«Molti verranno dall'oriente e dall'occidente e siederanno a mensa nel regno dei cieli» (Mt 8,5-11)

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Vangelo di Gesù Cristo secondo San Matteo

In quel tempo, entrato Gesù in Cafarnao, un centurione gli si avvicinò e lo supplicò: «Signore, il mio servo è in casa, costretto a letto, paralizzato e soffre terribilmente».»

Gesù gli disse: «Io andrò e lo guarirò».»

Il centurione rispose: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di' soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Perché anch'io sono un subalterno, e ho sotto di me dei soldati. E dico a uno: "Va'", ed egli va; e a un altro: "Vieni", ed egli viene; e al mio servo: "Fa' questo", ed egli lo fa«.»

All'udire questo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: «In verità vi dico, non ho trovato nessuno in Israele con una fede così grande. Per questo vi dico che molti verranno dall'oriente e dall'occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli».»

Quando la fede trascende ogni confine: il centurione che stupì Gesù

Come un ufficiale romano ci insegna che la fiducia radicale in Dio spalanca le porte del Regno a tutti, senza eccezioni.

Il Vangelo di oggi ci presenta una scena inquietante: Gesù è pieno di stupore. Non per i sacerdoti del Tempio, né per i suoi discepoli, ma per un soldato pagano al comando delle truppe di occupazione. Questo centurione romano ci rivela che la vera fede non appartiene a nessun popolo, a nessuna tradizione, a nessuna élite religiosa. Sorge dove meno ce lo aspettiamo e ribalta tutte le nostre certezze su chi merita di entrare nel Regno.

Esploreremo innanzitutto il contesto esplosivo di questo incontro a Cafarnao, per poi analizzare la natura unica della fede che affascina Gesù. Successivamente, vedremo come questa scena prefigura la radicale universalità della salvezza, prima di esaminarne le implicazioni per la nostra vita spirituale ed ecclesiale oggi. Infine, scopriremo come vivere concretamente questa apertura che il centurione ci insegna.

Lo shock dell'incontro: quando l'occupante diventa un modello

Il contesto politico e religioso

Immaginate la scena. Cafarnao, una piccola città di pescatori sulle rive del Mar di Galilea, un crocevia commerciale dove si mescolano ebrei, greci e romani. Gesù ha stabilito lì il suo quartier generale dopo aver lasciato Nazareth. La folla lo ha seguito ovunque da quando ha guarito il lebbroso nel capitolo precedente. L'atmosfera è elettrica.

E poi apparve un centurione. Non un centurione qualsiasi: un ufficiale romano al comando di un centinaio di uomini, rappresentante diretto della potenza occupante. Per gli ebrei di quel tempo, era il nemico. Questi soldati riscuotevano le tasse, mantenevano l'ordine con la forza e ricordavano costantemente a tutti che il popolo eletto viveva sotto un dominio straniero. Alcuni centurioni erano brutali, corrotti e sprezzanti delle usanze ebraiche.

Matteo non ci dice se quest'uomo fosse tra i centurioni "buoni" menzionati altrove nei Vangeli. Luca specifica che costruì una sinagoga, ma Matteo rimane discreto. Ciò che conta è il contrasto: quest'uomo dovrebbe essere un emarginato, impuro, indegno di avvicinarsi a un rabbino ebreo. Eppure, viene a supplicare Gesù per il suo servo paralizzato che soffre terribilmente.

La struttura narrativa rivelatrice

Matteo costruisce la sua narrazione con un'economia di parole che rende significativo ogni dettaglio. Il centurione "si avvicina" (un verbo tecnico per adorare nel Nuovo Testamento) e "supplica" Gesù. Due verbi che caratterizzano il«umiltà, il riconoscimento di un'autorità superiore. Nessun discorso militare, nessun ordine impartito con arroganza: solo una preghiera, diretta, incentrata sulla sofferenza dell'altro.

La risposta di Gesù fu immediata: "Andrò io stesso e lo guarirò". Un'offerta straordinaria, considerando che per un ebreo devoto entrare nella casa di un gentile significava contrarre l'impurità rituale. Gesù non impose alcuna condizione, non verificò le credenziali religiose della persona che cercava aiuto e non chiese alcuna garanzia. Si mise semplicemente in cammino.

Fu allora che il centurione pronunciò le parole che avrebbero cambiato la nostra comprensione del Regno: "Signore, non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di' soltanto una parola e il mio servo sarà guarito". Ripetiamo questa frase a ogni Messa prima della Comunione, spesso meccanicamente. Ma ne comprendiamo veramente l'audacia?

La fede che suscita l'ammirazione di Dio: un'anatomia di fiducia totale

L'umiltà come fondazione

«Non sono degno»: questo è il fondamento. Il centurione non si paragona agli altri, non si attribuisce alcun merito, né si vanta delle sue buone azioni passate. Semplicemente sta davanti a Gesù nella verità della sua condizione. Paradossalmente, è proprio questo umiltà che lo rende "degno" di ricevere.

Viviamo in una cultura ossessionata dalle prestazioni, dai titoli di studio, dai curriculum e dalle prove del nostro valore. L'uomo romano ci ricorda che davanti a Dio tutti questi titoli crollano. Ciò che conta è riconoscere che riceviamo tutto per grazia, che non possiamo pretendere nulla, che persino la nostra indegnità diventa luogo di incontro.

Questo umiltà Non si tratta di un malsano sminuire, di una svalutazione psicologica. È un realismo spirituale che vede con chiarezza: sono una creatura, limitata, segnata dal peccato, eppure infinitamente amata. Il centurione non dice "Sono spazzatura senza valore", ma "Riconosco l'infinita distanza tra te e me e mi affido completamente alla tua bontà".

Comprendere l'autorità spirituale

Il seguente passaggio è brillante: "Io stesso sono soggetto all'autorità, eppure ho soldati sotto il mio comando..." Il centurione traccia un'analogia militare. Nell'esercito romano, la catena di comando era assoluta. Quando un ufficiale superiore dava un ordine, questo veniva eseguito senza discussione. Il centurione non aveva nemmeno bisogno di essere fisicamente presente: la sua parola era sufficiente.

Traspose questo principio al regno spirituale con un lampo di intuizione: se lui, un semplice mortale, poteva comandare con la sua parola in ambito militare, quanto più poteva Gesù, investito di autorità divina, comandare la malattia, la paralisi e tutte le forze che schiavizzano l'umanità? Una sola parola di Gesù era sufficiente. Non c'era bisogno di rituali complicati, gesti magici o presenza fisica.

Questa comprensione rivela una fede che ha colto il punto essenziale: Gesù non è semplicemente un altro guaritore, un taumaturgo che manipola forze occulte. È Colui che comanda la creazione stessa, perché proviene da Dio. Il centurione vede più lontano di molti discepoli che, anche dopo mesi di sequela di Gesù, dubitano ancora della sua autorità sulla tempesta, sulla morte, sul male.

Fede senza vedere

Altro elemento cruciale: il centurione crede senza aver assistito a un miracolo. Non ha partecipato alle nozze di Cana, non ha visto Gesù trasformare l'acqua in vino. Probabilmente non era presente alla guarigione del lebbroso. Ne aveva sentito parlare, senza dubbio, ma non ne aveva prove personali. Eppure, si è fidato completamente di lui, da subito.

Questa è esattamente la fede che Gesù avrebbe poi celebrato a casa di Tommaso: "Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto". Il centurione appartiene a questa categoria. La sua fede non si basa su prove empiriche, ma sulla profonda intuizione che Gesù dice la verità, che la sua parola è affidabile, che possiamo affidargli ciò che abbiamo di più prezioso.

Noi, che viviamo venti secoli dopo gli eventi, ci troviamo esattamente in questa posizione. Non abbiamo visto Gesù camminare sulle acque, moltiplicare i pani o risuscitare Lazzaro dai morti. Abbiamo testimonianze, una tradizione, forse un'esperienza spirituale personale, ma nessuna prova inconfutabile. Il centurione ci indica la via: credere in base alla coerenza e gentilezza della persona che parla, non su dimostrazioni di forza.

L'universalità della salvezza: quando Dio ribalta i nostri confini

La dichiarazione profetica di Gesù

«In verità vi dico: non ho trovato nessuno in Israele con una fede così grande». Immaginate l'effetto che questa affermazione ebbe sui discepoli ebrei che circondavano Gesù. Il loro maestro aveva appena dichiarato che un gentile, un soldato romano, aveva dimostrato una fede superiore a qualsiasi cosa avesse mai incontrato tra il popolo eletto. Era un completo capovolgimento delle categorie religiose dell'epoca.

I farisei insegnavano che la salvezza apparteneva a Israele in virtù dell'Alleanza stipulata con Abramo. Certamente, alcuni giusti tra le nazioni potevano essere salvati, ma questa era l'eccezione. Il centurione avrebbe dovuto convertirsi, accettare la circoncisione e osservare la Torah per essere incluso. Gesù bypassa l'intero processo: quest'uomo è già nel Regno grazie alla sua fede, senza aver compiuto nessuno dei passaggi rituali prescritti.

Questa affermazione prepara la strada a tutto lo sviluppo successivo della Chiesa primitiva. Quando Pietro si rivolge a Cornelio (un altro centurione!), quando Paolo apre la missione ai Gentili, quando il Concilio di Gerusalemme decide di non imporre la Legge mosaica ai convertiti non ebrei, non faranno altro che mettere in pratica ciò che Gesù afferma qui: la fede ha la precedenza sull'appartenenza etnica o religiosa.

La Festa del Regno: un'immagine di inclusione radicale

«Molti verranno dall'oriente e dall'occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli». L'immagine è potente. Matteo, scrivendo per i cristiani ebrei, usa il simbolo tradizionale del banchetto messianico, il grande banchetto che Dio offrirà ai giusti alla fine dei tempi.

Ma egli lo trasforma radicalmente. Non saranno più solo i discendenti biologici di Abramo a prendervi posto, ma persone provenienti da ogni dove: dall'Oriente (Persia, Mesopotamia), dall'Occidente (Roma, Spagna), da ogni direzione. Il Regno non ha confini geografici, culturali o etnici. L'unica condizione per entrarvi è la fede e la fiducia dimostrate dal centurione.

L'immagine della festa è di per sé significativa. Un pasto è condivisione, convivialità e un'uguaglianza momentanea tra gli ospiti. Intorno alla tavola del Regno, il centurione romano siederà con i patriarchi d'Israele. Il peccatore pentito starà accanto al santo. L'emarginato condividerà il pane con i notabili. Tutti i privilegi terreni sono aboliti in questa comunione finale.

Questa visione ha implicazioni vertiginose per la nostra ecclesiologia. La Chiesa non è un club chiuso in cui si entra per cooptazione o eredità. È questa assemblea universale convocata da Dio, dove la grazia precede sempre i nostri meriti, dove lo Spirito soffia dove vuole, dove siamo costantemente sorpresi nello scoprire chi Dio chiama e come li trasforma.

I figli del Regno messi in discussione

Matteo non include questa frase nella nostra lettura odierna, ma la segue immediatamente: "I figli del regno saranno gettati nelle tenebre esteriori". Un monito severo: appartenere al popolo eletto non garantisce nulla. Si può ereditare la tradizione, conoscere a memoria le Scritture, praticare tutti i riti, eppure rimanere fuori dal Regno se ci si rifiuta di credere, se ci si chiude alla grazia.

Gesù appartiene alla lunga schiera di profeti che hanno denunciato la religiosità superficiale. Isaia aveva già condannato coloro che onorano Dio con le labbra mentre il loro cuore è lontano. Geremia annunciò una nuova Alleanza scritta sui cuori, non solo incisa su tavole di pietra. Giovanni Battista gridò ai farisei: "Non presumete di dire: 'Abbiamo Abramo per padre!'"«

Per noi cristiani di oggi, battezzati nell'infanzia e abituati ai sacramenti, il messaggio è lo stesso: la nostra fede deve essere viva, personale e rinnovata. Non possiamo vivere della fede dei nostri genitori o dei nostri nonni. Ogni persona è chiamata a questo incontro personale con Cristo, a questa fiducia che trasforma l'esistenza. Altrimenti, diventiamo quei "figli del Regno" che ne sono esclusi a causa del loro indurimento di cuore.

«Molti verranno dall'oriente e dall'occidente e siederanno a mensa nel regno dei cieli» (Mt 8,5-11)

Implicazioni per le nostre vite: imparare dal centurione

Nella nostra preghiera personale

Il centurione ci insegna innanzitutto un atteggiamento di preghiera. Quando ci rivolgiamo a Dio, lo facciamo con le nostre richieste, la nostra lista di pretese, il nostro sentimento di meritare certe risposte? Oppure adottiamo questo atteggiamento di’umiltà Sicuro: "Non ne sono degno, ma di' solo una parola"?

Molti di noi portano con sé pesi schiaccianti: malattia, dolore, fallimento, solitudine, sensi di colpa. Preghiamo, a volte per anni, senza vedere alcun cambiamento apparente. Il centurione ci ricorda che il nostro ruolo non è quello di dettare a Dio come e quando dovrebbe intervenire. Il nostro ruolo è quello di presentare le nostre sofferenze con fiducia, di credere che la Sua parola sia efficace e di attendere con speranza.

Questa preghiera non è passiva o rassegnata. È una supplica ardente (il centurione "supplica"), ma priva di qualsiasi pretesa di controllare Dio. Riconosce che non sempre sappiamo cosa è bene per noi, che le vie di Dio non sono le nostre e che la sua risposta può giungere in modo inaspettato.

Nelle nostre relazioni ecclesiali

Se Gesù ammira la fede di uno straniero, di un pagano, di un soldato, come cambia questo il nostro modo di vedere coloro che non fanno parte della nostra comunità? Troppo spesso, Cristiani si comportano come se fossero i proprietari esclusivi della grazia, disprezzando coloro che non condividono la loro fede o la loro pratica.

Il centurione ci spinge a riconoscere che Dio agisce anche al di fuori delle nostre strutture, che lo Spirito soffia in cuori che non avremmo mai immaginato, che la santità può fiorire in vite lontane dai nostri canoni ecclesiastici. Questo non sminuisce l'importanza della Chiesa, dei sacramenti o della comunione visibile. Ma ci mantiene nel’umiltà, aperto alle sorprese.

In termini pratici, questo significa accogliere ogni persona che varca la soglia della nostra chiesa non come un progetto di conversione da plasmare, ma come qualcuno in cui Dio è già all'opera. Il nostro ruolo non è giudicare la qualità della loro fede, ma accompagnarli nel loro incontro con Cristo. Il centurione si avvicinò a Gesù liberamente e autenticamente. Dobbiamo creare le condizioni affinché tutti possano fare lo stesso.

Nella nostra compassione per coloro che soffrono

Il centurione non viene per sé stesso, ma per il suo servo. Nella gerarchia romana, uno schiavo era una proprietà, un bene che poteva essere sostituito. Eppure, quest'uomo è profondamente preoccupato per la sofferenza del suo subordinato, al punto da umiliarsi pubblicamente per lui.

Viviamo in una società che celebra l'autonomia individuale e la realizzazione personale. Il centurione ci ricorda che la vera grandezza sta nel portare i pesi degli altri, intercedere per chi soffre, mettere a rischio noi stessi per il loro bene. Chi sono i "servi paralizzati" nelle nostre vite? I nostri cari malati, i nostri colleghi in difficoltà, i... migranti, Gli indigenti, tutti coloro che sono intrappolati in situazioni di impotenza?

L'intercessione non è una pratica pia facoltativa. È l'espressione stessa di beneficenza che ci unisce gli uni agli altri nel Corpo di Cristo. Quando preghiamo per qualcuno, svolgiamo la stessa funzione del centurione: presentiamo a Gesù una sofferenza che non ci appartiene, fiduciosi che Egli possa trasformare questa situazione con la sua parola.

Echi nella tradizione: un testo fondativo

Lettura patristica e teologica

Sant'Agostino Commenta ampiamente questo episodio nei suoi sermoni. Vede nel centurione una figura della Chiesa, proveniente dai Gentili, che accede alla salvezza mediante la fede, mentre Israele, il primo popolo chiamato, rischia di rifiutarla a causa dell'incredulità. Questa lettura tipologica ha talvolta portato a interpretazioni antigiudaiche che oggi devono essere assolutamente evitate.

Ciò che Agostino sottolinea giustamente è l'universalità della salvezza e il primato della fede. "La fede", scrive, "non è appannaggio di un solo popolo, ma dono di Dio offerto a tutti". Il centurione prefigura le moltitudini che giungeranno da tutte le nazioni per prendere posto al banchetto. La sua fede "militare", che include autorità e obbedienza, diventa il modello della fede cristiana che si sottomette alla Parola.

San Giovanni Crisostomo, nelle sue omelie su Matteo, insiste sulla’umiltà Dal centurione: «Non dice: »Vieni e guarisci”, ma: “Di’ solo una parola”. Riconosce così di non essere degno di ricevere il Signore nella sua casa». Per Crisostomo, questo umiltà è la chiave che apre il Regno. Tante persone ricche, potenti e istruite restano fuori perché si credono degne, mentre il centurione entra attraverso la porta della sua riconosciuta indegnità.

Tommaso d'Aquino, nel suo commento a Matteo, analizza le tre dimensioni della fede del centurione: umiltà (Non sono degno), fiducia (pronuncia semplicemente la parola) e comprensione teologica (comprensione dell'autorità divina). Questi tre elementi costituiscono la fede perfetta, che porta alla guarigione. Per Tommaso, la fede non è solo un sentimento, ma include una dimensione intellettuale: comprendere chi è Dio e come agisce.

Uso liturgico e spirituale

«Signore, non sono degno di ricevere la tua presenza, ma di' soltanto una parola e sarò guarito»: questa preghiera precede da secoli la comunione nella liturgia eucaristica. Il parallelismo è chiaro: come il centurione riconosce la propria indegnità prima che Gesù entri «sotto il suo tetto», noi riconosciamo la nostra prima di ricevere il Corpo di Cristo.

Ma la frase contiene anche una professione di fede eucaristica: crediamo che sotto le apparenze del pane, è veramente Gesù che viene a noi. Le sue parole ("Questo è il mio corpo") sono sufficienti a realizzare questa misteriosa trasformazione. Non abbiamo bisogno di capire come, solo di crederci. La fede del centurione diventa così il modello della nostra fede eucaristica.

Santo Ignazio di Loyola, Nei suoi Esercizi Spirituali, egli suggerisce di meditare su questo episodio nel contesto della contemplazione dei misteri della vita di Cristo. Ci invita a metterci nei panni del centurione: a sentire la sua angoscia per il servo malato, il suo umile approccio a Gesù, il suo stupore per la risposta. Questa meditazione dovrebbe condurre a un triplice dialogo: chiedere’umiltà, fede sicura e amore efficace per il prossimo.

Nella tradizione monastica, in particolare tra gli Padri del deserto, L'’umiltà La preghiera del centurione divenne un riferimento costante. Si dice che Abba Macario abbia osservato: "Se desideri entrare nel Regno, diventa come il centurione che disse: 'Non ne sono degno'. Perché chi si umilia sarà esaltato". La "Preghiera del centurione" veniva recitata all'inizio di ogni funzione, ricordando ai monaci che anche dopo anni di vita consacrata, rimanevano indegni e dipendenti solo dalla grazia.

Medita con il centurione

Fase 1: Localizzarsi nella scena

Prendetevi un momento di silenzio. Chiudete gli occhi e immaginatevi a Cafarnao. Siete tra la folla che segue Gesù. Vedete questo centurione romano avvicinarsi, un uomo abituato a comandare, ma ora supplicante. Osservate il suo volto, il suo passo, il tono della sua voce. Cosa provate? Diffidenza perché è romano? Curiosità? compassione per il suo servo malato?

Fase 2: Identifica la tua "paralisi"«

Cosa è paralizzato dentro di te? Quale parte della tua vita è bloccata, ostacolata o ti sta causando dolore? Potrebbe essere una relazione finita, una paura paralizzante, un'abitudine distruttiva che non riesci a liberarti o una perdita che ti frena. Nominala silenziosamente, senza giudizio.

Fase 3: Riconosci la tua indegnità

Ripeti lentamente: "Signore, non sono degno". Non come una frase imparata, ma come una verità che dimora dentro di te. Non hai nulla da dimostrare, nulla da guadagnare. Ti trovi davanti a Dio nel tuo povertà radicale. Abbandona le tue difese, le tue giustificazioni, i tuoi paragoni con gli altri. Respira questo povertà riconosciuto.

Fase 4: Fai un atto di fede nella sua parola

Ora aggiungi: "Ma di' solo una parola e sarò guarito". Credi davvero che la parola di Dio possa trasformare questa situazione? O pensi che sia troppo seria, troppo radicata, troppo complicata? Affidala esplicitamente a Gesù, senza dettare la soluzione, ma con piena fiducia in Lui.

Fase 5: Aspettare con speranza

Il testo non dice che il servo fu guarito all'istante davanti alla folla. Matteo afferma semplicemente: "E il servo fu guarito in quell'istante". La guarigione avvenne a distanza, lontano dalla vista del centurione. Anche la tua preghiera può essere esaudita in modi che non vedi immediatamente. Rimani nella fede, come il centurione che se ne andò senza alcuna prova visibile, certo che la parola di Gesù avesse funzionato.

«Molti verranno dall'oriente e dall'occidente e siederanno a mensa nel regno dei cieli» (Mt 8,5-11)

L'universalità messa alla prova

Pluralismo religioso

La nostra epoca è caratterizzata da una profonda consapevolezza della diversità religiosa. Se il centurione pagano può avere una fede che stupisce Gesù, che dire di musulmani, buddisti, indù e agnostici benintenzionati? Siamo condannati a scegliere tra un ristretto esclusivismo (solo Cristiani sono salvati) e un relativismo in cui tutte le credenze sono uguali?

Il Vangelo ci mostra una via stretta. Da un lato, Gesù afferma chiaramente che la salvezza viene attraverso di lui:« Io sono la via, »La verità, la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me». D'altra parte, egli riconosce e celebra la fede di coloro che non fanno parte di Israele, che non lo conoscono ancora pienamente. Il centurione crede in Gesù, ma non ha ancora la fede trinitaria completa; non conosce la Il mistero di Pascal.

La tradizione cattolica ha sviluppato la nozione di "cristiani anonimi" (Karl Rahner) o "semi del Verbo" (Vaticano II) pensare a questa realtà. Ovunque c'è vera fede, umiltà, Amore per il prossimo, ricerca sincera della verità: Dio è all'opera, anche se la persona non nomina esplicitamente Cristo. Il nostro ruolo non è giudicare chi è salvato e chi no, ma testimoniare ciò che abbiamo ricevuto e riconoscere umilmente che lo Spirito agisce ben oltre i confini visibili della Chiesa.

L'inclusione delle persone emarginate

Il centurione era un outsider religioso, un emarginato dal punto di vista della legge ebraica. Chi sono gli emarginati oggi nelle nostre comunità cristiane? Persone divorziate e risposate, persone LGBT+, migranti senza documenti, i poveri la cui vita disordinata non corrisponde ai nostri standard di rispettabilità? L'accoglienza che Gesù riserva al centurione ci interpella.

Certamente, accogliere gli altri non significa abolire ogni norma morale o dottrinale. La Chiesa ha una missione di verità da compiere, sacramenti da proteggere. Ma la domanda è: come accompagniamo queste persone? Con la distanza sprezzante dei farisei che si credono puri? O con la consapevolezza che Dio agisce nelle loro vite in modi che potremmo anche non sospettare?

IL papa Francesco ha spesso sottolineato che la Chiesa deve essere un "ospedale da campo", accogliendo i feriti prima di tutto senza chiedere loro i documenti. Il centurione arriva così com'è, con la sua professione violenta, il suo status di occupante, la sua vita che non si conforma in alcun modo ai canoni ebraici di santità. Gesù non gli fa la predica, non gli impone precondizioni. Risponde alla sua fede. Questo è l'atteggiamento che dobbiamo riscoprire: fidarsi che lo Spirito sia all'opera nel cuore di chi si avvicina a lui e accompagnarlo rispettosamente nel suo cammino.

La tentazione della religiosità senza fede

Un'altra sfida: potremmo essere "figli del Regno" di nome, frequentatori abituali della chiesa, impegnati nelle nostre parrocchie, eppure mancare di quella fede viva che caratterizza il centurione. Conosciamo le preghiere a memoria, partecipiamo ai sacramenti, ma il nostro cuore rimane veramente rivolto a Dio con fiducia filiale?

Il rischio, per Cristiani Tradizionalmente, è una routine spirituale. Ci muoviamo meccanicamente senza metterci il cuore. Recitiamo "Non sono degno" prima di ogni comunione, ma ci crediamo davvero? O ci comportiamo semplicemente come persone abituali che hanno il loro piccolo accesso a Dio?

Il centurione ci scuote. Ci ricorda che ogni incontro con Gesù deve essere nuovo, personale e rischioso. Ci invita a esaminarci regolarmente: la mia fede è viva o è diventata rigida e vuota? Mi fido veramente della parola di Dio o mi affido alle mie forze, ai miei meriti, alle mie strategie?

Preghiera ispirata dal centurione

Signore Gesù Cristo, Tu che hai ammirato la fede del centurione e hai proclamato l'apertura universale del tuo Regno, veniamo a te con le nostre paralisi e i nostri fardelli.

Non siamo degni che tu entri nelle nostre vite, segnate come sono dal peccato, dall'egoismo e dal dubbio. Riconosciamo i nostri limiti, la nostra chiusura verso gli altri, la nostra tendenza a credere di possedere la tua grazia.

Ma crediamo nella tua parola, una parola che guarisce, che libera, che eleva. Basta pronunciare la parola, e i nostri cuori induriti diventeranno accoglienti, le nostre paure paralizzanti si trasformeranno in fiducia, i nostri giudizi sugli altri cederanno il passo a compassione.

Insegnaci il’umiltà del centurione, che ha saputo presentarsi davanti a te senza pretese, nella verità della sua posizione. Donaci la sua fede intelligente, che comprende che la tua autorità si esercita attraverso l'amore, che la tua parola crea ciò che proclama, che puoi trasformare ogni cosa con la tua sola presenza.

Apri i nostri cuori all'universalità della tua chiamata. Aiutaci a riconoscere i tuoi discepoli in coloro che non avremmo mai immaginato: gli stranieri che ci disturbano, i pescatori che scandalizzano noi sinceri ricercatori che ancora non portiamo il tuo nome.

Possiamo noi, come il centurione, portare i pesi dei nostri fratelli e sorelle, intercedere per coloro che soffrono ed esporci per il loro bene.

Rendi le nostre comunità cristiane immagini della festa del Regno, dove tutti sono accolti senza distinzione, dove la grazia precede sempre i nostri meriti, dove la tua meraviglia ci tiene in soggezione.

E quando verrà il momento per noi di sederci alla tua tavola eterna, con Abramo, Isacco e Giacobbe, con tutti i santi Venendo dall'Oriente e dall'Occidente, possiamo riconoscere attorno a noi tanti volti che non ci aspettavamo e renderci grazie per la tua misericordia che supera ogni misura.

Tu che regni con il Padre e lo Spirito Santo, ora e sempre.

Amen.

La fede senza confini che cambia tutto

Il centurione di Cafarnao ci turba tanto quanto turbò i contemporanei di Gesù. Sfida le nostre certezze su chi merita di entrare nel Regno, su cosa significhi veramente credere, sulla scandalosa universalità della grazia divina. Quest'uomo, che tutto dovrebbe escludere, diventa il modello stesso della fede per tutti i secoli a venire.

La sua lezione è chiarissima: ciò che conta davanti a Dio non è né il nostro background religioso, né i nostri successi spirituali, né la nostra conformità a standard esterni. È questa fiducia radicale, umile e intelligente che riconosce l'autorità assoluta della parola divina e si abbandona completamente ad essa. Una fede che non calcola, non contratta, non si confronta, ma semplicemente crede e lascia che Dio agisca.

Per noi oggi, la chiamata è triplice. In primo luogo, esaminare la qualità della nostra fede: è viva, personale, rinnovata, o si è fossilizzata in abitudini vuote? In secondo luogo, ampliare la nostra prospettiva su coloro che Dio chiama: smettere di giudicare, accogliere la sorpresa di vedere lo Spirito all'opera in vite che non avremmo mai immaginato. Infine, coltivare la’umiltà radicale, che sola apre la porta al Regno: riconoscere la nostra indegnità e ricevere tutto per grazia.

La festa del Regno è già allestita. Moltitudini di persone vi accorrono, provenienti da ogni angolo del mondo. La scelta è nostra: resteremo fuori, congelati nelle nostre certezze e nei nostri presunti privilegi? Oppure entreremo, seguendo il centurione, in questa gioiosa assemblea universale dove conta solo la fede, che agisce attraverso l'amore?

Consigli pratici: sette atteggiamenti da coltivare

Ripeti ogni giorno la preghiera del centurione al risveglio e prima di dormire, non come una formula magica, ma come un atto consapevole di fede e di resa alla volontà divina.

Identifica una "paralisi" personale ogni settimana (paura, blocco, abitudine dannosa) e affidarla esplicitamente a Gesù nella preghiera, confidando che lui la trasformerà a modo suo e nei suoi tempi.

Praticare l'intercessione concreta scegliendo ogni giorno una persona sofferente dal nostro gruppo e dedicando qualche minuto a presentarla a Dio con fede, come fece il centurione con il suo servo.

Esaminare i nostri giudizi verso coloro che non condividono la nostra fede o pratica religiosa, e chiediamo la grazia di riconoscere l'azione di Dio nelle loro vite anziché escluderli mentalmente.

Veramente accoglienti nelle nostre comunità individuando chi sono i «centurioni» di oggi (gli esclusi, gli emarginati, i diversi) e compiendo un passo concreto di apertura nei loro confronti.

Coltivare’umiltà spirituale riconoscendo regolarmente la nostra indegnità davanti a Dio, non per sminuirci, ma per ricevere tutto dalla sua grazia senza pretese.

Per approfondire la nostra fede eucaristica meditando sul legame tra la preghiera del centurione e la comunione, credendo veramente che la parola di Cristo trasforma il pane nel suo Corpo e trasforma noi stessi.

Riferimenti per ulteriori letture

Testi biblici correlati Luca 7:1-10 (racconto parallelo con varianti); Atti 10:1-48 (Cornelio, un altro centurione credente); Romani 10:9-13 (la fede come porta d'accesso alla salvezza universale); ; Efesini 2,11-22 (l'unità di ebrei e gentili in Cristo).

Patristico : Sant'Agostino, Sermoni 62-65 sul centurione; San Giovanni Crisostomo, Omelie su Matteo N. 26; Origene, Commento su Matteo 8,5-13.

Teologia contemporanea Karl Rahner, "« Cristiani anonimo", in Scritti teologici (1966); Hans Urs von Balthasar, Il dramma divino Volume III, sull'universalità della salvezza; Joseph Ratzinger/Benedetto XVI, Gesù di Nazareth Volume 1, Capitolo su miracoli.

Magistero ecclesiale Consiglio Vaticano Io, Lumen Gentium §16 sulla salvezza di coloro che non conoscono Cristo; ; Gaudium et Spes §22 sull'azione universale dello Spirito; ; Papa Francesco, Evangelii Gaudium §24-28 sulla Chiesa in uscita verso le periferie.

Spiritualità : Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali (contemplazione dei misteri della vita di Cristo); Teresa di Lisieux, Manoscritti autobiografici (sulla piccola via dell'infanzia spirituale); Charles de Foucauld, Meditazioni sui Vangeli (sulla fede degli umili).

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