«Se volete entrare nel regno dei cieli, dovete fare la volontà del Padre mio» (Mt 7,21.24-27)

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Vangelo di Gesù Cristo secondo San Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sulla roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e con grande fragore«.»

Costruire sulla roccia: quando la fede incontra l’obbedienza concreta

Comprendere perché Gesù pone l'azione al centro di un rapporto autentico con Dio e scoprire come ancorare la propria vita spirituale a fondamenta incrollabili.

Gesù ci mette di fronte a una verità inquietante: professare la propria fede non basta. Tra le pie parole e l'ingresso nel Regno, c'è un passaggio essenziale: l'obbedienza attiva alla volontà del Padre. Questo requisito, lungi dall'essere un peso legalistico, apre la strada a una spiritualità radicata nella realtà. Matteo 7 ci invita a esaminare le nostre fondamenta: stiamo costruendo sulla roccia dell'obbedienza o sulla sabbia delle buone intenzioni?

Inizieremo esplorando il contesto di questo passo cruciale del Discorso della Montagna, per poi analizzare la duplice parabola dei costruttori. Svilupperemo quindi tre temi principali: la distinzione tra parole e fatti, la natura della volontà divina e le dinamiche dell'obbedienza autentica. Applicazioni concrete, una meditazione guidata e una riflessione sulle sfide contemporanee completeranno la nostra esplorazione, prima di una preghiera liturgica e di suggerimenti pratici immediatamente attuabili.

La terra: quando Gesù conclude il suo manifesto fondativo

Questo brano di Matteo 7,21.24-27 costituisce la potente conclusione del Discorso della Montagna, il discorso programmatico che si estende dai capitoli 5 al 7 del Vangelo di Matteo. Dopo aver spiegato le Beatitudini, Dopo aver ridefinito la Legge con un nuovo radicalismo e insegnato sulla preghiera, l'elemosina e il digiuno, Gesù conclude con un solenne monito. Il contesto è cruciale: non ci troviamo di fronte a un ennesimo consiglio, ma alla conclusione di un insegnamento fondamentale che riorganizza l'intera vita del discepolo.

Il Vangelo di Matteo, scritto probabilmente tra l'80 e il 90 d.C., si rivolge a una comunità giudeo-cristiana alle prese con questioni di identità. Come vivere in continuità con la tradizione ebraica seguendo il Messia? Matteo risponde presentando Gesù come il nuovo Mosè, colui che adempie e trascende la Torah. Il Discorso della Montagna riecheggia il Sinai: Gesù sale sul monte per insegnare, proprio come Mosè vi salì per ricevere la Legge.

Il nostro brano specifico segue una serie di avvertimenti sui falsi profeti e sull'ingresso per la porta stretta. Gesù ha già preparato il terreno: il cammino verso il Regno è impegnativo, richiede discernimento, e non tutti coloro che affermano di seguirlo vi entreranno automaticamente. È in questo clima di cautela che emerge l'affermazione centrale: "Non chiunque mi dice: "Signore, Signore", entrerà nel regno dei cieli".«

La ripetizione di "Signore, Signore" non è insignificante. Nella cultura semitica, il raddoppio esprime intensità, urgenza, persino supplica. Si ritrova in momenti chiave: "Marta, Marta" (Luca 10,41), «Gerusalemme, Gerusalemme» (Matteo 23:37). Qui la ripetizione sottolinea l’apparenza di pietà, l’enfasi religiosa che può mascherare una reale mancanza di impegno.

Il termine "Signore" (Kyrios in greco) ha un notevole peso teologico. Nella Settanta, la traduzione greca dell'Antico Testamento, Kyrios traduce il sacro tetragramma YHWH, il nome di Dio. Riconoscere Gesù come Signore significa quindi attribuirgli la divinità. Ma Gesù non si accontenta di questo riconoscimento verbale, per quanto ortodosso possa essere. Esige qualcosa di più profondo: la conformità alla volontà del Padre.

La menzione del "Padre che sei nei cieli" crea un collegamento con il Padre Nostro insegnato pochi versetti prima: "Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra" (Matteo 6:10). Gesù non chiede altro che ciò che ci ha insegnato a pregare. L'ingresso nel Regno non è un'ammissione automatica basata su una confessione di fede, ma il culmine di una vita in linea con la volontà divina.

La chiave per capire: decifrare l'apparente paradosso

L'insegnamento di Gesù sembra creare una tensione: non è forse per fede che siamo salvati, come affermerà più tardi Paolo? Come possiamo comprendere questa enfasi sulle opere senza cadere nel legalismo che Gesù stesso denuncia altrove? La chiave sta nel comprendere cosa significhi "fare la volontà del Padre".

Per Gesù, non c'è opposizione tra fede e obbedienza. La fede autentica si traduce naturalmente in azioni corrispondenti. Giacomo, nella sua epistola, esprime la stessa convinzione: "La fede senza le opere è morta" (Giacomo 2:26). Non si tratta di opere meritorie che ci comprerebbero l'accesso al Regno, ma dell'espressione organica di una relazione viva con Dio.

La formulazione greca è istruttiva. Il participio presente "fare" (poiôn) indica un'azione continua, abituale. Non si tratta di compiere puntualmente la volontà divina, ma di farla diventare il ritmo della propria esistenza. È una disposizione permanente, un modo di vivere, non un'esecuzione occasionale.

La seguente doppia parabola illumina questa esigenza. Gesù contrappone due costruttori che, in apparenza, stanno facendo la stessa cosa: costruire una casa. La differenza non sta nell'attività visibile, ma nella scelta delle fondamenta. La roccia simboleggia l'obbedienza alle parole di Gesù, mentre la sabbia rappresenta l'ascolto sterile, quello che non porta a un cambiamento concreto.

L’immagine dell’edificio è profondamente radicata nella tradizione biblica. Il Salmo 127 proclama: «Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori». Gesù riprende questo tema, ma lo personalizza: è sulle sue stesse parole che deve fondarsi l’edificio della nostra vita. Egli si attribuisce così l’autorità divina, l’autorità che fonda e garantisce la stabilità.

Gli elementi atmosferici – pioggia, torrenti, venti – evocano le inevitabili prove dell'esistenza. Nessuno sfugge a esse. La questione non è se affronteremo le tempeste, ma se le nostre fondamenta reggeranno. La casa sulla roccia "non crollò", un eufemismo tipicamente semitico per dire: resistette perfettamente. La casa sulla sabbia, invece, subisce "un crollo completo": il testo greco sottolinea la totalità del disastro.

Questa conclusione drammatica non è una minaccia arbitraria, ma una conseguenza logica. Costruire senza solide fondamenta significa programmare il proprio crollo. Gesù non condanna; osserva. Il suo monito nasce da chiarezza pedagogica, non da sadismo teologico. Ci pone di fronte a una responsabilità: le nostre scelte attuali determinano la nostra capacità di superare le crisi future.

«Se volete entrare nel regno dei cieli, dovete fare la volontà del Padre mio» (Mt 7,21.24-27)

Oltre le parole, la verità dell'impegno

Quando la confessione diventa comoda

Viviamo in una cultura di parole. Le dichiarazioni d'intenti abbondano: "Inizierò a fare esercizio fisico", "Pregherò di più", "Sarò più paziente". Anche il vocabolario spirituale prospera. Diciamo "Amen" con convinzione, cantiamo lodi ferventi, proclamiamo la nostra fede sui social media. Ma Gesù ci sfida: che dire dell'azione concreta?

Il pericolo della religiosità verbale risiede nella sua capacità di rassicurarci a basso costo. Ripetere "Signore, Signore" può diventare un meccanismo di autoassoluzione. Ci convinciamo della nostra pietà attraverso l'intensità delle nostre espressioni verbali, senza che la nostra vita quotidiana ne risenta. Questo è ciò che gli psicologi chiamano "bias di sostituzione": l'atto del dire sostituisce l'atto del fare, e noi ci accontentiamo di questo.

Nelle prime comunità cristiane, questo fenomeno era già presente. Paolo dovette ricordare ai Corinzi che parlare in lingue senza amore è "un suono forte e stridente" (1 Corinzi 13:1). Giacomo denunciò coloro che dicevano a un fratello nel bisogno: "Va' in pace e riscaldati", senza dargli nulla da indossare (Giacomo 2:16). La storia della Chiesa è punteggiata da questi richiami: la fede o si incarna o si dissolve.

Per dirla in parole povere, immaginate Marc che dichiara il suo amore per Dio ogni domenica, si unisce agli inni e alza le mani durante il culto. Ma dal lunedì al sabato maltratta i colleghi, commette frodi fiscali e ignora sistematicamente le donazioni di beneficenza. La sua confessione domenicale è solo una facciata. Dice: "Signore, Signore", ma la sua vita urla: "Prima io".«

Oppure prendi Elise, coinvolta in tutti i comitati parrocchiali, esperta di vocabolario teologico, capace di citare la Scrittura con facilità. Ma a casa, impone un clima Costantemente giudicante, si rifiuta di perdonare il marito per un errore passato e coltiva l'amarezza come forma d'arte. Le sue parole sono ortodosse, la sua vita è una contro-testimonianza.

La richiesta di Gesù non è di rinunciare alle parole, ma di allinearle ai fatti. La confessione di fede rimane essenziale: «Se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, sarai salvato» (Romani 10:9). Ma questa confessione è autentica solo se accompagnata da una trasformazione visibile. Dire e fare non sono in opposizione; dire senza fare, questo è il problema.

Questa coerenza richiede un esame regolare. Possiamo porci queste domande: le mie priorità finanziarie riflettono le mie affermazioni sul Regno? La mia gestione del tempo dimostra ciò che affermo essere essenziale? Le mie relazioni incarnano l'amore che dico di ricevere da Dio? Se un osservatore imparziale confrontasse le mie parole della domenica con la mia vita del lunedì, vedrebbe continuità o contraddizione?

La cultura cristiana contemporanea a volte esacerba questo problema. Apprezziamo l'eloquenza, le testimonianze toccanti e le dichiarazioni pubbliche di fede. I social media amplificano questa tentazione: mostrare la propria spiritualità diventa più importante che viverla. Raccogliamo versetti condivisi, l'hashtag ##blessed e foto dei nostri momenti di preghiera. Ma dietro lo schermo, chi siamo veramente?

Gesù non chiede silenzio. Chiede verità. Se le nostre parole sono autentiche, lasciamo che diventino carne. Se non lo sono, è meglio rimanere in silenzio e iniziare a correggere la nostra vita prima di ostentare la nostra pietà.’umiltà Le azioni di chi agisce senza proclamare sono infinitamente migliori dell'arroganza di chi proclama senza agire.

L'obbedienza come linguaggio d'amore

Fare la volontà del Padre è in definitiva rispondere all'amore con l'amore. Giovanni lo dirà esplicitamente: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti» (Giovanni 14,15). L'obbedienza non è una costrizione esterna imposta da un despota celeste, ma la risposta naturale di un cuore toccato dalla grazia.

Pensiamo a una relazione romantica sana. Come sappiamo di amare veramente qualcuno? Non solo attraverso dichiarazioni appassionate, ma attraverso azioni quotidiane: ricordare ciò che conta per l'altra persona, anticipare i suoi bisogni, sacrificare la comodità per il suo benessere. L'amore autentico si riconosce dai suoi risultati tangibili.

Lo stesso vale per Dio. Dire "Ti amo, Signore" cinquanta volte al giorno ha senso solo se quell'amore si traduce in un ascolto attento di ciò che è caro al Suo cuore. Ora, Dio ha rivelato ciò che è caro al Suo cuore: la giustizia., misericordia, lealtà, L'’umiltà (Michea 6,8). Quando incarniamo questi valori, parliamo a Dio nel linguaggio che Lui comprende meglio: quello della somiglianza.

Questa prospettiva trasforma radicalmente il nostro rapporto con la morale cristiana. Non si tratta più di un elenco di regole da seguire sotto pena di punizione, ma di uno spartito da suonare per armonizzare la nostra vita con quella di Dio. I comandamenti diventano inviti, non obblighi. Ci mostrano la via verso una vita appagante, in linea con la nostra vocazione più profonda.

Sophie, infermiera di cure palliative, esemplifica questa dinamica. Potrebbe facilmente accontentarsi del minimo indispensabile di doveri professionali. Ma ogni giorno si prende il tempo di ascoltare le storie dei suoi pazienti, di tenere per mano chi ha paura, di pregare in silenzio per loro. Non lo fa per conquistare il paradiso, ma perché ha capito che servire i più vulnerabili significa incontrare Cristo (Matteo 25:40). La sua fede non è una proclamazione; è vissuta al capezzale del morente.

O Thomas, l'imprenditore che avrebbe potuto massimizzare i suoi profitti ignorando alcune pratiche discutibili dei suoi concorrenti. Invece, ha scelto la trasparenza, anche a costo di perdere clienti. Paga equamente i suoi fornitori, anche i più piccoli. Ha stabilito un salario dignitoso per tutti i suoi dipendenti. La sua fiducia non è proclamata nei seminari aziendali; è evidente nelle sue decisioni contabili.

L'obbedienza intesa in questo modo non è servile. È creativa, gioiosa, liberatoria. Ci libera dal peso di inventare il nostro sistema di valori nel vuoto, di navigare ciecamente nel caos morale circostante. Ci offre una rotta, una bussola, una direzione. E paradossalmente, questa sottomissione ci rende liberi: liberi dall'ansia del relativismo, liberi dal peso delle nostre contraddizioni, liberi di essere pienamente noi stessi in Cristo.

«Se volete entrare nel regno dei cieli, dovete fare la volontà del Padre mio» (Mt 7,21.24-27)

Decodificare la volontà divina nella vita di tutti i giorni

Principi guida come tabella di marcia

La volontà di Dio non è un mistero impenetrabile. Certamente, alcuni aspetti rimangono velati e ne percepiamo solo una parte (1 Corinzi 13:12). Ma l'essenziale è stato chiaramente rivelato. La Scrittura, gli insegnamenti di Gesù e la tradizione della Chiesa ci offrono una mappa leggibile per orientarci nella vita.

Gesù ha riassunto l'intera Legge in due comandamenti: amare Dio con tutto il cuore e amare il prossimo come se stessi (Matteo 22,(pp. 37-39). Questa è la volontà del Padre riassunta. Ogni decisione, ogni azione può essere valutata secondo questo duplice criterio: accresce il mio amore per Dio? Esprime amore per il prossimo?

Il Discorso della Montagna stesso sviluppa questa volontà divina in temi concreti. Gesù affronta la rabbia (Matteo 5,(21-26), desiderio sessuale (5:27-30), divorzio (5:31-32), giuramenti (5:33-37), vendetta (5:38-42), amore per i nemici (5:43-48), pratica religiosa ostentata (6:1-18), attaccamento alle ricchezze (6:19-24), ansia (6:25-34) e giudizio degli altri (7:1-5). Ogni sezione fa luce su cosa significhi, in termini pratici, vivere secondo la volontà di Dio.

Prendiamo l'esempio della rabbia. Gesù non si limita a condannare l'omicidio, come fa la Torah. Risale alla causa principale: la rabbia irrisolta, l'insulto, il disprezzo. La volontà del Padre non è solo che evitiamo il crimine, ma che coltiviamo pace pace interiore e riconciliazione attiva. Se nutro risentimento verso un collega, non sto facendo la volontà del Padre, anche se non ricorro mai alla violenza.

Oppure l'ansia. Gesù la identifica come un sintomo di sfiducia nella provvidenza divina. "Non preoccupatevi del domani" (Matteo 6:34) non è un consiglio di irresponsabile frivolezza, ma un invito alla fiducia. Quando sono consumato dall'ansia per il futuro invece di svolgere con calma il mio lavoro quotidiano, dimostro di non credere veramente nella cura del Padre. La mia fede verbale è smentita dal mio stress cronico.

Questi insegnamenti non sono suggerimenti facoltativi. Definiscono lo stile di vita del regno. Delineano la casa che stiamo costruendo. Ignorare la rabbia è come ammucchiare mattoni sulla sabbia. Coltivare pace, È come scavare fino alla roccia.

Il discernimento personale come laboratorio spirituale

Oltre ai grandi principi, ognuno di noi si trova di fronte a scelte specifiche che non sono esplicitamente affrontate nella Scrittura. Dovrei cambiare carriera? Come dovrei educare i miei figli sul tempo trascorso davanti allo schermo? Quale posizione dovrei assumere su una complessa questione politica o etica? È qui che entra in gioco... discernimento spirituale, questa capacità di riconoscere la voce di Dio nelle circostanze particolari della nostra esistenza.

Il discernimento non è un dono riservato ai mistici. È un'abilità spirituale che ogni credente è chiamato a sviluppare. Paolo esorta i Romani: "Lasciatevi trasformare rinnovando la vostra mente, affinché conosciate per esperienza qual è la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto".Romani 12,2). Il discernimento presuppone dunque una trasformazione, un progressivo addestramento della nostra mente a pensare secondo Dio.

Diversi criteri possono guidarci. Primo, la coerenza scritturale: la mia decisione è in linea con il messaggio generale della Bibbia? Se sento la chiamata a fare qualcosa che contraddice direttamente gli insegnamenti di Gesù, posso essere certo che non è la volontà di Dio. Lo Spirito non si contraddice.

Dopo pace interiore. Paolo parla di "« pace di Dio che custodisce i nostri cuori» (Filippesi 4,7) Quando siamo in accordo con la volontà di Dio, anche se il cammino è difficile, rimane una pace profonda. Al contrario, un'agitazione persistente o un disagio inspiegabile possono segnalare che siamo sulla strada sbagliata. Questo criterio non è infallibile – possiamo confondere la pace con il conforto – ma rimane inestimabile.

Anche la conferma comunitaria gioca un ruolo importante. Ebrei 3:13 ci esorta a incoraggiarci a vicenda ogni giorno. Il discernimento non è qualcosa da fare da soli. Condividere le nostre intuizioni con cristiani maturi, ascoltare i loro punti di vista, ci aiuta a evitare le illusioni dell'individualismo spirituale. Se il mio "discernimento" mi isola costantemente dalla comunità dei credenti, devo esaminarmi.

Claire, 35 anni, si chiede se dovrebbe lasciare il suo lavoro dirigenziale ben pagato per aprire un rifugio per senzatetto. Dal punto di vista finanziario, è un atto di fede. Prega, legge le Scritture e consulta il suo pastore e gli amici cristiani. A poco a poco, emerge un senso di condivisione. Il peso di prendersi cura degli emarginati non la abbandona mai. Pace Lo sente quando si immagina in questo nuovo ruolo. I suoi cari confermano di vederla prosperare nel servizio. Si lancia. Tre anni dopo, la sua associazione aiuta una cinquantina di persone. Ha trovato il suo posto nel piano di Dio.

Al contrario, Bertrand "discerne" che deve lasciare moglie e figli per dedicarsi a una relazione extraconiugale che gli sembra "l'amore della sua vita". Parla della "volontà di Dio" per giustificare la sua scelta. Ma la Scrittura condanna chiaramente l'adulterio. Nessuna pace duratura può nascere dal tradimento. La comunità cristiana lo mette in guardia. Il suo "discernimento" non è affatto discernimento; è una razionalizzazione del suo desiderio.

Il discernimento autentico richiede’umiltà. Possiamo sbagliarci. Le nostre emozioni, le nostre paure, le nostre ambizioni influenzano la nostra percezione. Da qui l'importanza della preghiera costante, a volte del digiuno, e dell'ascolto paziente. Dio non ha fretta. Ci plasma attraverso l'attesa. Affrettare una decisione "in nome di Dio" quando i segnali sono contraddittori significa spesso proiettare la nostra volontà su di Lui.

«Se volete entrare nel regno dei cieli, dovete fare la volontà del Padre mio» (Mt 7,21.24-27)

Le fondamenta che resistono alla tempesta

Anatomia di una vita costruita sulla roccia

Costruire su una solida roccia significa adottare una solida architettura spirituale. Ciò richiede diversi elementi strutturali. Innanzitutto, una relazione personale con Dio, coltivata quotidianamente. La preghiera non è facoltativa; è il cemento che lega le nostre vite alla Fonte. Senza questa connessione costante, le nostre buone intenzioni si sgretolano.

Gesù stesso esemplifica questa priorità. Il Vangelo lo mostra mentre si ritira regolarmente a pregare, a volte per tutta la notte (Luca 6,12) Se il Figlio di Dio ha bisogno di questo tempo di intimità con il Padre, quanto più ne abbiamo noi? La preghiera non è una performance, è un'espressione. Ci poniamo davanti a Dio, lo ascoltiamo, gli parliamo, ci lasciamo trasformare dalla sua presenza.

Poi, la meditazione sulla Scrittura. Il Salmo 1 dichiara beato chi medita sulla Torah giorno e notte. Giosuè riceve il comando: «Questo libro della legge non si allontani mai dalla tua bocca, ma meditalo giorno e notte, perché tu abbia cura di mettere in pratica tutto ciò che vi è scritto».Giosuè 1,8) La Parola di Dio è il nostro cibo spirituale. Un cristiano che non legge mai la Bibbia soffre di malnutrizione spirituale. Non può costruire in modo solido se non conosce i progetti dell'architetto.

La vita comunitaria costituisce un terzo pilastro. "Non abbandoniamo la nostra comune adunanza", ammonisce Ebrei 10:25. Abbiamo bisogno gli uni degli altri. La fede individuale è fragile. Si rafforza attraverso la condivisione, l'ascolto delle testimonianze e la preghiera comune. L'isolamento è una trappola. Il cristiano solitario è facile preda dello scoraggiamento, del dubbio o della deviazione dottrinale.

L'obbedienza graduale è il quarto elemento. Non diventiamo santi all'istante. Ma possiamo scegliere, ogni giorno, un ambito in cui incarnare più pienamente la volontà di Dio. Oggi lavoro sulla mia pazienza. Domani sulla mia generosità. Dopodomani sulla mia lingua. Questi piccoli atti di obbedienza si accumulano, come un muratore che posa mattone dopo mattone, finché l'edificio non è in piedi.

Michel, cristiano da dieci anni, ha strutturato la sua vita attorno a questi pilastri. Ogni mattina si alza trenta minuti prima per leggere un salmo e pregare. Due volte a settimana partecipa a un gruppo di studio biblico nella sua parrocchia. Ha individuato il suo tallone d'Achille: il pettegolezzo. Così, ogni giorno, si esercita a parlare bene di chi è assente e a rifiutare conversazioni tossiche. A poco a poco, il suo carattere sta cambiando. Quando attraversa una grave crisi professionale – la sua azienda chiude – non crolla. La sua fede profonda lo sostiene. Trova rapidamente un nuovo lavoro e testimonia che questa dura prova ha rafforzato la sua fiducia in Dio.

Quando la tempesta rivela la verità

Le prove sono inevitabili. Gesù non promette una vita senza pioggia, torrenti e venti. Garantisce che solide fondamenta resisteranno. La tempesta non crea debolezza; la rivela. Se la nostra casa crolla, non è colpa della tempesta. È perché abbiamo trascurato le fondamenta.

Le tempeste assumono molte forme. Malattie gravi, perdita del lavoro, la morte di una persona cara, tradimento coniugale, fallimento schiacciante, profondo dubbio spirituale. Nessuno sfugge a queste tempeste. Giobbe, figura emblematica della sofferenza, perse tutto in un solo giorno. Eppure la sua confessione finale rimane: "Io so che il mio Redentore è vivo" (Giobbe 19:25). Le sue fondamenta resistettero.

Davide, nei Salmi, attraversa profondità emotive. Grida a Dio, si lamenta e si interroga. Ma non lascia mai la mano del Signore. "Anche se cammino nella valle dell'ombra della morte, non temo alcun male, perché tu sei con me" (Salmo 23:4). La sua fede, messa alla prova, ne esce purificata.

Al contrario, Giuda, di fronte al senso di colpa del suo tradimento, crolla completamente. Non aveva fondamento. Il suo rapporto con Gesù era superficiale ed egoistico. Quando la tempesta della sua coscienza esplode, non trova alcuna roccia su cui appoggiarsi. La disperazione lo consuma.

Oggi, Léa, una giovane madre, riceve la diagnosi: suo figlio di tre anni ha una malattia genetica incurabile. Il suo mondo crolla. Per settimane, oscilla tra rabbia e disperazione. Ma continua a pregare, anche se le sue preghiere sono grida. Si aggrappa alle promesse bibliche, anche se non le "sente" più. Accetta il sostegno della sua comunità, anche se desidera ardentemente essere sola. Lentamente, una pace incomprensibile la pervade. Non capisce perché Dio permetta questo, ma sceglie di fidarsi di Lui. Due anni dopo, suo figlio muore. Al suo funerale, Léa testimonia: "Non so perché, ma so chi. E ciò che mi sostiene è che lui ha attraversato la sofferenza e la morte prima di me". La sua casa non è stata costruita sulla forza della sua fede, ma sulla solidità della roccia su cui è stata fondata: Cristo crocifisso e risorto.

Le tempeste sono anche occasioni per testimoniare. Quando i colleghi vedono che non cedi al cinismo nonostante l'ingiustizia, che mantieni la speranza nonostante la malattia, iniziano a interrogarsi. Pietro scrive: "Siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi" (1 Pietro 3:15). Il modo in cui affrontiamo le crisi parla più forte di qualsiasi parola.

Incarnare la volontà divina quotidianamente

Nella sfera personale: l’integrità come bussola

Fare la volontà del Padre inizia nel segreto del nostro cuore e delle nostre abitudini private. Nessuno ci osserva, ma Dio vede. Come gestiamo la nostra sessualità? Cosa guardiamo su internet? Come parliamo di noi stessi nel nostro dialogo interiore? Siamo onesti nelle nostre dichiarazioni dei redditi? Manteniamo le piccole promesse che facciamo a noi stessi?

L'integrità è indivisibile. Non si può essere onesti la domenica e disonesti il lunedì. Lo Spirito di Dio dimora in tutta la nostra esistenza, non solo nelle nostre azioni religiose. Costruire sulla roccia significa sottomettere ogni angolo della nostra vita alla luce divina, comprese quelle aree che nessun altro vedrà mai.

In termini pratici: fai un elenco delle tue abitudini quotidiane. Per ciascuna, chiediti: "Se Gesù fosse fisicamente presente con me, farei le cose diversamente?". Se la risposta è sì, hai individuato un'area di miglioramento. Non per punirti, ma per andare avanti. Scegli un'abitudine e lavoraci questo mese. Il mese prossimo, affrontane un'altra.

Nella sfera relazionale: l'amore come criterio

Le nostre relazioni – familiari, amici, colleghi, vicini – sono il fondamento primario dell'obbedienza. Gesù è chiaro: "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri" (Giovanni 13:35). Non dalla nostra ortodossia dottrinale, non dalla nostra partecipazione religiosa, ma dalla nostra capacità di amare in modi concreti.

Ciò significa perdonare quando è difficile, servire quando è scomodo, dire la verità con gentilezza, ascoltare veramente invece di aspettare il nostro turno per parlare e dare senza aspettarsi nulla in cambio. Nel matrimonio, questo assume la forma di una dedizione quotidiana. Nell'amicizia, di una disponibilità genuina. Sul lavoro, di un rispetto autentico.

In termini pratici: identifica la relazione più difficile della tua vita in questo momento. Chiedi a Dio: "Cosa vuoi che faccia per dimostrarti il tuo amore in questa relazione?". Poi obbedisci a ciò che ti mostra, anche se è costoso. Starai mettendo una pietra sulla roccia.

In ambito professionale: l'eccellenza come offerta

Il nostro lavoro, qualunque esso sia, può diventare un atto di obbedienza. Paolo esorta: "Qualunque cosa facciate, fatela di cuore, come per il Signore e non per gli uomini".Colossesi 3,23). Non serviamo principalmente il nostro datore di lavoro, i nostri clienti o la nostra ambizione. Serviamo Dio attraverso il nostro lavoro.

Questo cambia la nostra prospettiva. Il lavoro non è più un compito o solo un modo per guadagnarsi da vivere. Diventa una vocazione, uno spazio in cui esprimere creatività, ordine e gentilezza di Dio. Che siamo insegnanti, idraulici, medici o cassieri, possiamo svolgere il nostro lavoro "come se fosse per il Signore".

In termini pratici: questa settimana, prima di iniziare la giornata lavorativa, prega: "Signore, ti dedico ciò che sto per fare oggi. Aiutami a realizzarlo con eccellenza e con spirito di servizio". Poi lavora con questa consapevolezza. Nota le differenze nel tuo atteggiamento e nella tua soddisfazione.

Nel sociale: la giustizia come passione

La volontà di Dio si estende ben oltre la nostra piccola cerchia. Amos, Michea e Isaia tuonano contro l'ingiustizia sociale. Gesù si identifica con i poveri, i prigionieri e gli affamati (Matteo 25:31-46). Fare la volontà del Padre significa anche impegnarci per una maggiore giustizia nella nostra società.

Questo può assumere molte forme, a seconda dei nostri doni individuali. Alcuni si dedicheranno a organizzazioni benefiche. Altri useranno la loro voce pubblica per difendere gli oppressi. Altri ancora trasformeranno le loro attività in modelli di equità. L'importante è non accontentarsi di una spiritualità disincarnata che ignora il grido dei vulnerabili.

In termini pratici: scegli una causa che ti risuona – i senzatetto, i migranti, vittime della tratta, ecologia, ecc. – e impegnatevi concretamente, anche in piccole quantità. Donate il vostro tempo o il vostro denaro. Ma donate in modo efficace. Costruire su basi solide significa anche costruire una società più giusta.

«Se volete entrare nel regno dei cieli, dovete fare la volontà del Padre mio» (Mt 7,21.24-27)

Echi nella tradizione: quando i santi ci precedono

L'eredità patristica: fede e opere riconciliate

I Padri della Chiesa hanno ampiamente commentato questo brano. Agostino d'Ippona, nei suoi sermoni sul Discorso della Montagna, sottolinea la necessità di una fede viva. Per lui, il vero credente è colui la cui fede porta i frutti della carità. Scrive: "Credere in Dio è, amandolo, andare verso di lui e diventare una cosa sola con le sue membra". La fede non è un'adesione intellettuale, ma un movimento di tutto l'essere verso Dio e verso il bene.

Giovanni Crisostomo, nelle sue omelie su Matteo, castiga coloro che si accontentano della mera pietà formale. Egli paragona Cristiani superficiali, come attori che recitano una parte senza esserne trasformati. Per lui, ascoltare le parole di Gesù senza metterle in pratica è prendersi gioco di Dio. "Non è solo il peccato che condanna", dice, "ma anche il trascurare di fare il bene".«

Mistici e obbedienza amorevole

Teresa d'Avila, Alacoque, la grande riformatrice carmelitana, incentra tutta la sua spiritualità sull'unione della volontà umana con quella divina. Nel Castello Interiore, descrive il cammino dell'anima attraverso sette dimore, che conduce alla totale conformità con Dio. Ma questa unione mistica non esime dall'obbedienza concreta. Al contrario, la rende più esigente. "Dio ci preserva dalle persone devote e oziose", scrive con umorismo. La vera preghiera produce atti di carità.

Ignazio di Loyola Sviluppò il concetto di "trovare Dio in tutte le cose". Per il fondatore dei Gesuiti, fare la volontà di Dio non si limita ad azioni esplicitamente religiose. È in il lavoro Nella nostra vita quotidiana, nelle relazioni ordinarie e nelle decisioni professionali, incontriamo Dio e Gli obbediamo. Il suo libro, Esercizi Spirituali, offre un metodo di discernimento per identificare questa volontà nelle circostanze concrete.

Protestantesimo e sola gratia in azione

Martin Lutero, sostenitore della giustificazione per sola fede, non nega affatto l'importanza delle buone opere. Chiarisce semplicemente che esse non ci salvano, ma che attestano la nostra salvezza. Nel suo trattato Sulla libertà cristiana, scrive: "Non sono le buone opere a rendere buono l'uomo, ma l'uomo buono compie buone opere". È l'albero che produce il frutto, non il frutto che crea l'albero. Ma un albero senza frutto è morto.

Dietrich Bonhoeffer, teologo luterano morto martire sotto il nazismo, denunciò quella che chiamava "grazia a buon mercato", una grazia che giustifica tutto senza trasformare nulla. In "Il costo della vita", afferma: "Quando Cristo chiama un uomo, gli ordina di venire e morire". L'obbedienza radicale non è facoltativa; definisce il discepolato. Bonhoeffer pagò questa coerenza con la sua vita: il suo impegno contro Hitler derivava direttamente dalla sua fede.

L'ambito teologico: grazia e responsabilità

Questo brano di Matteo 7 ci presenta un mistero teologico: come conciliare la grazia divina che ci salva con la nostra responsabilità di obbedire? La risposta cattolica enfatizza la cooperazione: la grazia di Dio ci dà forza, e allora noi rispondiamo liberamente. La risposta riformata sottolinea che la grazia produce necessariamente obbedienza; se non cambiamo, è perché la grazia non ci ha veramente toccato.

Al di là delle differenze confessionali, emerge un consenso: la fede autentica si manifesta attraverso le azioni. Giacomo 2:17 lo riassume: "La fede senza le opere è morta". Non siamo salvati dalle nostre opere, ma non siamo salvati nemmeno senza di esse. Sono il segno, non la fonte, della nostra salvezza.

Questa tensione tra grazia e opere ci protegge da due insidie. Da un lato, il legalismo, che fa dipendere la nostra salvezza dalle nostre azioni e genera ansia e orgoglio. Dall'altro, il lassismo, che si affida a una grazia che dovrebbe scusare tutto e trascura la trasformazione morale. La vera fede tiene insieme entrambi: siamo salvati gratuitamente e questa grazia ci trasforma radicalmente.

Praticare l'obbedienza

Esame di coscienza quotidiano

Ignazio di Loyola Raccomanda un esame di coscienza quotidiano, un semplice esercizio in cinque fasi da praticare ogni sera. Prendetevi quindici minuti prima di andare a dormire. Per prima cosa, ringraziate Dio per i doni della giornata. Poi, chiedetegli la luce per vedere la vostra giornata attraverso i Suoi occhi. Poi, rivedete le vostre azioni, pensieri e parole da stamattina: dove avete obbedito alla volontà di Dio? Dove avete resistito? Poi, offrite i vostri rimpianti a Dio e ricevete il Suo perdono. Infine, chiedetegli la grazia di fare meglio domani.

Questo esercizio sviluppa una raffinata consapevolezza spirituale. Gradualmente, identifichi i tuoi punti di forza e di debolezza. Percepisci schemi ricorrenti, come l'impazienza a fine giornata o la durezza in certe relazioni. Questa consapevolezza è il primo passo verso il cambiamento.

Meditazione sul brano

Accomodatevi comodamente in un luogo tranquillo. Leggete ad alta voce Matteo 7:21, 24-27 lentamente. Poi, chiudete gli occhi e immaginate la scena. Visualizzate i due costruttori al lavoro. Uno scava in profondità per raggiungere la roccia, l'altro si accontenta della superficie sabbiosa. Guardate la tempesta che si avvicina: le nuvole si oscurano, la pioggia cade, i venti soffiano.

Ora, applica questo alla tua vita. Su cosa stai costruendo? Identifica un'area specifica. Immagina una tempesta particolare, una sfida probabile nelle tue circostanze attuali. Come resisterà la tua casa? Cosa potrebbe crollare? Cosa resisterà?

Poi, chiedi a Gesù di mostrarti una pietra specifica da posare questa settimana per rafforzare le tue fondamenta. Aspetta che emerga un pensiero chiaro. Scrivilo. Impegnati a metterlo in pratica.

Patto di obbedienza settimanale

Ogni domenica, dopo la funzione religiosa o la messa, prendetevi un momento per prendere un impegno specifico per la settimana. Non un proposito vago ("Sarò più paziente"), ma un'azione concreta ("Ogni sera di questa settimana, prima di rispondere al mio fastidioso adolescente, conterò mentalmente fino a cinque e respirerò profondamente").

Scrivi questo impegno. Mettilo in un posto ben visibile: sullo specchio, in macchina, come sfondo del telefono. Leggilo ogni giorno. Il sabato sera, fai il punto: l'hai mantenuto? Se sì, ringrazia Dio e scegli una nuova sfida per la settimana successiva. In caso contrario, non scoraggiarti; capisci cosa è andato storto e riprova.

Questo metodo trasforma gradualmente le nostre vite. Ogni settimana si ottiene una piccola vittoria. Dopo un anno, cinquantadue aree saranno state affrontate. La casa è costruita, pietra su pietra.

Ritiro di revisione trimestrale

Ogni tre mesi, dedicate mezza giornata al ritiro personale. Recatevi in un luogo che favorisca la riflessione silenziosa: una chiesa vuota, un parco, un monastero, se possibile. Portate con voi il vostro diario spirituale e la Bibbia. Rileggete gli appunti degli ultimi tre mesi. Dove siete cresciuti? Dove avete ristagnato? Quali progressi dovreste celebrare? Quali fallimenti dovreste riconoscere?

Prega il Salmo 139: "Scrutami, o Dio, e conosci il mio cuore". Chiedi allo Spirito Santo di rivelare i tuoi punti ciechi, quelle aree di compromesso che non vedi più. Sii onesto con te stesso e con Dio. Poi, crea una tabella di marcia per i prossimi tre mesi: quali sono le tue priorità spirituali? Quali aree di obbedienza vuoi coltivare più profondamente?

Questa disciplina di revisione regolare previene la deriva spirituale. Siamo tutti inclini all'autocompiacimento, a una graduale tiepidezza. Queste pause trimestrali ci rimettono in carreggiata.

Obbedire in un mondo relativo

Il relativismo morale prevalente

La nostra epoca valorizza l'autonomia individuale fino al punto di idolatrarla. "La mia verità", "la mia scelta", "la mia libertà" diventano mantra intoccabili. In questo contesto, affermare l'esistenza di una volontà divina oggettiva a cui dobbiamo sottometterci sembra retrogrado, persino oppressivo. Come possiamo rimanere saldi senza apparire rigidi?

La chiave è distinguere tra convinzione e coercizione. Possiamo essere assolutamente convinti della verità biblica pur rispettando la libertà altrui. Gesù non ha mai forzato nessuno. Ha offerto suggerimenti, esortato, sfidato, ma ha sempre lasciato la scelta aperta. Siamo chiamati a testimoniare, non a imporre.

Allo stesso tempo, non possiamo diluire il messaggio per renderlo più appetibile. L'affermazione: "Non è dicendomi: 'Signore, Signore', che si entrerà nel Regno" rimane vera, che piaccia o no ai nostri contemporanei. Il nostro ruolo non è quello di adattare il Vangelo alle tendenze attuali, ma di viverlo con sufficiente coerenza da renderlo credibile.

La tentazione del cristianesimo performativo

I social media incoraggiano una spiritualità superficiale. Le persone pubblicano i loro orari di preghiera, i versetti preferiti e le attività della chiesa. Non c'è niente di sbagliato in questo di per sé. Ma il rischio è confondere l'immagine con la realtà. Possiamo diventare influencer spirituali senza una vera profondità, costruttori virtuali la cui casa esiste solo su Instagram.

Gesù ci riporta alla realtà. L'obbedienza viene messa alla prova fuori campo. Come tratti il fattorino che nessuno vede? Qual è la tua prima reazione quando nessuno ti guarda? È lì, nel non spettacolare, che si rivela se stiamo costruendo sulla roccia o sulla sabbia.

La soluzione non è fuggire dai social media, ma coltivare un giardino segreto con Dio, uno spazio di autenticità dove non abbiamo nulla da dimostrare o da proiettare. È da questa fonte nascosta che germoglierà un'autentica testimonianza pubblica.

L'equilibrio tra grazia e standard elevati

Alcuni cristiani, in reazione al legalismo, cadono in un lassismo che giustifica tutto. "Dio capisce", "Siamo sotto la grazia", "Nessuno è perfetto" diventano vie di fuga. Certamente, Dio è misericordioso. Ma la sua misericordia non ci esime dallo sforzo.

Altri, al contrario, si tormentano per non essere mai all'altezza. Vivono in uno stato di costante ansia spirituale, temendo di non aver obbedito abbastanza, di non aver fatto abbastanza bene. Costruiscono freneticamente, ma per paura, non per fede.

Il Vangelo ci offre una terza via. Siamo pienamente accolti dalla grazia, e questa accettazione ci rende liberi di crescere. Possiamo fallire senza essere distrutti, perché il nostro fondamento è Cristo, non la nostra prestazione. Ma proprio perché siamo amati incondizionatamente, desideriamo essere come Colui che ci ama. L'obbedienza nasce dalla gratitudine, non dalla paura.

Preghiera: Per una vita radicata

Signore Gesù, Verbo fatto carne, Tu ci chiami a costruire la nostra vita sulla roccia del Tuo insegnamento. Perdonaci quando le nostre parole suonano vuote, quando proclamiamo "Signore, Signore", ma distogliamo i nostri cuori dalla Tua volontà.

Padre celeste, rivelaci ciò che è caro al tuo cuore. Possa il tuo Spirito imprimere in noi i tuoi comandamenti, non come obblighi gravosi, ma come via verso la vera vita, il segno della nostra libertà riconquistata.

Spirito Santo, rafforza la nostra obbedienza. Quando sentiamo la tua voce ed esitiamo a seguirla, guidaci dolcemente fuori dalla nostra zona di comfort. Quando scegliamo la via facile, riportaci alla roccia, anche se scavare è doloroso.

Donaci il coraggio di costruire a lungo termine, di porre ogni giorno una pietra di fedeltà, di non scoraggiarci per la grandezza del compito, di credere che la nostra casa resisterà, non grazie alla nostra forza, ma perché poggia su di te.

Concedici il discernimento spirituale, Questa capacità di riconoscere la tua volontà nelle mille decisioni della vita quotidiana. Possano le nostre scelte professionali, relazionali e finanziarie riflettere gradualmente il tuo regno.

Preservaci dalla religiosità superficiale, da questa cristianesimo Una facciata che impressiona gli uomini ma non trasforma il cuore. Rendici autentici, vulnerabili, veri, anziché impeccabili nell'aspetto e vuoti nella sostanza.

Quando le tempeste della vita si abbattono – e sappiamo che lo faranno – possa la nostra casa non crollare. Possa la nostra fede messa alla prova emergere più pura. Possa la nostra testimonianza, nella sofferenza, risplendere più luminosa.

Rendici artigiani di giustizia, portatori di speranza, testimoni credibili di questo regno che viene e che già abita in coloro che confidano in te e ti obbediscono.

Per tutti coloro che oggi stanno ricostruendo sulle rovine, per coloro che hanno visto le loro case crollare e dubitano della loro capacità di ricostruire, mostratevi come la roccia incrollabile. Rassicurateli: non è mai troppo tardi per ricominciare.

Questo ti chiediamo, Cristo Gesù, tu, Maestro costruttore delle nostre vite, tu, pietra angolare della Chiesa, tu, fondamento che nessuno può sostituire. A te la gloria, con il Padre e lo Spirito, ora e sempre.

Amen.

Dalle parole ai fatti, un percorso di trasformazione

Siamo ormai giunti alla fine di questo cammino. Matteo 7,21-27 non è un testo confortevole. Ci mette di fronte alle nostre contraddizioni, alla nostra tendenza a sostituire le parole alle azioni, alla tentazione di costruire frettolosamente sulla sabbia anziché scavare nella roccia. Ma è proprio questo confronto che può salvarci.

Gesù non ci condanna; ci risveglia. Ci mostra la via verso un rapporto autentico con Dio: una fede che si fa carne, un'obbedienza che nasce dall'amore, una costruzione paziente che resisterà alle tempeste. Dire "Signore, Signore" è un inizio necessario. Fare la volontà del Padre è il culmine.

Questa volontà divina non è un mistero impenetrabile. Ci è stata rivelata nella Scrittura, incarnata in Gesù, chiarita da secoli di tradizione cristiana e illuminata dallo Spirito Santo nelle nostre circostanze particolari. Possiamo conoscerla. La domanda è: la faremo?

Ognuno di noi, in questo preciso momento, sta costruendo la propria casa. Ogni decisione, ogni parola, ogni azione è un mattone. La domanda non è se stiamo costruendo, ma su cosa. Sulla sabbia delle buone intenzioni, delle promesse non mantenute e di una spiritualità estetica ma sterile? O sulla roccia dell'obbedienza concreta, della coerenza tra fede e vita, della vera trasformazione?

Non costruiamo da soli. Lo Spirito Santo è il nostro caposquadra, che ci guida, ci incoraggia e ci solleva quando inciampiamo. La comunità cristiana è la nostra squadra, che ci sostiene e ci corregge. E Cristo è il nostro fondamento incrollabile, su cui tutta la nostra vita può poggiare saldamente.

Allora, iniziamo. Oggi. Ora. Scegli un'area, un'abitudine, una relazione in cui metterete in pratica la volontà del Padre questa settimana. Non tutto in una volta: costruire richiede tempo. Ma pietra dopo pietra, con perseveranza.

Verrà un giorno in cui staremo davanti a Dio. Non ci chiederà quante volte abbiamo detto "Signore". Guarderà la nostra casa. È rimasta in piedi? Era piena della Sua presenza? Rifletteva la Sua gloria? Possiamo allora sentire: "Bene, servo buono e fedele. Entra in gioia del tuo Maestro." Non perché eravamo perfetti, ma perché abbiamo scelto di costruire su di lui.

Pratico

  • Revisione spirituale quotidiana : ogni sera, annota un atto concreto di obbedienza compiuto e una resistenza al lavoro del giorno successivo.
  • Patto di autenticità : condividi con un amico cristiano di cui ti fidi un aspetto in cui la tua vita contraddice la tua fede e chiedi il suo sostegno.
  • Digiuno tecnologico settimanale : una sera alla settimana, spegni tutti gli schermi per meditare sulla Scrittura e pregare, riscoprendo così il silenzio dove Dio parla.
  • Atto di servizio anonimo : ogni settimana, fai qualcosa di buono per qualcuno senza che lui/lei sappia che sei stato tu, il che porta all'obbedienza disinteressata.
  • Revisione mensile del budget : verifica se le tue spese rispecchiano i valori del regno, adeguando gradualmente le tue priorità finanziarie verso una maggiore generosità.
  • Tutoraggio spirituale trimestrale : ogni tre mesi, incontra un cristiano più maturo per una sincera analisi della tua crescita e per ricevere consigli.
  • Memoria scritturale : memorizza un versetto a settimana sulla volontà di Dio, preparandoti al discernimento quotidiano delle situazioni.

Riferimenti

Fonti bibliche primarie Matteo 5-7 (Sermone completo sul monte), Giacomo 1-2 (Fede e opere), 1 Giovanni 2,3-6 (conoscere Dio attraverso l'obbedienza), Romani 12,1-2 (rinnovamento e discernimento), Salmo 1 e Giosuè 1,8 (meditazione sulla Legge).

Padri della Chiesa Agostino d'Ippona, Sermoni sul Sermone della Montagna ; Giovanni Crisostomo, Omelie sul Vangelo di Matteo ; Gregorio Magno, Morale su Giobbe.

Spiritualità classica : Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali (discernimento); ; Teresa d'Avila, Il Castello Interiore (unione di volontà); Fratel Lorenzo, La pratica della presenza di Dio.

Teologia contemporanea Dietrich Bonhoeffer, Il prezzo della grazia (discepolato radicale); Dallas Willard, La grande omissione (trasformazione spirituale); NT Wright, Dopo di te, Spirito Santo (Virtù cristiana).

Commentari esegetici RT Francia, Il Vangelo di Matteo (NICNT); Donald Hagner, Matteo 1-13 (Commento biblico della Parola); Ulrich Luz, Matteo 1-7 (Ermenea).

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