacia dei poveri che pregano finché Dio non faccia giustizia.
Leggi e medita su un brano della Bibbia ogni settimana sulla giustizia sociale e l'opzione per i poveri (profeti, vangeli, epistole), lasciando che la Parola interroghi le tue scelte di vita e le tue priorità.
Impegnati in almeno un'azione concreta al mese di solidarietà verso le persone vulnerabili della vostra comunità, rendendo questo impegno una naturale estensione della vostra preghiera.
Pratica la semplicità volontaria in un ambito della tua vita (cibo, vestiario, tempo libero) per coltivare questa povertà interiore che permette alla preghiera di attraversare le nuvole.
Cercare attivamente l'incontro con persone di diversa estrazione sociale, creando spazi di dialogo e di ascolto reciproco che arricchiscano la comprensione della realtà e alimentino la preghiera.
Incorporalo nella tua preghiera personale e comunitaria intenzioni specifiche per gli orfani, le vedove, gli oppressi del nostro tempo, nominando esplicitamente situazioni di ingiustizia che richiedono l'intervento divino.
Riferimenti
Libro di Ben Sira il Saggio, capitolo 35, versetti 15b-17.20-22a, traduzione liturgica francese, testo di partenza e contesto di composizione nel II secolo a.C. a Gerusalemme.
Papa Francesco, Messaggio per l'VIII Giornata Mondiale dei Poveri (2024), “La preghiera dei poveri sale a Dio”, una meditazione magisteriale contemporanea sul tema di Ben Sira.
tradizione patristica, in particolare san Cipriano di Cartagine (III secolo) e Rabano Mauro (IX secolo), i primi commentatori cristiani del Siracide dal punto di vista dell'edificazione spirituale.
Dottrina sociale della Chiesa cattolica, insegnamento sull'opzione preferenziale per i poveri sviluppato a partire dal XIX secolo e formalizzato dal magistero latinoamericano e universale.
Benedetto XVI, riflessioni sul fondamento cristologico dell'opzione per i poveri e il suo radicamento nella fede in un Dio che si è fatto povero in Cristo.
Carlo Mopsik (traduttore), La saggezza di Ben Sira, traduzione completa dei frammenti ebraici con introduzione storica e filologica, che presenta il contesto orientale e mediterraneo dei libri sapienziali.
Pancrazio C. Beentjes (a cura di), pubblicazione dei manoscritti ebraici del Siracide (1997) e risorse fotografiche disponibili su bensira.org per lo studio scientifico del testo originale.scroll.bibletraditions+1
liturgia cattolica, integrazione del brano di Ben Sira nel lezionario domenicale del Tempo Ordinario, assicurandone la meditazione regolare da parte delle comunità cristiane.


