Capitolo 10
10, 1-4. Parall. Marco. 6, 7; Luca. 9, 1 e 2.
Mt10.1 Poi, convocati i suoi dodici discepoli, diede loro autorità sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità. – Gesù convocò dunque i suoi dodici discepoli principali, i suoi Apostoli, come vengono chiamati nel versetto seguente, in una solenne assemblea. Da ciò si evince che il termine «discepoli» è usato nel Vangelo in tre significati diversi. Nel suo senso più ampio, designa tutti coloro che hanno creduto in Gesù Cristo e hanno accolto docilmente la dottrina evangelica; in senso più stretto, rappresenta quegli uomini più generosi che il divino Maestro aveva legato alla sua persona e con i quali si accompagnava nei suoi viaggi e nelle sue missioni (cfr Mt 8,21, ecc.); infine, in senso stretto, si applica all'élite di questa seconda categoria, i Dodici per eccellenza, come li chiama già san Marco (6,7). Così, attorno a Cristo si era gradualmente formata una triplice cerchia di amici e seguaci. San Matteo, parlando qui per la prima volta degli Apostoli, non pretende affatto che la loro selezione non risalga a un periodo più antico di questo. Al contrario, l'espressione generale «chiamati», con cui egli li introduce sulla scena evangelica, presuppone che i Dodici costituissero già un numero a sé stante, una classe distinta da quella dei discepoli di secondo grado; anzi, secondo gli altri due Vangeli sinottici, che parlano su questo argomento con la consueta precisione, la formazione del collegio apostolico risale a una data anteriore: essa era avvenuta, ci dicono, poco dopo l'inizio della prima missione affidata da Gesù ai Galilei e solo pochi istanti prima del Discorso della Montagna; Luca 6,12-20; Marco 3,13-19. Più avanti, nel contesto dell'evento che stiamo esaminando, raccontano molto esplicitamente che Gesù chiamò i dodici Apostoli per comunicare loro i suoi poteri e per coinvolgerli nella sua opera (Marco 6,7; Luca 9,1-2). Il primo evangelista condensa quindi gli eventi secondo il suo metodo consueto, mentre San Marco e San Luca separano nelle loro narrazioni gli eventi che sono stati separati secondo l'ordine cronologico. Questa visione è, oggi, ampiamente accettata. Ha dato loro il potere. Fu per conferire loro poteri soprannaturali simili ai suoi, destinati a corroborare la loro predicazione, che li aveva radunati attorno a sé in quel momento; stava per procedere, per così dire, alla loro ordinazione apostolica, in attesa dell'ordinazione sacerdotale che avrebbe avuto luogo la sera del Giovedì Santo. In che modo trasmise loro i poteri straordinari di cui l'evangelista avrebbe parlato di lì a poco? Fu attraverso qualche segno esteriore, come hanno suggerito vari autori? O fu piuttosto con una semplice dichiarazione verbale? Poco importa; i tre racconti, del resto, tacciono completamente su questo punto. – Questi poteri sono di due tipi: consistono 1° nello scacciare i demoni dai corpi degli indemoniati, spiriti impuri…Questa designazione di spiriti impuri applicata ai demoni deriva dalla loro costante e manifesta opposizione a tutto ciò che è santo, dalla loro forte inclinazione verso tutto ciò che è malvagio e dall'ardente attività che mostrano nel condurre l'uomo a tutti i tipi di peccati, a tutti i tipi di impurità sia nel senso ampio che in quello stretto dell'espressione. – 2° E per guarire…I poteri comunicati da Gesù ai suoi Apostoli consistono ancora nel guarire indiscriminatamente, senza eccezioni, tutte le malattie o infermità che affliggono l'umanità. Attualmente, il potere di cui li investe è quindi del tutto esteriore; solo in seguito conferirà loro un'autorità più spirituale ed elevata, in virtù della quale potranno amministrare i sacramenti e per portare la grazia direttamente nelle anime. Inoltre, ciò di cui avevano bisogno prima di tutto era il dono di compiere segni straordinari che attestassero la verità della loro predicazione. "Questi segni", scrisse San Gregorio Magno, "erano necessari all'inizio della Chiesa. Perché la moltitudine dei credenti crescesse nella fede, era necessario nutrirla con miracoli. Lo stesso vale per noi. Quando piantiamo arbusti, li annaffiamo finché non vediamo che sono ben radicati. E non appena hanno messo radici, l'annaffiatura cessa".
Elenco degli Apostoli, vv. 2-4. Parall. Marco, 3, 16-19; Luca, 6, 13-16.
Mt10.2 Questi sono i nomi dei dodici apostoli: il primo è Simone, chiamato Pietro, poi Andrea suo fratello, Giacomo figlio di Zebedeo e Giovanni suo fratello, 3 Filippo e Bartolomeo, Tommaso e Matteo il pubblicano, Giacomo, figlio di Alfeo e Taddeo, 4 Simone lo Zelota e Giuda Iscariota, che poi lo tradì. – Dodici apostoliPerché questo numero dodici? È certamente simbolico, come hanno ammesso tutti i commentatori antichi e la maggior parte di quelli moderni; presuppone quindi qualche misteriosa intenzione nell'anima di Nostro Signore Gesù Cristo. Se non avesse avuto un carattere mistico, San Pietro non avrebbe affermato, dopo la Pentecoste, che era necessario ("è necessario", Atti degli Apostoli 1, 21) per colmare il vuoto creato nel collegio apostolico dalla morte del traditore Giuda. Tuttavia, mentre l'esistenza del simbolo è fuori dubbio, lo stesso non si può dire delle indagini più o meno complicate e sottili intraprese per trovarne la chiave. Il numero dodici, è stato detto, è formato da una combinazione delle cifre tre e quattro. Il tre è il segno di Dio e del divino, il quattro il segno della creatura. Se si sommano semplicemente queste due cifre, si ottiene una terza, il sette, che è l'emblema della religione, cioè dell'unione della creatura con Dio. Dodici è il prodotto di tre moltiplicato per quattro, che significa un'unione ancora più intima di Dio e dell'uomo; ecco perché dodici è il numero dell'Alleanza del Signore con Israele, e poi con la Chiesa. Cfr. Baehr, Symbolik, 1, 201 ss.; Arnoldi, Comment. in hl; Bisping, ibid. Ammettiamo volentieri di capire poco di queste complesse combinazioni; preferiamo quindi tornare alle spiegazioni più semplici e, a nostro avviso, più fondate degli autori antichi, che Maldonat riassume nei termini seguenti: «Gesù volle che ci fossero dodici apostoli per realizzare la figura dei dodici patriarchi. E come tutto il popolo ebraico si è propagato dai dodici patriarchi, così anche tutto il popolo cristiano si diffonderà dai dodici apostoli». Dunque, c'erano dodici Apostoli in memoria dei dodici patriarchi e delle dodici tribù, volendo Dio stabilire una certa somiglianza di origine tra i due Testamenti. Si potrebbe anche ammettere, se si vuole, un secondo motivo, suggerito nei termini seguenti da Rhaban Maure: «Derivando dal ternario e dal quaternario, il numero dodici significa che predicheranno la fede nella Trinità ai quattro angoli del mondo». La Glossa Ordinaria parla nello stesso senso: «Sono gli operai che dovevano essere inviati ai quattro angoli del mondo per chiamarli alla fede nella Trinità». – Ciò che san Gregorio Magno diceva del nome degli Angeli, «nome di ufficio, non di natura», può essere applicato anche al titolo di Apostolo, che è essenzialmente un nome di ufficio e di funzione. Derivato dal greco, il sostantivo da cui i latini derivarono «apostolus» e che noi chiamiamo «Apostolo», tramite «Apostre» (la lettera L è stata trasformata in R), significa Legato, Inviato, Ambasciatore; aveva il suo equivalente nella parola ebraica corrispondente a «inviare». Gesù Cristo, al quale il Lettera agli Ebrei3,1, conferisce giustamente questo titolo, che egli stesso scelse di conferire ai suoi dodici discepoli prediletti (cfr Lc 6,13), ai quali è più specificamente riservato nel linguaggio cristiano. San Matteo ne ritardò giustamente la menzione fino al momento in cui coloro che lo avevano ricevuto sarebbero stati "inviati" per la prima volta dal loro Maestro a predicare il Vangelo ai loro concittadini. San Pietro ci informa nel Libro degli Atti 1,21-22 delle condizioni specifiche che dovevano essere soddisfatte per avere diritto a portare il nome di Apostolo in senso stretto. Ecco il nome. I nomi di questi dodici uomini privilegiati, di questi alti dignitari del regno messianico, meritavano certamente di essere preservati nel Vangelo e trasmessi per sempre alla cristianità; quest'ultimo motivo non era illusorio, come dimostra la storia dei primi secoli della Chiesa. Anche San Marco menziona i Dodici nel suo racconto (3,16-19), e San Luca, non contento di citarli nel Vangelo che porta il suo nome (6,13-16), li registra addirittura negli Atti degli Apostoli (1,13); così che esistono, negli scritti ispirati del Nuovo Testamento, quattro liste dei membri del collegio apostolico che, se confrontate, producono diversi risultati interessanti. In tutte le liste, San Pietro è posto al primo posto, mentre Giuda è costantemente nominato per ultimo. Ogni lista divide gli Apostoli in tre gruppi di quattro, e gli stessi nomi compaiono sempre nello stesso gruppo, sebbene non occupino costantemente la stessa posizione. Il primo gruppo comprende San Pietro, Sant'Andrea, San Giacomo il Maggiore e San Giovanni: Sant'Andrea, che è secondo nelle liste del primo e del terzo Vangelo, è solo quarto nelle altre due liste, preceduto dai due figli di Zebedeo. Nel secondo gruppo troviamo i nomi di San Filippo, San Bartolomeo, San Tommaso e San Matteo. San Filippo è sempre al primo posto; San Bartolomeo occupa a volte la seconda, a volte la terza posizione; San Tommaso d'Aquino è successivamente classificato secondo, terzo o quarto; San Matteo due volte nella terza e due volte nella quarta. L'ultimo gruppo comprende San Giacomo il Minore, nominato primo in tutte e quattro le liste, San Simone e San Taddeo che si alternano al secondo e al terzo posto, e infine Giuda Iscariota che conclude la serie ovunque. Questa collocazione è certamente troppo regolare per essere considerata frutto di pura casualità. Abbiamo già notato i ranghi specificamente assegnati a San Pietro e Giuda; È anche degno di nota che, tra gli altri dieci Apostoli, i più famosi, quelli le cui personalità sono più evidenti nel Vangelo o nella storia, siano menzionati per primi, mentre gli altri vengono solo dopo. Poiché San Matteo e San Luca nominano gli Apostoli a due a due, e San Marco afferma, d'altra parte, nei versetti 6 e 7, che Gesù "cominciò a mandarli a due a due" quando li mandò per la prima volta a predicare, è possibile che i quattro elenchi ci diano, almeno in generale, l'ordine che il Salvatore stesso stabilì tra i suoi dodici discepoli. Il primo, Simon, in ebraico, "l'atto del rispondere"; questo nome, frequente tra gli ebrei, fu quello che il Principe degli Apostoli ricevette al momento della circoncisione. Ma, fin dal suo primo incontro con Gesù, gli fu dato dallo stesso divino Maestro un nuovo appellativo, dal significato profondamente mistico, che ha quasi completamente eclissato il primo: chiamato Pierre, Cfr. Giovanni 143. San Matteo lo menziona qui solo per distinguere Simon Pietro da Simone lo Zelota Più avanti, in 15:18, ne racconterà la solenne conferma. L'epiteto "primo", che apre in modo così sorprendente l'elenco degli Apostoli, ha sempre suscitato notevole preoccupazione tra i protestanti. Per lungo tempo, hanno cercato di sbarazzarsene, o fingendo di considerarlo un ordine numerico, o sostenendo che designasse semplicemente Cefa o come il primo chiamato tra gli Apostoli, o come il discepolo più caro a Gesù. Tentativi vani. È noto, infatti, che il prediletto del Salvatore era San Giovanni; è noto che Simon Pietro non fu il primo degli Apostoli per vocazione; suo fratello Andrea e un altro ancora che identificheremo più avanti si erano uniti a Nostro Signore prima di lui, cfr. Giovanni 135-39; è noto che un ordine numerato presuppone altri numeri dello stesso tipo e che, una volta iniziata una nomenclatura di questo tipo, non ci si ferma bruscamente dopo il numero 1. Dovremmo quindi avere: "secondo Andrea, terzo Giacomo", e così via fino a "dodicesimo Giuda". Resi più ragionevoli da una riflessione più seria, se non dalla diminuzione dei loro pregiudizi, i seguaci di Lutero e Calvino concordano ormai in numero considerevole nel vedere nell'aggettivo "primo", secondo il pensiero di San Giovanni Crisostomo, l'indicazione di una vera priorità di San Pietro sugli altri Apostoli. Citiamo in particolare Meyer, J.P. Lange, Olshausen, Alford e de Wette. Quest'ultimo non esita ad ammettere francamente che questo "primo" favorisce notevolmente la dottrina del primato di San Pietro. Del resto, il saggio Grozio aveva già riconosciuto la stessa cosa: "Principe del collegio, senza dubbio, designato da Cristo per mantenere l'unità nel corpo". Siamo stati quindi sorpresi di trovare in Fritzsche, solitamente più giusto e pacato, la seguente gentile osservazione rivolta ai cattolici: "Sono assurdi questi cattolici che, con la parola 'primate di Pietro', o, per usare il termine di Teodoro Beza, 'tirannia dell'Anticristo', pensano di poter essere confermati". Perché non accusarli, come hanno fatto autori precedenti, di aver introdotto fraudolentemente nel testo sacro l'aggettivo che suscita così grande ira? Ma la sua autenticità è fin troppo consolidata. Affermiamo pubblicamente che il suo significato non lo è di meno. Chiunque, senza preconcetti, confronti le semplici parole "primo Simone" con i testi del Nuovo Testamento e la tradizione che li spiega, riconoscerà facilmente che essi attribuiscono a Simon Pietro non solo una priorità ordinaria sugli altri Apostoli, ma un vero primato di onore e di giurisdizione. Non è solo in questo caso che egli occupa il primo posto nel collegio apostolico; la narrazione evangelica gli assegna un ruolo di primo piano in ogni pagina. Qui parla a nome di tutti gli altri discepoli (Matteo 19:27; Luca 12:41); lì risponde quando gli Apostoli vengono interpellati collettivamente (Matteo 16:16 e paralleli); talvolta Gesù si rivolge a lui come figura principale persino tra i tre discepoli privilegiati (Matteo 26:40; Luca 12:41). 22, 31. Dopo l'Ascensione, ci appare come l'organo del collegio apostolico, Atti degli Apostoli 1,15; 2,14; 4,8; 5,29. E omettiamo deliberatamente alcuni dei testi più salienti, ai quali renderemo giustizia quando l'ordine degli eventi ce li presenterà. Questi vari aspetti, presi singolarmente o, soprattutto, tutti insieme, costituiscono una base incrollabile per la dottrina della Chiesa sul primato di San Pietro e dei suoi successori. E André, suo fratello. Nell'elenco di San Matteo, subito dopo Simone, troviamo suo fratello Andrea, il cui nome è ovviamente greco (maschile), nonostante gli sforzi di Olshausen di derivarlo dall'ebraico., Nadar, «promesso con voto». Né durante la sua vita apostolica, né nell’ora della sua morte, Andrea avrebbe rinnegato questo titolo glorioso. Se la sua figura impallidisce necessariamente rispetto a quella del fratello, egli conserva tuttavia l’onore di essere stato il primo di tutti a correre da Gesù (cfr Gv 1,35 ss.). – Il primo evangelista ci ha già rivelato, sopra (4,18 ss.), il momento preciso in cui il Salvatore legò definitivamente i due figli di Giona alla sua persona. Gesù chiamò contemporaneamente i figli di Zebedeo, o, come lui stesso li soprannominò, i figli del tuono («Boanerges», Mc 3,17), Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratelloIl più anziano, san Giacomo, avrà la gloria di diventare il primo martire apostolico, Cf. Atti degli Apostoli 12, 2; il secondo, San Giovanni, sarebbe stato il discepolo prediletto del Salvatore e avrebbe composto il quarto Vangelo. Il genitivo "di Zebedeo" che accompagna il nome del primo mira a stabilire una distinzione tra lui e il suo omonimo, il figlio di Alfeo, o, secondo il linguaggio a lungo usato nella Chiesa, tra San Giacomo il Maggiore e San Giacomo il Minore. Questo genitivo dipende da "figlio", inteso secondo l'uso ebraico. – Filippo; altro nome greco molto comune in Palestina, cfr. Giuseppe, La guerra giudaica, 3, 7, 12. I rabbini, che lo menzionano spesso, lo scrivono in due modi diversi. Anche San Filippo fu un discepolo fin dall'inizio, come ci dice San Giovanni 1,43; era di Betsaida, quindi compatriota di San Pietro e Sant'Andrea. Bartolomeo, in ebraico "figlio di Tolmai". La tradizione concorda unanime nel ritenere che san Bartolomeo e Natanaele siano la stessa persona, questo "vero israelita" presentato a Gesù da san Filippo sulle rive del Giordano, Cfr. Giovanni 1, 45 ss. Questa identificazione è perfettamente coerente con lo spirito del racconto evangelico, perché 1) San Giovanni, verso la fine del suo primo capitolo, intende chiaramente raccontare al lettore come si sono stabiliti i primi rapporti tra Gesù e i suoi futuri discepoli: perché, delle cinque persone che presenta, solo uno, Natanaele, sarebbe stato chiamato all'apostolato? 2) Gesù annuncia formalmente a Natanaele, Gv 1,50, che gli è riservato un ruolo superiore: questo ruolo non poteva che essere quello di Apostolo. 3) San Bartolomeo è associato a San Filippo negli elenchi contenenti i nomi dei Dodici, proprio come lo era Natanaele all'inizio del quarto Vangelo. 4° Gv 21,2 menziona la presenza di Natanaele tra diversi Apostoli, indicando chiaramente che anch'egli faceva parte del collegio apostolico. Bartolomeo sembra essere stato uno di quei nomi patronimici che sono sempre stati in uso in tutto l'Oriente; Natanaele, "Dio ha dato", era il nome personale ricevuto al momento della circoncisione. Tommaso, in ebraico, Theóm, in caldeo, Tommaso, Vale a dire, "gemello", o "Didimo", come tradotto in San Giovanni 11:16, 20; 21:2. Questo Apostolo, dal punto di vista del carattere, non è privo di analogie con San Pietro: in entrambi troviamo un affetto generoso per Gesù Cristo, un coraggio a volte eroico, ma anche grandi e rapidi fallimenti. Matteo il pubblicanoNel capitolo precedente, 9, 9 ss., egli stesso ha raccontato la sua straordinaria vocazione. Con quale ammirevole umiltà Non attribuisce forse al suo nome l'appellativo poco lusinghiero di "pubblicano"? Jacques, figlio di Alphée, o san Giacomo il Minore, come lo chiama già san Marco (15,40), senza dubbio per la sua minore età rispetto a quella di Giacomo, figlio di Zebedeo. Con ogni probabilità, Alfeo, suo padre, non è diverso da Cleopa, che sposò SposatoIn quanto sorella, o almeno parente stretta, della Beata Vergine, Giovanni II, san Giacomo il Minore ebbe dunque l'incomparabile gloria di far parte della famiglia di Gesù. È di lui che parla san Paolo nella lettera ai Galati, 1,19, quando dice di aver trovato a Gerusalemme, al tempo del suo primo viaggio, solo due Apostoli, Pietro e Giacomo, "il fratello del Signore"; è quindi lui che viene menzionato, Matteo 13,55 e paralleli, tra i cugini del divino Maestro. Sappiamo che fu per molti anni vescovo della capitale ebraica e che compose la prima delle lettere cattoliche. E TaddeoI manoscritti greci presentano una grande varietà di varianti riguardanti questo Apostolo. Ma ciò che è ancora più sorprendente di questa confusione è l'assenza del nome Taddeo o del nome Lebbeo nei due elenchi di San Luca (Vangelo e Atti degli Apostoli Vedere. Giovanni 14(22), che ne cita uno completamente diverso, quello di "Giuda Jacobi". Come si spiega questa discrepanza? Si comprende che, a meno che non si volesse stravolgere e riorganizzare completamente la composizione del corpo apostolico, bisognava attenersi rigorosamente al numero quadrato di dodici. Gli evangelisti, che sottolineano questo numero con tanta forza ogni volta che se ne presenta l'occasione, non potevano certo essere i primi a discostarsene. Se, quindi, menzionano più di dodici nomi, molti di questi nomi devono essere stati usati per designare un unico e medesimo apostolo. Ed è proprio così. Taddeo non è diverso da Lebbeo, che a sua volta non è diverso da Giuda, cosicché abbiamo qui un'unica personalità rappresentata da tre nomi distinti. Così, gli antichi, sulla cui testimonianza si basa questa soluzione della difficoltà, amavano chiamare l'apostolo Taddeo. Qual era la relazione tra questi tre nomi? È più comunemente accettato che Giuda, o Giuda, come diciamo per distinguere questo discepolo dal traditore, fosse il nome originale. Si ritiene che Taddeo e Lebbeo siano due soprannomi con significati pressoché identici, poiché il primo, derivato dall'aramaico "mamma, pectus", potrebbe essere tradotto come "amato", mentre il secondo, che significa "cuore", esprimerebbe una tenera carezza, "il mio cuore". Lightfoot e Schieusner attribuiscono un'etimologia falsa a quest'ultimo nome, derivandolo rispettivamente da Lebba, una città marittima della Galilea menzionata da Plinio (Storia Naturale 5,17), presunta patria di San Giuda, e da un cucciolo di leone. Spiegheremo il significato delle parole "Judam Jacobi" nel nostro commento a Luca 6,16. Basti dire che un gran numero di autori, basandosi su una tradizione molto seria, intendono questa volta non "figlio", ma "fratello", così da rendere San Giuda o Taddeo un fratello di San Giacomo il Minore e, di conseguenza, un parente di Nostro Signore Gesù Cristo. Tra i "fratelli di Gesù" menzionati nel capitolo 12, versetto 55, troveremo infatti Giuda o Giuda accanto a Giacomo. Simone lo ZelanteQuest'altro Simone, secondo alcuni esegeti, era anche cugino del Salvatore, e allo stesso tempo fratello di san Giacomo e san Giuda; ma la tradizione è meno definitiva per lui che per gli altri due apostoli, quindi questo punto rimane molto dubbio. San Luca, in due occasioni, nel suo Vangelo, 6:15, e in gli Atti degli ApostoliGiuseppe Flavio, 1.13, chiama San Simone "lo Zelota"; questo dimostra che il vero cognome deriva dal verbo aramaico "colui che ama, colui che è zelante". In quali circostanze Simone ricevette il titolo di Zelota? Non è possibile affermarlo con certezza. Gli Zeloti divennero in seguito un partito noto, i cui eccessi causarono la rovina di Gerusalemme (cfr. Giuseppe Flavio, Guerra giudaica, 4.1.9; 7.8.1). In origine, formavano una sorta di polizia religiosa che garantiva la stretta osservanza della Legge e si rivendicava il diritto di punire i trasgressori. Forse esistevano in forma embrionale al tempo del Salvatore; in tal caso, San Simone sarebbe stato uno dei più ardenti, e il titolo gli sarebbe rimasto. Giuda IscariotaUn nome sinistro, relegato in fondo alla lista. Libro di Giosuè Egli menziona già, in 15,25, la città di Kariot, situata nella tribù di Giuda: fu senza dubbio da lì che proveniva il traditore, ed è per questo che al suo nome personale fu aggiunto l'epiteto Iscariota, per distinguerlo da san Giuda, che in ebraico era chiamato con lo stesso nome. "Iscariota" sarebbe quindi un'espressione modellata su quella ebraica. Isch-Kerioth, L'uomo, cioè l'abitante di Carioth, sarebbe equivalente a "Cariothensis", come leggiamo nel quarto Vangelo, 6:71, secondo diversi manoscritti. Troviamo nello storico Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche 7,6,1, un fatto simile che conferma quanto appena detto. Lo scrittore ebreo intendeva dire che l'individuo a cui si riferiva era nativo del villaggio di Tobia. In ebraico, avrebbe espresso questa idea con Isch-Tob ; Copiando questa formula, le dà semplicemente una desinenza greca. Alcuni commentatori, tuttavia, rifiutano questa etimologia e derivano Iscariota, alcuni da Scheker, mentire, "affinché Giuda fosse dichiarato bugiardo", gli altri di Sakar, stipendio, "per indicare l'uomo che ha sofferto per essere stato corrotto dal denaro"; altre ancora sono espressioni talmudiche Iscara, "strangolamento", o Iscoreti, «una cintura di cuoio» e per estensione «una borsa, una piccola borsa», il che alluderebbe anche alla fine vergognosa o all’avarizia del traditore. Ma, oltre al fatto che queste radici sono troppo artificiose, presentano anche lo svantaggio di presupporre che il soprannome di Iscariota sia stato dato a Giuda solo dopo la sua morte, il che contraddice tutti i resoconti evangelici, secondo i quali il traditore era già chiamato con quel nome in vita. Chi lo ha tradito?Una nota infame è stata aggiunta ai primi tre elenchi e ad altri passaggi in nome dell'Apostolo infedele: il suo tradimento nero meritava certamente di essere così evidenziato, stigmatizzato nel corso dei secoli. "Chi" è, nel testo latino, un ellenismo che sarebbe più correttamente tradotto come "lo stesso che". La congiunzione, usata in questo modo, mira a sottolineare meglio tutta la portata della malizia di Giuda. – Ma perché troviamo questa figura odiosa nella cerchia più intima degli amici di Gesù? Questo è un problema interessante su cui gli esegeti si sono spesso interrogati. Ahimè. Giuda è tra gli Apostoli allo stesso modo in cui il serpente lo era nel Giardino dell'Eden, Caino nella prima famiglia umana, Cam nell'arca: il male sempre e ovunque accanto al bene. Egli fa ancora parte del collegio apostolico, fungendo da strumento per l'esecuzione dei decreti provvidenziali riguardanti il Messia. Affrettiamoci ad aggiungere che questo strumento agirà con la pienezza della sua libertà; anzi, che sarà costantemente colmato di grazie eccezionali, grazie alle quali potrà sottrarsi al suo ruolo ignominioso. Vedremo il divino Maestro compiere ripetuti sforzi per convertire Giuda; lo vedremo bussare alla porta di quel cuore indurito. Ma invano, il traditore abuserà di tutto: la colpa è sua. Ne consegue forse, come hanno osato affermare i razionalisti, che Gesù Cristo, la cui mente leggeva tutti i segreti del futuro, non avrebbe dovuto fornire a Giuda l'occasione del suo crimine escludendolo dal numero dei suoi Apostoli? Un simile pensiero sarebbe blasfemo. Dio era dunque obbligato a non creare gli angeli malvagi di cui prevedeva l'imminente ribellione e la dannazione eterna? È ingiusto perché non abbandona all'oblio coloro che sa destinati a perdersi per sempre? La vocazione di Giuda è quindi legata alla grande questione della predestinazione, che, nonostante i suoi misteri, proclama così pienamente la giustizia dei decreti divini. "Tu sei giusto, Signore, e il tuo giudizio è giusto". A questa breve panoramica, che ha presentato ciascuno dei Dodici individualmente, sarà utile aggiungere alcune osservazioni generali che ci permetteranno di apprezzarli meglio come corpo apostolico. Le condizioni che Gesù doveva soddisfare per i discepoli che desiderava formare apostoli erano sia negative che positive. Sul lato negativo, era bene che questi uomini fossero semplici, ignoranti e laici, perché altrimenti i pregiudizi del mondo, del fariseismo o del sacerdozio levitico avrebbero già corrotto le loro menti e i loro cuori in misura maggiore o minore. “Gesù non scelse i suoi Apostoli tra gli alti ranghi della gerarchia, né tra i rappresentanti della cultura religiosa del suo tempo; li prese tra la gente comune, rozza, ignorante, più abituata a lavorare con le mani che a esercitare l'intelletto; ma avevano anche conservato la rettitudine e la freschezza infantile delle anime semplici… Il loro essere morale non era stato deformato e depresso da una cultura artificiale; la loro coscienza non era soffocata sotto la pesante corazza della tradizione farisaica; queste anime candide potevano facilmente ricevere l'impronta dell'insegnamento e della personalità di Gesù. Volendo gettare le fondamenta del grande edificio destinato ad ospitare così tante generazioni, cercò, per così dire, nelle masse popolari, una tela bianca per modellarla a suo piacimento”, de Pressensé, Gesù Cristo: la sua vita, il suo tempo, ecc., p. 432 e segg. Ma non tutto negli Apostoli doveva essere negativo; dovevano anche presentare al loro Maestro qualità positive e genuine. Da questa prospettiva, dovevano appartenere alla stirpe d'Israele, essere permeati da una solida pietà, già profondamente affezionati al Salvatore e, infine, capaci di formazione intellettuale e spirituale. È superfluo sottolineare la necessità di queste quattro condizioni, che sono di per sé evidenti; è anche noto che agli Apostoli erano stati conferiti i doni più notevoli e che questi uomini erano mirabilmente adatti al ruolo a cui la Provvidenza li aveva destinati. I tratti sparsi del loro carattere individuale che possiamo cogliere qua e là nel Vangelo ci rivelano in loro nature molto diverse che si completano a vicenda e, attraverso la loro unione, formano un'unità davvero ammirevole. Rappresentanti dell'Israele mistico, futuri fondamenti di una Chiesa che apre le sue porte a tutti gli uomini, costituiscono già in sé un piccolo mondo completo. Tuttavia, non dobbiamo sbagliarci circa il loro stato morale al momento in cui furono scelti da Cristo. Erano ancora molto deboli, molto ignoranti, del tutto incapaci di elevarsi ai pensieri sublimi del loro divino maestro. Ma gli insegnamenti di Gesù sarebbero gradualmente penetrati nei loro cuori; sotto la sua dolce influenza, le loro idee terrene sarebbero scomparse, la grazia di lo Spirito Santo Poi li finirà di plasmare, temprandoli rigorosamente, e allora ci appariranno come oro puro, libero da tutte le sue impurità. – Vale la pena notare il ruolo che Gesù ha svolto nei legami di sangue e amicizia nella scelta dei suoi Apostoli. Sebbene il loro numero fosse così piccolo, troviamo tra loro tre coppie di fratelli: Pietro e Andrea, Giacomo il Maggiore e Giovanni, Giacomo il Minore e Taddeo, questi ultimi due appartenenti alla famiglia del Salvatore. Filippo e Betsemi (Natanaele), Andrea e Giovanni erano amici intimi. – Abbiamo anche visto che la maggior parte degli Apostoli portava due nomi: Simon Pietro, Giacomo e Giovanni "Boanerges"; Natanaele-Betalemi, Tommaso-Didimo; Levi-Matteo, Simone il Cananeo o lo Zelota, Giuda Iscariota; e Giuda ne aveva addirittura tre. – Molti di loro condividevano lo stesso nome: così, c'erano due Simone, due Giacomo e due Giuda tra le loro fila. – Per quanto riguarda la rappresentazione artistica degli Apostoli e i vari attributi che la storia o il simbolismo hanno aggiunto ai loro ritratti, rimandiamo al Dizionario di archeologia di Viollet-le-Duc, vol. 1, p. 25 e segg.
Mt10.5 Questi sono i Dodici che Gesù inviò, dopo aver dato loro queste istruzioni: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani, -Parall. Marco 6,8-11; Luca 9,3-5. Con queste parole, l'evangelista ci riporta al versetto 1 e alla ragione che spinse Gesù a radunare i dodici Apostoli in un'assemblea speciale o a conferire loro poteri soprannaturali molto estesi. "Mandati", avevano appena ricevuto il nome di Apostoli che andarono a esercitarne le funzioni. Il divino Maestro li invia alle pecore sfortunate di cui aveva parlato prima; li invia come operai zelanti nei campi pronti per la mietitura, 9,36-37. Non andare dai pagani. I limiti entro i quali i discepoli devono esercitare la loro giurisdizione durante la missione in corso sono inizialmente indicati in modo negativo: Gesù comincia dicendo loro dove non devono andare. Non andranno ancora ad evangelizzare i pagani; non è ancora giunto il momento. – Né andranno ad evangelizzare le città dei Samaritani…Il dialogo di Gesù con la Samaritana, in Giovanni 4,1 ss., ci offrirà l'opportunità di descrivere in dettaglio l'origine, i costumi e la religione di questo piccolo popolo. Basti dire per ora che i Samaritani presentavano una miscela unica di giudaismo e paganesimo, che li collocava a metà strada tra la nazione teocratica e i Gentili. Per questo motivo, in questo brano e in Atti 1,8, Gesù li presenta come una categoria intermedia, menzionandoli tra Israele e i Gentili. Gli ebrei nutrivano da tempo un odio mortale nei loro confronti, come i Vangeli dimostreranno ripetutamente. Fu per evitare di offendere i suoi compatrioti che il Salvatore proibì ai Dodici di andare subito a portare la Buona Novella ai Gentili e ai Samaritani: lui stesso, durante il suo ministero pubblico, avrebbe avuto solo contatti molto rari e riservati con gli abitanti della Samaria e il mondo dei Gentili (cfr. Giovanni 4; Matteo 8,5 ss.; 15,21 ss.). Finché gli ebrei avessero mantenuto la priorità nella predicazione del Vangelo, egli avrebbe evitato di perdere la loro fiducia con azioni imprudenti e affrettate. Solo dopo la sua Ascensione le barriere sarebbero state infrante e gli Apostoli avrebbero avuto la libertà di evangelizzare tutti i popoli senza distinzione. Si noti che Gesù non proibì ai suoi discepoli di attraversare il territorio samaritano, ma solo di entrare nelle città della Samaria. Essendo questa provincia situata tra la Galilea e la Giudea, era impossibile evitarla quando si voleva andare dal nord al sud della Palestina, e "viceversa", a meno che non si facesse una lunga deviazione passando per la Perea.
Mt10.6 Rivolgetevi invece alle pecore perdute della casa d'Israele. – La Palestina servirà per il momento come unico teatro della loro attività; non usciranno da questa sfera ristretta. Gesù, per dir loro questo, ripete l’immagine già usata alla fine del capitolo precedente, 9, 36: alla pecora smarrita. Inoltre, i profeti paragonavano spesso il popolo di Dio a un gregge di pecore (cfr Geremia 50,6; Ezechiele 34,3 ss.); inoltre, Isaia 53,6 descrive gli stessi ebrei mentre dichiarano di essere povere pecore smarrite: «Noi tutti eravamo sperduti come pecore, ognuno di noi ha deviato dalla sua via». La casa d'IsraeleGli ebrei sono chiamati la casa d'Israele, cfr. Levitico 10:6; Atti degli Apostoli 2, 36, in memoria del grande patriarca di cui formarono la famiglia e la discendenza: Mosè li chiama nello stesso senso "casa di Giacobbe" in Libro dell'Esodo, 19, 3. È dunque ai loro correligionari che gli Apostoli predicheranno per primi il Vangelo: «Era necessario che io vi comunicassi per primi la parola di Dio», dirà san Paolo agli Israeliti di Antiochia di Pisidia, Atti degli Apostoli 13, 46. La casa teocratica doveva costituire la base del popolo cristiano, il tronco originario su cui i pagani sarebbero stati, per così dire, divinamente innestati, Romani 1116. È dunque giusto iniziare l'edificio gettando le fondamenta destinate a sostenerlo. Tuttavia, i limiti che Cristo impone all'attività dei suoi discepoli dureranno solo per breve tempo; presto sarà lui stesso a rimuoverli, e lo sentiremo dare agli Apostoli questo nuovo comando che annullerà il primo: «Mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra». Atti degli Apostoli 1, 8.
Mt10.7 Ovunque andiate, proclamate che il regno dei cieli è vicino. – PubblicizzareQuesta sarà la loro funzione principale. Prima di ascendere al cielo, quando li manderà non solo agli ebrei ma in tutto il mondo, Gesù dirà loro di nuovo: «Predicate», Marco 16:15, ed essi predicheranno fedelmente, rinunciando, se necessario, ad altre funzioni meno importanti, per essere più liberi di compiere il loro ministero più essenziale. Atti degli Apostoli 6:2 e seguenti. Andando di città in città, diffonderanno ovunque la buona novella: il regno dei cieli è vicino…; diranno ai loro fratelli ebrei: Rallegratevi, ma convertitevi anche voi, Marco 6,12, perché ciò che desideravate è arrivato. Abbiamo qui, naturalmente (cfr. 3,2; 4,17), solo un breve riassunto della predicazione degli Apostoli; queste parole, tuttavia, bastano a mostrarci che la loro missione attuale era solo preparatoria. Non sono ancora incaricati di predicare il Vangelo nella sua interezza; come Giovanni Battista, come Gesù stesso nei suoi primi giorni, si limitano a suscitare l'attenzione degli ebrei, accontentandosi di aprire i cuori alla grazia e alla salvezza portate dal Messia.
Mt10.8 Guarire i malati, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demoni, gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. – Guarire…Questa sarà la seconda parte del loro ministero. È stato giustamente osservato che c'è qualcosa di vivido e urgente in questa enumerazione dei vari miracoli che gli Apostoli potranno compiere nel nome di Cristo. «Insegna loro a usare liberalmente e abbondantemente il potere di compiere miracoli che era stato loro conferito da Paolo… è come se dicesse: non risparmiatevi miracoli"Fateli ogni volta che li ritenete necessari o utili alla persuasione", Maldonat. Tutti questi miracoli avevano infatti lo scopo di confermare il loro insegnamento, proprio come avrebbero confermato quello di Gesù: erano le loro credenziali. Altrimenti, chi avrebbe creduto alla predicazione di questi uomini sconosciuti? – Le parole resuscitare i morti sono stati omessi da molti manoscritti e versioni antiche; tuttavia, poiché a loro favore si possono citare autorevoli fonti, come l'Itala, la Vulgata, le traduzioni copta ed etiopica, diversi Padri della Chiesa, ecc., non esitiamo ad ammetterne l'autenticità. Forse la loro collocazione originaria era dopo "scacciare i demoni", o almeno dopo "purificare i lebbrosi": antichi manoscritti attribuiscono loro queste diverse posizioni. L'hai ricevuto gratuitamente Il complemento implicito è facile da sostituire. Avete ricevuto il potere di compiere liberamente tutte queste meraviglie; usatelo liberamente, facendo attenzione a non trattare le cose celesti come merce vile. Questa era una raccomandazione molto importante, perché c'era un Giuda nel gruppo apostolico, e inoltre, gli abusi sono così rapidi e facili a questo riguardo, e quando si verificano, portano un grande discredito sui ministri e sulle questioni religiose. Fin dall'inizio, Gesù era determinato ad allontanare i suoi Apostoli e i loro successori da quella che presto sarebbe stata chiamata l'infame nome di Simonia. Dona gratuitamente Poiché il dono di Dio fu dato gratuitamente, anche il dono degli Apostoli doveva esserlo. Come disse Tertulliano, "Nessun dono di Dio dovrebbe essere merce di scambio". Alcuni esegeti collegano questo comando del Salvatore alla predicazione apostolica menzionata nel versetto 7; di conseguenza, interpretano il verbo "avete ricevuto" come "avete imparato" e "date" come "insegnate". Ma il significato ovvio delle parole condanna tale interpretazione. Inoltre, l'espressione "avete ricevuto gratuitamente..." avrebbe trovato la sua collocazione naturale alla fine del versetto precedente se, invece di riferirsi direttamente al potere di compiere miracoli, avesse riguardato specificamente l'insegnamento e la dottrina.
Mt10.9 Non portare oro, argento o altre valute nelle cinture., 10 né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché l'operaio ha diritto al suo nutrimento. I preparativi degli Apostoli per la loro prima missione non richiederanno né molto tempo né spese considerevoli. Le osservazioni del loro Maestro su questo punto equivalgono a dire: Va' come sei; non hai bisogno di altro, perché la Provvidenza si prenderà cura di te. I commentatori di solito pongono qui due domande: 1) Le ingiunzioni contenute nei versetti 9 e 10 erano temporanee per gli Apostoli o dovevano servire come regola perpetua? In altre parole, si applicavano solo alla missione attuale affidata agli ebrei in terra ebraica o erano valide per tutte le missioni successive? 2) Dobbiamo prenderle alla lettera? Poiché le diverse parti del discorso non sono state chiaramente separate in precedenza, a queste due domande si è spesso risposto in modo oscuro, incompleto o addirittura contraddittorio. Al contrario, ci sembra facile, grazie alle divisioni che abbiamo indicato, fornire soluzioni chiare e soddisfacenti. Crediamo quindi, in primo luogo, che le prescrizioni contenute nei versetti 9 e 10 fossero essenzialmente transitorie, proprio come quelle dei versetti 5 e 6. Poiché riguardano solo la missione temporanea degli Apostoli nella loro patria, erano facili da attuare. All'estero, in terre pagane, sarebbe stato moralmente impossibile adempierle. Per lo stesso motivo, crediamo, in secondo luogo, che debbano essere intese in senso stretto e letterale, senza tuttavia volerne sopravvalutare il significato. Nostro Signore Gesù Cristo intendeva veramente che i suoi Apostoli, durante questo breve noviziato da lui imposto, viaggiassero senza provviste di alcun genere, contando sulospitalità che è sempre stato così ampiamente concesso in Oriente, soprattutto ai fratelli credenti. Egli stesso confermerà la nostra duplice risposta quando, poco prima della sua Passione, dice ai Dodici, alludendo sia alla loro prima missione sia a quelle che li avrebbero presto dispersi per il mondo: «Quando vi ho mandato senza borsa, né sacca, né sandali, vi è forse mancato qualcosa? … Ebbene, ORA, "Chi ha una borsa la prenda; e così pure una bisaccia". Luca 22:35-36. Se qualcosa è rimasto di queste ordinanze, è solo lo spirito di distacco e altruismo che esse raccomandano ai missionari di tutte le età. Passiamo ora ai dettagli. Non prendere. Si tratta piuttosto di non cercare di acquisire cose che non si hanno, piuttosto che di sbarazzarsi di quelle che si potrebbero già possedere. Grozio segna con molta delicatezza il passaggio dal versetto 8 al versetto 9: "Quando Gesù proibì di ricevere doni per guarigioni, sapeva bene che i suoi apostoli avrebbero pensato: non dobbiamo intraprendere questo viaggio senza essere pienamente informati sul prezzo di ogni cosa". Se gli Apostoli sono portatori di grandi ricchezze spirituali, versetti 7 e 8, devono dimostrare povertà La preparazione materiale più completa. – Prima di intraprendere un viaggio, le persone comunemente prendono tre tipi di disposizioni per renderlo il più confortevole possibile: si equipaggiano di denaro, cibo e vestiti. Gesù ha detto una parola su queste tre disposizioni. Niente soldi…Questa espressione è un po' vaga; il sostantivo "rame" sarebbe più appropriato, poiché traduce letteralmente il greco. Abbiamo quindi i tre metalli che sono stati utilizzati da tutti i popoli civili per la fabbricazione della moneta comune: oro, argento e rame. Questi tre metalli, disposti in ordine decrescente di valore, formano un ordine crescente in termini di idea: Non procuratevi oro, nemmeno argento, nemmeno una modesta moneta di rame, per coprire le spese dei vostri viaggi apostolici. Nelle tue cinture. L'antica "cintura", il cui scopo principale era quello di stringere intorno alla vita gli abiti larghi allora così di moda, fungeva anche da borsa per trasportare denaro. "Quando partii per Roma, indossai cinture piene d'argento e le riportai vuote", A. Gellio, Nott. Att. 15, 12, 4; "Si cinse con una cintura piena di monete d'oro", Svetonio, Vitellio, C. 16. Queste ampie cinture, che i popoli d'Oriente non hanno abbandonato, erano fatte di cuoio, lino o cotone. Nessuna borsa per la strada. Si trattava quindi di una borsa da viaggio in cui si mettevano le provviste alimentari. Nessuna delle due tuniche La tunica greca, latina o ebraica era un tipo di abito che costituiva l'indumento principale. Sopra di essa si indossava la toga o mantello (cfr. Matteo 5:40). Gesù non vuole che i suoi Apostoli portino con sé una tunica di riserva per la loro missione in corso; dovranno accontentarsi di quella che indosseranno al momento della partenza. Né sandali né sandali. Alcuni autori suppongono che il Salvatore abbia proibito ai primi missionari l'uso di qualsiasi tipo di calzatura; si tratta di un'esagerazione, come dimostra il testo di San Marco 6:9: "mettetevi i sandali". Il significato, quindi, è che gli Apostoli devono accontentarsi di un solo paio di sandali, oltre che di una sola tunica. Nessuno dei due si attacca. L'implicazione è: "nessun bastone di riserva", proprio come Gesù chiede solo una tunica e un paio di sandali, quelli che già indossano. Secondo San Marco, Gesù Cristo "ordinò loro di non prendere nulla per il viaggio, tranne un bastone". Da un lato, nessun bastone; dall'altro, solo un bastone. In alcuni manoscritti greci, leggiamo "nessun bastone" al plurale, il che conferma l'idea che Gesù proibisca solo un bastone di riserva. Secondo San Marco, Gesù permette l'uso di un solo bastone, ma secondo San Matteo, proibisce ai suoi discepoli di portarne diversi. Possiamo anche notare che in San Matteo, Nostro Signore proibisce agli Apostoli di procurarsi un bastone per il viaggio se non ne hanno già uno: non tollera quindi nulla di superfluo nelle loro mani; vuole che siano veramente spogli di tutto e che confidino unicamente in Dio. Secondo San Marco, è la stessa idea con una leggera sfumatura nell'espressione: Gesù permette ai suoi missionari di usare un bastone che già possedevano. Potevano avere un bastone, ma non dovevano preoccuparsi se lo avessero perso o rotto. «Proclamando il regno dei cieli, dovevano camminare con facilità, con passo veloce, come angeli discesi dal cielo, liberi da ogni preoccupazione terrena, con gli occhi costantemente fissi sul ministero loro affidato», Eutimo Zigab. in h. 1. Questa è l'idea che il Salvatore cerca di incidere profondamente nella mente degli Apostoli, per mezzo di questi esempi concreti che ha così prontamente utilizzato e che danno tanta vita e forza ai suoi insegnamenti. Perché il lavoratore è degno…Se Gesù impone tali ordini ai missionari che invia, essi devono sicuramente poter contare su un sostegno affidabile. Infatti, un detto proverbiale ricorda loro che non devono preoccuparsi minimamente del loro sostentamento. Coloro ai quali annunceranno il Vangelo forniranno loro in cambio i mezzi per vivere onestamente; Dio, di cui sono operai, li tratterà come un padre tratta coloro che lavorano per lui. Riceveranno quindi, secondo il pensiero di San Giovanni Crisostomo, «il loro cibo verrà dal popolo e la loro ricompensa da Dio». Vedremo San Paolo applicare questo principio, il cui valore è universalmente riconosciuto nell'ambito delle questioni temporali, allo stesso modo agli operai del Vangelo. Romani 1525; 1 Corinzi 9:2. Gesù non stava ingannando i suoi discepoli facendo loro una simile promessa: verso la fine della sua vita, tornando alla prima missione che avevano affidato ai loro compatrioti, avrebbe ricordato loro che allora non era mancato loro nulla, ed essi stessi avrebbero facilmente riconosciuto la verità delle sue parole, Luca 22:25 e seguenti.
Mt10.11 In qualunque città o villaggio entriate, domandate se vi è qualcuno degno e rimanete con lui finché non ve ne andrete. – Qui troviamo una serie di nuovi dettagli destinati a guidare la condotta pratica degli Apostoli durante questa prima missione. Erano novizi che avevano bisogno di imparare tutto: Gesù diede loro con gentilezza tutte le istruzioni di cui potevano aver bisogno. Parlò loro innanzitutto della scelta del luogo in cui alloggiare nelle città e nei villaggi in cui avrebbero dovuto fermarsi. Non dovevano andare a chiedere informazioniospitalità alla prima persona che capita: solo dopo aver ricevuto informazioni serie prenderà una decisione su questo punto importante: Dema«Entrando in una città», affermava giustamente San Girolamo, «gli apostoli non potevano sapere chi fosse chi. Dovevano quindi scegliere un ospite basandosi sulla fama pubblica e sul giudizio dei vicini, affinché la dignità della predicazione non fosse compromessa dall'infamia dell'ospite». Chi ne è degno?. Gesù non ha detto: il più ricco, il più potente, ma: il più degno. I suggerimenti della natura non possono essere ascoltati quando si tratta dell'instaurazione del regno messianico. Il più degno, in che senso? Secondo il contesto, colui che, per la somma delle sue qualità e virtù, merita più di tutti gli altri che tu stabilisca la tua residenza presso di lui; il più degno di te e del Vangelo. Senza questa scelta prudente, come indicava in precedenza San Girolamo, gli Apostoli avrebbero corso il rischio di compromettere la loro reputazione e la dignità della parola divina. Lo stesso santo Dottore osserva che coloro che ebbero l'onore di ospitare i discepoli di Gesù sotto il loro tetto, in realtà ricevettero molto più di quanto diedero. Resta a casa sua…evitando la pratica di rimanere in una casa un giorno e in un'altra il giorno dopo, come gli zeloti ebrei, il che sarebbe segno di frivolezza o di pudore sconveniente per una missione apostolica; ciò causerebbe senza dubbio scandalo e danno al loro ministero. Pertanto, non si dovrebbe avere fretta nell'entrare in una dimora né nell'uscirne. Anche durante le loro missioni più importanti, gli Apostoli, e San Paolo in particolare, obbedirono fedelmente a questa istruzione del loro Maestro.
Mt10.12 Quando entrate in casa, salutatela. Gesù ora dice ai nuovi missionari cosa dovranno fare quando prenderanno possesso della casa in cui hanno scelto di stabilirsi. Salutala Secondo la versione siriaca: "pregate per la sua pace". È noto che il saluto comune dei popoli orientali è sempre consistito nelle parole: "La pace sia con voi". Ma ciò che era solo una formula di cortesia più o meno vuota sulle labbra altrui divenne, sulla bocca degli Apostoli, l'espressione della verità più perfetta. Per loro, salutare era benedire; augurare pace, dobbiamo ascoltare i favori più preziosi dal cielo, in particolare la salvezza messianica, la fede nel Vangelo.
Mt10.13 E se questa casa ne è degna, la vostra pace scenda su di essa; ma se non ne è degna, la vostra pace ritorni a voi. Il desiderio di pace espresso dagli Apostoli di Cristo entrando in una casa cadrà o sulle anime che ne sono degne, o su quelle indegne. – Nel primo caso, sarà pienamente e immediatamente adempiuto: La tua pace verrà… Il greco è più espressivo: “venga la tua pace”: Gesù, in un certo senso, comanda in previsione di pace affrettarsi. – Ma se gli abitanti della casa (perché “casa” è ovviamente sinonimo di “famiglia”) sono indegni dei favori che gli Apostoli concedono loro, allora la tua pace tornerà a te. Pace Il voto personificato dovrebbe tornare a chi lo ha pronunciato. Diversi esegeti hanno interpretato l'espressione "ritornerà" alla lettera, come se significasse che gli Apostoli stessi avrebbero beneficiato di grazie che i loro indegni ospiti non avevano ricevuto: "il suo effetto verrà su di voi" (San Tommaso d'Aquino, cfr. Cornelio a Lapiano, Bengel, Reischl, Arnodo, ecc.). Ma è più in linea con il linguaggio biblico e con il sentimento comune degli esegeti considerarlo un equivalente ebraico della frase "rimarrà senza effetto". "Si dice che il voto ritorna a chi lo ha pronunciato se non ha l'effetto atteso", afferma Rosenmüller, in hl. "Con questa frase, Cristo non si riferisce a cose che sarebbero accadute tramite gli apostoli a chi aveva chiesto loro qualcosa, ma a quelle cose che non sarebbero accadute". "Così parlano gli ebrei", Maldonat.
Mt10.14 Se poi rifiutano di ricevervi e di ascoltare le vostre parole, uscite da quella casa o da quella città, scuotendo la polvere dai vostri piedi. Il Salvatore non mancò di indicare ai primi missionari come avrebbero dovuto comportarsi nei confronti degli individui induriti che avrebbero potuto rifiutarsi di accoglierli, e se qualcuno non ti riceve…o che rimarrebbero impassibili alla loro predicazione, non ascoltare. Lasciando immediatamente la casa o la città dei non credenti, manifesteranno, con un segno simbolico più espressivo delle semplici parole, l'ira del Signore di cui sono i rappresentanti. Scuoti la polvere dai tuoi piediGli ebrei insegnavano comunemente, al tempo di Nostro Signore, che non si poteva toccare il suolo delle terre pagane senza profanare se stessi; così, a volte accadeva che anche i più zelanti tra loro, quando stavano per attraversare il confine della Terra Santa, tornando dalla Fenicia per esempio, o dalla Siriadi fermarsi un attimo, togliersi i sandali e batterli l'uno contro l'altro per non contaminare il territorio sacro della loro patria con la polvere che vi si era attaccata. Compiendo lo stesso gesto nelle circostanze indicate da Gesù, gli Apostoli mostrarono alle persone indegne a cui si erano inavvertitamente rivolti che non volevano nulla in comune con loro, nemmeno i pochi granelli di polvere rimasti attaccati alle loro scarpe. Questa polvere avrebbe testimoniato anche contro i colpevoli nel giorno del giudizio, come espressamente affermato negli altri due Vangeli, Marco 6,11; Luca 9,5. "Per il segno della polvere dei loro piedi è stata lasciata loro una maledizione eterna". San Paolo e San Barnaba, respinti dagli ebrei di Antiochia di Pisidia, avrebbero seguito alla lettera questo consiglio: "Gli ebrei... li espulsero dal loro territorio". Ma, dopo aver calciato contro di loro la polvere dei loro piedi, gli apostoli si recarono a Iconio. Atti degli Apostoli 13, 50, 51 cfr. 18, 6.
Mt10.15 In verità vi dico: nel giorno del giudizio la terra di Sodoma e Gomorra avrà una sorte più sopportabile di questa città. – Nella sua qualità di Giudice sovrano, Gesù predice in termini gravi e solenni la terribile sorte che riserva agli Israeliti che osano ribellarsi alla predicazione del Vangelo. Sodoma e Gomorra. Le città di Sodoma e Gomorra sono menzionate ripetutamente nella Bibbia e nel Talmud come simboli di grandi iniquità e grandi punizioni divine. Eppure Gesù Cristo non esita ad affermare che il destino eterno dei loro abitanti sarà meno duro., ci sarà meno rigore, di quella di coloro che rifiutarono di ricevere gli Apostoli e il loro insegnamento. Nulla è più giusto di questa condanna; non è forse il più nero di tutti i crimini rifiutare il Vangelo, soprattutto quando è supportato da motivi di credibilità che rendono l'errore del tutto impossibile, ad esempio miracoli compiuto dagli Apostoli? Cfr. v. 8. Questo crimine non l'avevano commesso né Sodoma né Gomorra, Cfr. 9, 23, 24. Nel giorno del giudizio Nel giorno del giudizio finale e generale che porrà fine al mondo presente, San Girolamo deduce giustamente da questo brano che all'inferno ci saranno tormenti più o meno gravi per i dannati, a seconda della loro colpevolezza quaggiù. Non si può fare a meno di ammirare, in questa prima parte del discorso, il tono di sicurezza con cui Gesù parla agli Apostoli, i sentimenti di fiducia che cerca di infondere nei loro cuori. Pur essendo novizi nel ministero che affida loro, devono presentarsi ovunque senza timore (v. 11); parleranno con autorità in virtù del potere che ha dato loro (v. 12); agiranno come capi supremi che hanno il diritto di premiare o punire (v. 14).
Mt10.16 Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi. Siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe. – Te lo mando....In questo luogo ha inizio una nuova missione, la grande missione inaugurata subito dopo la Pentecoste e durata quanto la vita degli Apostoli stessi. I predicatori del Vangelo non operano solo in territorio ebraico; li troviamo nel cuore delle terre pagane. Invece dei piccoli inconvenienti che erano stati loro predetti in precedenza, li vediamo esposti alle persecuzioni più violente. Il loro modo di agire è significativamente alterato. Pertanto, gli esegeti hanno ragione ad ammettere che ci troviamo di fronte a una nuova era. Come pecore tra i lupiNon si potrebbe scegliere un'immagine più suggestiva per illustrare i molteplici pericoli dell'apostolato. Quale situazione potrebbe essere più pericolosa di quella di pecore indifese in mezzo a lupi divoratori? È il simbolo perfetto dell'innocenza e della dolcezza abbandonati alla rabbia brutale e onnipotente. I messaggeri di pace Scamperanno dunque alla violenza dei loro crudeli nemici solo per miracolo (cfr. Qo 13,21). Ma, come osserva delicatamente san Giovanni Crisostomo, «finché eravamo agnelli, abbiamo vinto, anche circondati da mille lupi. Se fossimo stati lupi, saremmo stati vinti. Perché allora sarebbe mancato l'aiuto del pastore». Questa predizione del Salvatore dovette sorprendere e rattristare gli Apostoli. Tuttavia, rivelandola loro con così largo anticipo, Gesù aveva uno scopo del tutto legittimo: temeva, secondo lo stesso santo Dottore, «che coloro che avrebbero dovuto soffrire queste cose, se fossero accadute inaspettatamente e senza preavviso, potessero demoralizzarsi». Così li familiarizzò gradualmente con l'idea della persecuzione; inoltre, li rassicurò contro i pericoli futuri fornendo loro una via di fuga. Quindi sii…Per evitare di cadere preda dei lupi, le pecore devono trasformarsi sia in colombe che in serpenti. Che deliziosa pagina del simbolismo della natura riceviamo qui dal Creatore stesso! Questa conclusione si compone di due parti: siate prudenti, siate semplici. Prudenti come serpenti. Tra gli antichi, il serpente era ritenuto il più prudente e astuto degli animali; lo vediamo apparire in questa veste nella Bibbia fin dall'inizio della storia del mondo, in Genesi 3:1. Nessuno riesce a superare mille volte le trappole dei propri avversari. I missionari, quindi, lo prendano come loro emblema. Collocati in mezzo a un mondo pieno di malvagità, devono esercitare la massima prudenza; altrimenti, esporrebbero inutilmente se stessi e, di conseguenza, la predicazione del Vangelo a una rovina certa. Semplici come le colombe : in greco, candido, puro, innocente. L'antichità profana e sacra ha sempre considerato la colomba come il tipo di candore e semplicità; da qui questo paragone con il Salvatore. "Meravigliosa combinazione", esclama il signor Brown, The Portable Commentary, nell'XI secolo. "Di per sé, la saggezza del serpente non è altro che astuzia e malizia, e l'innocenza della colomba è poco più che debolezza; ma quando queste due qualità sono unite, la saggezza del serpente impedisce di esporsi inutilmente al pericolo, l'innocenza della colomba di impiegare espedienti colpevoli per evitarlo". Gesù associa prudenza e semplicità perché insieme formano un'unica virtù. "Lascia che l'astuzia del serpente accresca la semplicità della colomba, e lascia che la semplicità della colomba diriga l'astuzia del serpente", San Gregorio Magno 1. 4, 34; Oppure, come dice un antico autore: "Che ci sia un occhio di serpente nel cuore della colomba". Del resto, questo proverbio non era sconosciuto agli ebrei. Infatti, leggiamo in Shir ha-Shirim Rabbah, foglio 15, 3: "Dio disse degli Israeliti: 'Verso di me sono fedeli come colombe, ma verso i Gentili sono astuti come serpenti'".
Mt10.17 Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai loro tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe.Gesù ritorna sulle due parti di questo serio consiglio per mostrare agli Apostoli come devono metterlo in pratica. Stai in guardia dagli uomini. Questa volta la fonte del pericolo è espressa chiaramente, senza immagini: gli uomini sono i lupi la cui furia si scatenerà contro i missionari apostolici; è contro di loro, quindi, che bisogna stare in guardia. Il Salvatore, nella descrizione delle loro azioni indegne, divide gli ostili al Vangelo in due categorie: gli Apostoli dovranno soffrire successivamente per mano degli Ebrei e dei Gentili. – 1. Ebrei. Perché ti consegneranno…Le parole “tribunali” (o meglio “Sinedri”, dal greco) e “sinagoghe” dimostrano che la seconda metà del versetto 17 si riferisce specificamente agli ebrei. Coloro ai quali il Vangelo era principalmente rivolto, non contenti del fatto che la maggior parte di loro si rifiutasse di crederci, tratteranno come criminali pubblici coloro che verranno ad annunciarlo loro. Li trascineranno davanti ai loro tribunali, o alla sbarra del grande Sinedrio che si riuniva a Gerusalemme, o a quella dei tribunali di secondo ordine, che a volte venivano anche chiamati Sinedri (cfr. 5:22 e il commento); oppure, dopo un giudizio sommario, li sottoporranno alla punizione della fustigazione nelle loro sinagoghe. È chiaro da vari passi del Nuovo Testamento che i dirigenti delle sinagoghe ebraiche esercitavano il potere giudiziario in determinate circostanze (cfr. Luca 12:11; 21:12; Marco 13:9). Atti degli Apostoli 22, 19; 26, 11; 2 Corinzi 11, 24, e formò così un tribunale inferiore che avrebbe dovuto occuparsi principalmente di reati religiosi: ma la natura di questo tribunale, così come i limiti rigorosi della sua giurisdizione, sono completamente sconosciuti.
Mt10.18 E sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per rendere testimonianza di me davanti a loro e davanti ai pagani. – 2° I discepoli non soffriranno meno da parte dei pagani che da parte dei Giudei: Davanti ai governatori e davanti ai reLa persecuzione si intensificò: dopo i tribunali comuni degli ebrei, dopo le fustigazioni nelle sinagoghe, arrivarono le sentenze solenni e terrificanti, emesse dalle figure di più alto rango dell'impero. Il titolo di "governatori" si riferiva generalmente a tutti gli alti funzionari romani che governavano le province in nome dell'imperatore, ad esempio i proconsoli, come Felice e Festo, Cfr. Atti degli Apostoli 24, 1, 27, i propretori, i procuratori come Pilato. "Re" dovrebbe essere preso alla lettera. "In questo oracolo riposa la sua fede, che Pietro testimoniò davanti a Nerone, Giovanni davanti a Domizio e altri davanti ai re di Partia, Scizia e India", Rosenmüller. – A a causa mia ; Non è per i peccati personali che gli Apostoli saranno perseguitati e maltrattati, ma a causa di Gesù Cristo, perché crederanno in lui e predicheranno la sua dottrina. Per servire da testimonianza a loro e alle nazioniQueste parole esprimono lo scopo che Dio ha in mente quando permette che i missionari siano ignominiosamente trascinati da un tribunale all'altro, e allo stesso tempo l'esito consolante della persecuzione. Diventando martiri, gli Apostoli saranno testimoni: i maltrattamenti che subiranno serviranno alla causa della verità, diffondendone ovunque la luce. cristianesimo e dirigendo tutti gli occhi su di lei. È in questo senso che renderanno testimonianza a Gesù, sia davanti agli ebrei che ai gentili. Fritzsche si sbaglia certamente quando suppone che la persecuzione attesterà semplicemente il coraggio degli Apostoli. "Una testimonianza della libertà e dello spirito intrepido degli apostoli".
Mt10.19 Quando vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di che cosa dovrete dire: vi sarà dato in quell'ora stessa ciò che dovrete dire. – Dopo aver commentato la prima parte della sua raccomandazione nel versetto 16, Gesù Cristo interpreta allo stesso modo la seconda parte, mostrando come la prudenza del serpente debba essere unita alla semplicità della colomba. Quando consegnano ; quando saranno consegnati o ai Giudei o ai Gentili, come è stato detto nei due versetti precedenti. Non preoccuparti…Il prigioniero, nella solitudine della sua cella, pensa spontaneamente e spontaneamente ai mezzi retorici che impiegherà per difendere la sua causa quando dovrà comparire davanti ai giudici. Quali argomenti presenterà? In quale forma li presenterà? Il modo in cui parlerai, Queste sono in effetti le sue due principali preoccupazioni. Gli uomini comuni, convocati al cospetto dei grandi e dei potenti di questo mondo, devono essersi sentiti più turbati di chiunque altro da questo tipo di pensiero (in greco: riflessione ansiosa, piena di preoccupazioni). Gesù mette in guardia i suoi Apostoli da queste preoccupazioni terrene. Tuttavia, come osserva Maldonat, "Egli non ci insegna la negligenza, ma ci proibisce di essere preoccupati e ansiosi". Ciò che dovrai dire ti sarà dato.. La ragione della profonda calma e della perfetta semplicità che devono mantenere durante queste ore difficili è questa: la loro causa è quella di Cristo, e la causa di Cristo è quella di Dio; perciò, Dio stesso agirà come loro avvocato e suggerirà loro argomenti più eloquenti ed efficaci di qualsiasi cosa avrebbero potuto elaborare in questo momento di angoscia. Nulla è più prezioso della semplice e potente parola di fede, ispirata dallo Spirito dall'alto.
Mt10.20 Perché non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi.– Non sei tu... ma ; Abbiamo già incontrato questa espressione orientale, il cui significato non deve essere affrettato (cfr 9,13). Non è così assoluta come sembra e, nella maggior parte dei casi, indica solo la subordinazione di una cosa all'altra. Qui equivale a "non solo... ma anche". Lo Spirito Santo sarà quindi l'agente principale; gli Apostoli serviranno come suoi strumenti, ma il loro ruolo non sarà puramente passivo (cfr Lc 12,12). I discorsi di santo Stefano e di san Paolo, conservati nel Libro degli Atti, potrebbero servire come commento vivo a questa promessa del divino Maestro (cfr Lc 21,15).
Mt10.21 Il fratello tradirà il fratello e lo farà morire, e il padre il figlio; e i figli si alzeranno contro i genitori e li faranno morire. – Continuando a rivelare ai suoi discepoli il futuro che li attendeva, Gesù entrò in dettagli ancora più terribili. Il fratello tradirà il fratello…Egli mostra, all'interno della stessa famiglia, il fratello consumato da un odio mortale per il fratello, il padre che denuncia il proprio figlio ai tribunali e ne chiede ardentemente la condanna a morte, i figli armati contro i genitori che li massacrano senza pietà. E perché questi atti contro natura? Il Salvatore non lo dice esplicitamente, ma la risposta è facile da intuire. È il Vangelo che, penetrando ovunque, ha portato la spada anche nel santuario della famiglia: lì, infatti, ha incontrato anime di diverso genere; alcune, docili alla grazia, si sono convertite immediatamente, altre sono rimaste incredule, e sono queste ultime che, piene di rabbia fanatica, non hanno esitato a spezzare i legami più teneri e sacri per annientare la nuova religione. Perché, come dice San Girolamo, "Tra coloro la cui fede è diversa, non c'è senso di fedeltà". I tre pronomi nominativi "fratello, padre, figlio" rappresentano, a seconda del contesto, i membri della famiglia che hanno persistito nell'errore, mentre i pronomi accusativi "fratello, figlio, genitori" designano coloro che sono diventati cristiani. La storia della Chiesa nei primi secoli conferma pienamente questa profezia. "Il marito geloso scaccia la moglie, diventata modesta diventando cristiana; il padre ripudia il figlio che ha imparato l'obbedienza filiale alla scuola di Cristo; il padrone cessa di essere umano verso il servo che la fede ha reso perfetto. Tutte le virtù diventano odiose non appena vengono unite al titolo di cristiano." Tertulliano.
Mt10.22 Sarete tutti odiati a causa del mio nome, Ma chi persevera fino alla fine sarà salvato.–Sarai odiato da tutti di tutti coloro che rifiuteranno il cristianesimoE questa era la maggioranza degli uomini. A causa del mio nome ; Queste parole, come "a causa mia" nel versetto 18, indicano il motivo dell'odio mortale a cui gli Apostoli saranno soggetti ovunque: saranno odiati perché saranno amici e ambasciatori di Gesù Cristo. Citiamo anche una bella e vigorosa massima di Tertulliano, Apol. 2: "Siamo torturati quando proclamiamo la nostra fede, puniti con la morte se perseveriamo, immediatamente assolti quando apostatiamo, perché è per il nome che si combatte". Chi persevera…In mezzo a una tale ondata di odio e persecuzione, la debolezza umana potrebbe indurre i predicatori evangelici ad abbandonare un peso insopportabile. Dovrebbero guardarsi da questo; tutto sarebbe allora perduto per loro, poiché la salvezza è indissolubilmente legata alla perseveranza perpetua nella fede. Fino alla fine, Vale a dire, secondo alcuni, "fino alla fine della sua vita"; secondo altri, "fino alla fine di queste calamità", o fino alla fine del mondo. Poco importa, perché è essenzialmente lo stesso pensiero. Che riguardi il singolo individuo o il tutto, le parole di San Girolamo rimangono sempre vere: "La virtù non consiste nell'iniziare, ma nel finire". – Sarà salvato, per sempre in cielo, perché questa è la vera salvezza messianica.
Mt10.23 Quando vi perseguiteranno in una città, fuggite in un'altra. In verità vi dico: non avrete finito di percorrere tutte le città d'Israele, prima che venga il Figlio dell'uomo. – È la semplicità della colomba che aiuterà gli Apostoli a perseverare fino alla fine; la prudenza del serpente fornirà loro un mezzo eccellente per sfuggire ai nemici, senza danneggiare la causa loro affidata. Quando ti perseguitano…Le loro vite sono preziose; non devono sprecarle imprudentemente; devono vivere nell'interesse del Vangelo. Pertanto, quando la persecuzione infuria contro di loro in una città, si trasferiranno immediatamente in un'altra. In questo modo, non solo il loro ministero continuerà ininterrotto, ma la diffusione del Vangelo diventerà più completa e rapida. È noto che gli Apostoli e i primi cristiani seguirono alla lettera questa raccomandazione, una raccomandazione confermata, peraltro, dall'esempio stesso di Nostro Signore: solo il rigorismo montanista proibiva la fuga in tempo di persecuzione, rifiutando di riconoscere qualsiasi eccezione. Vedi Tertulliano, Sulla fuga durante la persecuzione; cfr., in senso opposto, Sant'Atanasio, Apologia della nostra fuga; Sant'Agostino, Lettera 218 a Onorato. In verità vi dico ; Questa solenne affermazione ricorre qui per la seconda volta, introducendo, come nei versetti 15 e 42, un pensiero relativo alla retribuzione finale e ai giudizi divini. Non avrai finito…Questo verbo significherebbe, secondo Sant’Ilario e Maldonato, «portare alla perfezione della fede e della virtù evangelica”. Secondo San Giovanni Crisostomo e la maggior parte degli esegeti, “viaggiare predicando». Gesù vuole quindi dire ai suoi Apostoli che tra il tempo della prima Pentecoste cristiana, attorno alla quale avrà inizio la loro missione universale, e la sua venuta personale, prima che venga il Figlio dell'uomoNon troveranno abbastanza tempo per predicare il Vangelo a tutte le città della Palestina. È impossibile comprendere appieno il pensiero del Salvatore senza prima determinare con precisione la venuta a cui si riferiva. Purtroppo, i commentatori sono molto divisi su questo punto. Molti suppongono che Gesù alludesse semplicemente al ritorno dei discepoli alla sua persona divina, una volta completata la loro missione preliminare, o al loro ingresso in cielo dopo la morte (J.P. Lange); altri chiamano qualsiasi aiuto inviato dal Salvatore ai suoi Apostoli perseguitati la "venuta del Figlio dell'Uomo" (Origene, San Giovanni Crisostomo, Teofilatto, ecc.). Ma l'espressione solenne usata dal divino Maestro deve designare una venuta più reale e gloriosa di quelle appena menzionate. Potrebbe essere quella di la ResurrezioneSi tratta della Pentecoste (Grozio)? Del Giudizio Universale? Della distruzione di Gerusalemme? È quest'ultima opinione che, a nostro avviso, ha giustamente trovato il maggior numero di seguaci. È la più letterale e si adatta meglio delle altre alle divisioni del discorso, alla catena di pensiero e alla realtà storica dei fatti. Gesù annuncia così ai primi missionari che, prima che abbiano terminato di evangelizzare la Terra Santa, verrà a punire terribilmente Gerusalemme per il suo rifiuto di riconoscere Gesù Cristo. È molto in linea con il linguaggio biblico definire la venuta di Cristo una manifestazione speciale della sua sovrana giustizia, e non ce n'è una più sorprendente, dopo la morte del Salvatore, di quella che aveva come oggetto la distruzione di Gerusalemme e l'instaurazione del cristianesimo sulle rovine dell'ebraismo. Tuttavia, concordiamo volentieri con diversi autori (Brown, Stier, Alford, Bisping, Dehaut, ecc.) sul fatto che questa interpretazione non comprenda appieno il pensiero di Nostro Signore. Ci troviamo di fronte a una di quelle profezie multistrato che si adempiono a intervalli distinti e in modi diversi. La rovina di Gerusalemme può essere considerata il primo atto dei giudizi divini e un tipo dell'atto finale che avrà luogo alla fine dei tempi. Ciò risulta molto chiaro dal capitolo 24 di San Matteo, in cui Gesù Cristo confonde deliberatamente, come se fossero la stessa cosa, la catastrofe dello Stato ebraico e la catastrofe degli ultimi giorni del mondo. Questa giustapposizione ci conduce a un nuovo significato, non meno vero, sebbene meno diretto del primo. “Il Salvatore rivolse queste parole agli Apostoli in quanto rappresentanti di tutti i futuri predicatori della Chiesa; le rivolse quindi a tutto l'apostolato della Chiesa cattolica. La venuta del Figlio dell'uomo rappresenta dunque, da questa prospettiva generale, l'avvento di Cristo per il Giudizio Universale, e il verbo "compiuto" designa la perfezione religiosa, cioè la conversione di tutto Israele. La conversione universale degli ebrei a cristianesimo non avverrà, infatti, secondo la dottrina di San Paolo, Romani 11, 25 e seguenti, che alla fine dei tempi, e anche allora molti di loro rifiuteranno la salvezza,” Bisping, hl I Dodici, per i quali la predizione di Gesù era più oscura di quanto lo sia ora per noi, dovettero applicarla alla gloriosa, definitiva e imminente instaurazione del regno messianico, e così si consolarono, pensando che le persecuzioni a cui sarebbero stati sottoposti non sarebbero state di lunga durata.
Mt 10, 24-42. – Parallelo. Luca 12, 2-12; 51-53.
Mt10.24 Il discepolo non è superiore al maestro, né il servo superiore al suo signore. Questa verità, presentata negativamente nel versetto 24, è espressa positivamente nel versetto 25: Gesù Cristo la applica poi. La presentazione negativa assume la forma di due proverbi popolari. Nostro Signore sembra aver amato queste massime, poiché le ha ripetute più volte in diverse circostanze (cfr. Luca 640; Giovanni 13:16; 15:20. Queste affermazioni significano che, in generale, i discepoli non dovrebbero aspettarsi una sorte migliore del loro Maestro, che un servo non può sperare di essere trattato meglio di colui che serve. Gesù menziona questa regola, che diventa assoluta quando riguarda lui e i suoi discepoli.
Mt10.25 È sufficiente per il discepolo essere come il suo maestro e per il servo come il suo padrone. Se hanno chiamato Beelzebùl il capofamiglia, quanto più quelli della sua casa! – Lui Sbasta per il discepolo…È lo stesso adagio, leggermente modificato e presentato in forma affermativa. Quale discepolo, quale servitore non sarebbe pienamente soddisfatto di essere trattato con lo stesso onore e rispetto del suo maestro? Finché rimane un discepolo o un servitore, la sua ambizione non può crescere ulteriormente. Il padre della famiglia…Ai due rapporti che ha appena instaurato tra sé e i suoi seguaci, Gesù Cristo ne aggiunge un terzo, che determina in modo più tenero e più vero la natura del suo ruolo nei nostri confronti: si era presentato come il Maestro di cui siamo discepoli, come il Padrone di cui siamo servi; ora ci appare nella bella figura di un padre di famiglia alla cui casa apparteniamo. BelzebùDobbiamo indagare, riguardo a questo insulto, 1) la vera pronuncia e, di conseguenza, l'etimologia originale del nome Belzebù; 2) perché gli ebrei si permettessero di chiamare Nostro Signore con questo nome. 1) Mentre la Vulgata, l'Itala, la versione siriaca e i Padri latini leggono Belzebù, le altre versioni e tutti i manoscritti greci tranne uno scrivono Belzebuth, e questa è effettivamente la lezione autentica del testo greco. Tuttavia, è menzionato nel Secondo Libro dei Re 1, 2, 3, 16, di una divinità adorata dai Filistei di Acri con il nome di Baal-Zebub, "signore", cioè dio "delle mosche". Ora, poiché la maggior parte dei commentatori ammette che il Belzebù di Acri non differisce dal Belzebù menzionato lì dal Salvatore, come possiamo spiegare il cambiamento nella vecchia ortografia, l'introduzione della lettera L al posto dell'originale B? Sono state avanzate diverse ipotesi. Hitzig, Delitzsch e Schegg ritengono che Beelzebul fosse una pronuncia attenuata, usata dai Greci. Lo dimostrano citando diversi nomi modificati nello stesso modo e per lo stesso scopo dai traduttori della Bibbia dei Settanta. Aggiungono che il Talmud parla spesso di Baal-Zebub e mai di Baal-Zebul. Queste due ragioni ci sembrano decisive, ed è questa opinione che preferiamo. Altri autori suggeriscono che gli ebrei alterarono deliberatamente la pronuncia originale, attribuendo al nome dell'idolo filisteo un significato più o meno spirituale che avrebbe permesso loro di ridicolizzare il paganesimo. Proprio come avevano cambiato in modo beffardo Sichem in Sichar (vedi Giovanni 4:5), così avrebbero detto Beelzebub invece di Beelzebub, questa semplice mutazione trasformando il "dio delle mosche" nel "dio della sporcizia" o "dello sterco". È certo che gli israeliti attribuirono sempre grande importanza al significato dei nomi propri. Gli scritti rabbinici li mostrano scherzare, seppur con gusto discutibile, sui nomi delle divinità pagane, cambiando, ad esempio, "fons calicis" in "fons toedii", "Fortuna" (la dea Fortuna) in "Fœtor" (infezione), e così via. "È proibito deridere, eccetto che per l'idolatria", era la giustificazione fornita nel Sinedrio babilonese, foglio 93.2. Tuttavia, non crediamo che questo uso popolare si applichi qui. In effetti, l'equivalente ebraico della parola *sporcizia* è zebel, e non zebul ; Pertanto, secondo l'ipotesi appena presentata, il nome ironico di Belzebù dovrebbe essere Beelzebel. Di fronte a questa difficoltà filologica, è stata proposta una terza soluzione, che consiste semplicemente nel collegare Belzebù al sostantivo ebraico zebul, «dimora, casa», cosicché il soprannome ingiurioso dato a Satana dagli ebrei significherebbe: «il signore della dimora», cioè il signore delle dimore sotterranee o dell’inferno. Così, al versetto 25, otterremmo un curioso gioco di parole tra i due nomi combinati dal Salvatore. – 2° Qualunque sia il motivo di queste congetture, è certo che Belzebù o Beelzebul era un nome appropriato per il principe dei demoni; lo apprenderemo presto dagli stessi farisei: «Belzebù, il principe dei demoni», Matteo 12, 24. Un decreto rabbinico proibiva agli Israeliti di pronunciare il nome di Satana: «Nessuno apra mai la bocca a Satana” (Berach, f. 60, 1). Pertanto, vari epiteti comunemente usati dalle persone pie, come Asmodeo, Abaddon, ecc., furono adottati per designare il capo degli spiriti maligni. Un'antica rivalità nazionale aveva contribuito alla popolarità del nome Belzebù, che soddisfaceva un duplice desiderio di vendetta, attaccando sia i Filistei che il diavolo. Così, quando i nemici di Gesù vollero stigmatizzare la sua condotta e i suoi insegnamenti, non trovarono epiteto più infamante di Belzebù. Era impossibile scagliare un insulto più eclatante contro il Salvatore: lui, il Verbo incarnato, confuso con il principe dei demoni, con un idolo la cui specialità, come quella dello Zeus dei Greci, Pausan. 8, 26, 4, e del Giove romano "Miyagrus", consisteva nel liberare i suoi adoratori da mosche e moscerini. – Non vediamo in nessun luogo nel racconto evangelico gli ebrei che scagliano direttamente il nome di Belzebù contro il divino Maestro; ma l'affermazione di Nostro Signore dimostra che devono averlo fatto più di una volta. Tra l'accusa di aver compiuto miracoli con l'aiuto di Belzebù e l'uso diretto di questo cognome scandaloso, c'è solo un passo che le anime appassionate potrebbero facilmente compiere in un istante. Quanti altri ce ne sono in casa sua?Se non si è esitato a insultare fino a questo punto il capofamiglia, è chiaro che lo si farà ancora meno con i suoi servi. Si aspettino dunque mille insulti i missionari apostolici, quelli vicini a Cristo. La storia di cristianesimo dimostra che non sono stati risparmiati.
Non abbiate paura, vv. 26-31.
Mt10.26 Non abbiate paura di loro, perché non c'è nulla di nascosto che non sarà svelato, nulla di segreto che non sarà manifestato. – Quindi non aver paura di loro. Questa è la nota dominante che ascolteremo in questa breve serie di versetti. Cfr. vv. 28 e 31. La particella "perciò" annuncia una conclusione; infatti, per ispirare ai discepoli di Gesù Cristo un coraggio invincibile in mezzo alla persecuzione, nulla potrebbe essere più appropriato di questo pensiero: il mio Maestro è stato perseguitato come me, prima di me. Con un tale ricordo costantemente presente nella loro mente, non proveranno né sorpresa né paura quando saranno maltrattati. Non c'è niente di nascosto…Una nuova espressione proverbiale, similmente riscontrabile tra gli scrittori secolari, come disse Tertulliano ai Romani: "Il tempo riveli ogni cosa; invoco i vostri proverbi e detti a testimoni", Ap. c. 7; cfr. Orazio, Lettera 1, 6.24: "Tutto ciò che è sottoterra, il tempo lo collocherà in un luogo soleggiato". Gli studiosi non sono d'accordo su come collegarlo al contesto, sebbene affermino unanimemente che contenga una grande fonte di incoraggiamento per i predicatori del Vangelo. Alcuni autori, seguendo Barradio e Francesco Luca, spiegano il versetto 26 per mezzo del versetto 27, e suppongono che Gesù Cristo ispiri gli Apostoli di tutti i tempi a predicare con coraggio la verità cristiana perché è precisamente destinata alla diffusione pubblica. Qualunque cosa accada, nonostante gli ostacoli che sorgeranno contro di voi ovunque, proclamate il Vangelo con santa audacia: agireste contro la sua natura e il suo scopo se non lo divulgaste ovunque. Ma gli antichi commentatori compresero meglio il pensiero del Salvatore. Anche quaggiù, dicono, nulla può rimanere a lungo segreto; la luce alla fine risplende anche sulle cose più nascoste. In ogni caso, l'apparizione di Cristo nell'ultimo giorno porterà tutto alla luce, svelando i misteri buoni e cattivi dei cuori. Ora, in questa certezza, c'è una profonda consolazione per coloro che sono ingiustamente perseguitati. Allora la santità della loro causa e la rettitudine delle loro intenzioni appariranno in tutto il loro splendore; al contrario, la malizia dei loro nemici sarà manifestata e confusa. È una speranza simile che Gesù ha voluto ispirare nei suoi discepoli, per renderli coraggiosi nell'esercizio del loro ministero.
Mt10.27 Ciò che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e ciò che vi è sussurrato all'orecchio annunciatelo dai tetti. – Vale la pena notare che molte delle raccomandazioni contenute in questa terza parte del discorso sono state espresse sotto forma di aforismi popolari: questa vivida immagine le rende piuttosto suggestive. Gli adagi del versetto 27 contengono una deduzione tratta dall'esperienza appena menzionata: Poiché sei certo di raccogliere un giorno una gloria così pura e una ricompensa così bella dal tuo ruolo, non aver paura, nonostante l'amarezza presente, di predicare pubblicamente la mia dottrina. Nell'oscurità... nella luce, sussurrato nel tuo orecchio... sui tetti Si tratta di antitesi facilmente comprensibili. Quando si parla al buio, si sfugge a occhi indiscreti; quando si sussurrano poche parole all'orecchio del vicino, si è uditi solo da lui. Quando si predica a mezzogiorno sui tetti, si è visti e uditi da tutti, ed è a mezzogiorno, sui tetti, che gli Apostoli di Cristo devono predicare il Vangelo. Nostro Signore allude alla natura della sua predicazione personale: sebbene non fosse mai segreta, le circostanze limitavano necessariamente il numero di ascoltatori che la ricevevano dalla bocca stessa del divino Maestro. Per i missionari sparsi nel nome di Gesù Cristo in tutto il mondo, non deve esserci una cerchia ristretta: le verità del Vangelo saranno proclamate apertamente a tutti, perché non hanno nulla da temere dalla luce; non hanno nulla in comune con l'errore che ama insinuarsi nell'ombra. Le parole "sui tetti" richiamano un'antica usanza orientale, menzionata molto presto nei libri dell'Antico Testamento. Poiché i tetti delle case orientali erano piatti, a volte potevano essere utilizzati come piattaforme da cui l'oratore, alzando leggermente la voce, poteva essere udito da lontano. Era da queste piattaforme che di solito venivano pronunciate le proclamazioni importanti, in particolare quelle riguardanti il culto sacro: "Il ministro della sinagoga suona la tromba sei volte la sera dello Shabbat, sul tetto di una casa molto alta, affinché tutti sappiano che inizia lo Shabbat". Tra i musulmani, il muezzin sale sul minareto della moschea per annunciare gli orari della preghiera; gli ordini dei governatori locali nei vari distretti della Palestina venivano comunicati agli abitanti da un tetto tramite il banditore. L'espressione "predicare dai tetti" divenne così sinonimo di "proclamare ad alta voce, alla vista di tutti" (cfr. Amos, 3, 9).
Mt10.28 Non temete coloro che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l'anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l'anima e il corpo nella Geenna.– Non aver paura…Gesù ha rafforzato i suoi ambasciatori spirituali contro gli insulti e gli oltraggi; ora li rafforza contro la paura della morte. Perché non solo saranno insultati, ma la loro stessa vita sarà minacciata; ma che importa? Sotto questo aspetto, il potere dei loro avversari è limitato. Quelli che uccidono il corpo ; È vero, possono togliere la vita materiale; tuttavia, quale potere hanno sulla parte superiore e immortale del nostro essere? È completamente nullo. E anzi, privando le loro vittime di un bene secondario, essenzialmente transitorio, ne procurano loro un altro di valore infinito, posto in un rifugio sicuro. Cfr. v. 39. Ma piuttosto abbiate paura…Al posto di un timore vano che rasenta la codardia nei suoi Apostoli, Gesù Cristo vorrebbe instillarne un altro tanto utile quanto legittimo. Chi, dunque, dovremmo temere? Dio. E perché? Perché, mentre gli uomini possono solo togliere la vita dal corpo, Egli può dannare eternamente sia il corpo che l'anima. – La parola anima che a volte rappresenta la vita fisica, cfr. v. 29; 6, 25, ecc., qui designa l'anima in contrapposizione al corpo. – «Sembra che Cristo deliberatamente», osserva Grozio a proposito del verbo «perdere», «non abbia ripetuto la parola “uccidere”, ma abbia usato piuttosto la parola “perdere”, una parola che esprime tormento». I teologi hanno giustamente visto in questo detto di Nostro Signore Gesù Cristo una prova molto forte di la resurrezione dei corpi e della loro partecipazione alla felicità o alla punizione delle anime con cui saranno stati associati su questa terra. Il famoso rabbino Jechiel, vissuto nel XIII secolo, tenendo una conferenza pubblica a Parigi, esclamò dopo aver esaurito tutti gli altri argomenti: "Il nostro corpo è in tuo potere, ma non la nostra anima", Wetstein. – Diversi esegeti, tra cui Stier e J.P. Lange, applicano la seconda parte del nostro versetto non a Dio, come abbiamo fatto con la maggior parte degli scrittori antichi e moderni, ma a Satana. È lui, dicono, che viene designato con le parole "colui che può distruggere...", lui, quindi, che i rappresentanti di Cristo devono temere più di ogni altra cosa. Per ribaltare questa peculiare opinione, basti menzionare il passo parallelo in Luca 12:5: "Temete colui che, dopo aver ucciso, ha il potere di mandare all'inferno". Solo Dio gode di questo duplice potere, e Satana non può fare nulla del genere.
Mt10.29 Due passeri non si vendono forse per un asso? Eppure nemmeno uno di essi cade a terra senza il permesso del Padre vostro. Non contento di rassicurare i suoi missionari rivelando la vanità delle paure umane, Gesù li incoraggiò descrivendo loro la protezione che potevano aspettarsi dalla Provvidenza divina. Due passeri : in greco, uccello in generale, poi l'uccello più comune, il passeriforme. Le piccole cose serviranno ancora una volta a dimostrare grandi cose. Un asso. L'asse era una moneta che originariamente costituiva un decimo del denario romano, il che la rendeva una delle monete romane più piccole: era fatta di una miscela di rame e stagno. I talmudisti la chiamavano Assar O issar. Al tempo di Nostro Signore, due passeri potevano essere acquistati per un soldo nei mercati della Palestina; cinque per due soldi, dice San Luca 12:6. Questi uccelli erano abbondanti in Giudea. Piccoli, facili da catturare e non molto apprezzati come cibo, venivano regalati piuttosto che venduti. Gesù Cristo poteva quindi benissimo sceglierli per rappresentare esseri di scarso valore agli occhi degli uomini. Nessuno di loro cade… Tuttavia ha il significato di E tuttavia. L'intero versetto può anche essere ridotto a una singola frase interrogativa: Non è forse vero che due passeri si vendono per un soldo e non ne cade nemmeno uno... ecc.? - Dopo non cadere, Origene, Sant'Ireneo, San Giovanni Crisostomo ed Eutimio implicano nella rete ; Ma qual è il punto? Il luogo della caduta non è già sufficientemente indicato dalle parole sulla terraferma Inoltre, "cadere" qui significa perire. L'idea espressa da Gesù è delicatissima. Se l'uccellatore che ha trascorso la giornata a catturare uccelli li valuta così poco da venderne due per un soldo, che valore attribuirà il Signore a un passero, a cui appartengono, secondo le sue stesse parole (Salmo 49,11), "tutti gli uccelli dei monti"? Eppure, ci vuole il suo permesso perché un uccello cada a terra e perisca. Si può intuire a fortiori la conclusione che Gesù trarrà da ciò tra poco. Cfr. v. 31.
Mt10.30 Anche i capelli sulla testa sono tutti contati. Quando si tratta degli uomini, Dio conosce non solo il loro numero, ma persino i capelli del loro capo. Se il Creatore si prende cura con tanta benevolenza di un dettaglio così insignificante del nostro essere, se veglia con attenzione anche sugli aspetti più insignificanti di noi, con quale materna sollecitudine non si prenderà cura degli interessi superiori di coloro che operano per la sua gloria! Non accadrà loro il minimo danno a sua insaputa. Cfr. 1 Re 1,52. Queste parole contengono un esempio lampante della "specialissima Provvidenza" del Signore. "Se, dunque, Egli è pienamente consapevole di ciò che sta accadendo, se ti ama più veramente di un padre, se ti ama fino al punto di aver contato i tuoi capelli, non c'è assolutamente nulla da temere", San Giovanni Crisostomo, Hom. 34.
Mt10.31 Perciò non abbiate paura: voi valete più di molti passeri. – Quindi non aver paura. È la terza volta che sentiamo questa rassicurante affermazione dal versetto 26; ma qui ha una forza del tutto particolare, seguendo il ragionamento progressivo di Gesù. – L’ultima frase, Tu vali di più..., Questo ci riporta al versetto 29. Quale deliziosa semplicità di linguaggio per esprimere l'alto valore di un operaio evangelico davanti a Dio! "Un uccello non perisce senza il permesso di Dio, tanto meno un uomo", dice un proverbio del Talmud, Hieros. Shebiith, f. 38, 4. Già nel Discorso della Montagna, Gesù Cristo aveva tracciato un parallelo tra uomini e uccelli per mostrare che la Provvidenza, che si prende tanta cura delle creature più piccole, non può trascurare il re della natura, 6, 26.
Mt10.32 Perciò chiunque mi avrà riconosciuto davanti agli uomini, anch'io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli., – Il conflitto con le potenze nemiche in mezzo alle quali gli Apostoli vivranno per sempre richiederà da loro la massima fedeltà. Il Salvatore incoraggia la loro devozione alla Sua causa con la prospettiva della ricompensa che Egli riserva a tutti coloro che Lo servono lealmente fino alla fine. Chiunque si dichiara per me… «chiunque» è al nominativo assoluto, come lo è «qualcuno» nel versetto 14, e la frase è sospesa a metà del versetto solo per ricominciare in una nuova forma. «Perciò» non introduce una deduzione rigorosa dalle affermazioni precedenti; piuttosto, è una transizione a un'altra serie di pensieri che sono solo genericamente correlati alle raccomandazioni precedenti: Badate che la persecuzione non vi separi da me. – Confessare Gesù Cristo significa dimostrare con parole e opere di credere in lui e nella sua opera, significa manifestare apertamente esteriormente la fede incrollabile che si ha nella sua persona divina. È chiaramente una pubblica professione di fede in Gesù Cristo, come indicano le parole. davanti agli uomini, e di una professione che può esporre chi la esercita a pericoli reali, come risulta chiaro dal contesto. «Chi mi rende testimonianza… anch’io gli renderò testimonianza», Tertulliano, Scorp. c. 9. San Giovanni Crisostomo cade in un errore filologico quando afferma: «Non ha detto »io”, ma “in me”, mostrando che chi gli rende testimonianza non lo farà per virtù propria, ma armato della grazia celeste», Hom. 34. Dichiarerò anche il mio sostegno a lui. "Egli vi ricompenserà", ma con quale immenso beneficio per i predicatori che hanno generosamente confessato la loro fede in Gesù Cristo. Avranno riconosciuto il Salvatore davanti agli uomini; in cambio, il Salvatore li riconoscerà davanti al Padre suo e davanti al Padre suo nei cieli. Ciò significa che li accoglierà per sempre in cielo, per ricompensarli delle sofferenze sopportate per rimanergli fedeli sulla terra.
Mt10.33 E chiunque mi rinnegherà davanti agli uomini, anch'io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli. Ma non tutti gli rimarranno fedeli; ci saranno dei rinnegati, degli apostati. Desiderando ridurne il numero, Gesù Cristo indica in anticipo la sorte riservata a queste anime sfortunate nell'aldilà. Forse il terrore produrrà su di loro un'impressione salutare. Chi mi nega…Sia nell'espressione che nell'idea, abbiamo qui l'esatto opposto del versetto 32. Invece di riconoscere Gesù davanti agli uomini, egli viene vergognosamente rinnegato; invece di essere riconosciuti da lui davanti al Padre celeste, si viene rinnegati: "Non vi conosco"; l'ingresso in cielo è naturalmente rifiutato agli apostati incalliti. Anche io lo rinnegherò : sanzione legittima quanto la prima.
Mt10.34 Non pensare che io sia venuto per portare pace Sono venuto a portare sulla terra, non pace, ma la spada.– È sempre l’idea della persecuzione esterna e della rinuncia interna, cioè della persecuzione personale, che ritorna sotto forme nuove: non è quaggiù che il cristiano, e tanto meno l’apostolo, troverà pace e tranquillità. Non pensare… Ciò che segue, fino al versetto 39, forma «un cerchio di idee che non erano mai emerse dalla mente di un mortale prima di Gesù», afferma Wizenmann. Che sono venuto a portare pace Non è un ramoscello d'ulivo che Gesù Cristo è venuto a gettare sulla terra come pegno di sicurezza e felicità perpetua, ma la spada, il terribile strumento di la guerraE tuttavia il Messia era stato preannunciato sotto le spoglie di un Principe pacifico, cfr. Isaia 96; al momento della sua nascita, gli angeli aveva cantato: «Pace in terra agli uomini di buona volontà». Ma queste cose non sono affatto contraddittorie. Nostro Signore stesso ha stabilito la più perfetta armonia tra queste diverse parole quando ha detto, poche ore prima della sua morte: «Vi lascio pace“Vi do la mia pace; non ve la do come la dà il mondo.” Pertanto, ci sono diversi tipi di pace, pace del mondo e pace di Gesù; uno falso e malvagio, che nasce dalla libertà data alle passioni, l'altro reale e santo, che esiste solo dopo che le passioni sono state vinte, sradicate. Al vecchio mondo corrotto, Gesù può offrire il bacio della pace solo dopo averne recisi i vizi con la spada. Così, "mandare una guerra è una buona cosa se distrugge una cattiva pace" (San Girolamo). Inoltre, se il Salvatore afferma di essere venuto a portare la guerra e non paceNon è che il suo raggiungimento della maggiore età sia stata causa diretta di lotte e discordie per il mondo, tutt'altro; ma lotte e discordie sarebbero state conseguenze naturali dell'istituzione del suo regno.
Mt10.35 Sono venuto a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera. 36 I nostri nemici saranno le persone della nostra stessa famiglia.– In questi due versetti Gesù Cristo sviluppa concretamente, attraverso alcuni esempi, la grave profezia che abbiamo appena ascoltato. Pace La pace della famiglia è la più dolce, la più necessaria di tutte le paci: è questa pace che per prima sarà turbata dal Vangelo. Cfr. v. 21. La spada scagliata da Cristo, cadendo in una famiglia, provoca terribili separazioni. «Infatti la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla, e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore» (Eb 4,12). Separare l'uomo dal padre… I link di Amore E il sangue non esiste più. Persino la giovane moglie, che vive con i genitori del marito solo da pochi giorni, è già in guerra aperta con la suocera. – Nostro Signore riassume questa triste descrizione con un'osservazione generale presa a prestito, come le precedenti, dal libro del profeta Michea, 7:6: "Il figlio insulta il padre, la figlia insorge contro la madre, la nuora contro la suocera; i nemici dell'uomo sono quelli della sua casa". I più vicini, i più familiari, diventano gli avversari più acerrimi. Protestanti, ebrei, musulmani o atei che si convertono al cattolicesimo ogni giorno sperimentano spesso questa crudele realtà.
Mt10.37 Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me.– Dopo aver sottolineato la necessità del combattimento, Gesù Cristo enuncia tre principi fondamentali, destinati a fungere da regole di condotta per gli atleti cristiani. – Primo principio: Colui che ama suo padre… più di me. Poiché la condivisione non è possibile, come è stato affermato altrove in modo diverso (6,24), se i nostri doveri verso Dio e i nostri doveri verso i nostri cari ci spingono in direzioni opposte, la nostra scelta non può essere messa in dubbio. Il discepolo di Cristo deve allora imitare lo zelo dei figli di Levi: «Disse a suo padre e a sua madre: "Non vi conosco", e ai suoi fratelli: "Non vi conosco". Ed essi non riconobbero i suoi figli. Ma osservarono la sua parola e osservarono la sua alleanza» (Deuteronomio 33,9; Esodo 32,26-27). Il divino Maestro, tuttavia, non è venuto per spezzare i legami familiari; al contrario, vuole rafforzarli ulteriormente: ma rivendica nobilmente il suo diritto all'affetto supremo. Più di me, al punto di abbandonarmi per loro. – Non degno di me ; Vale a dire che non è degno di essere mio discepolo (cfr Lc 14,26), perché implicitamente mi rinnega. Chi ama suo figlio… Non si tratta di una semplice ripetizione dello stesso pensiero, ma di una gradazione ascendente; poiché i genitori di solito amano i loro figli più di quanto loro siano amati.
Mt10.38 Chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me.– Secondo principio: Chi non prende la sua croce.Non solo Dio deve esserci più caro dei nostri cari, ma deve esserci più caro di noi stessi. – È qui che incontriamo per la prima volta il nome benedetto della croce. L'espressione "prendere la propria croce" ci è familiare fin dalla prima infanzia; sappiamo che, sotto questa metafora, dobbiamo vedere la somma totale di sofferenze e sacrifici di ogni genere, volontari o involontari, che riempiono la vita umana e che dobbiamo accettare generosamente per Amore di Gesù Cristo. Agli Apostoli sembrò senza dubbio ancora più duro e spaventoso di quanto non appaia a noi. Ricordò loro vividamente la terribile punizione della crocifissione allora praticata in tutto l'Impero Romano: sarebbero stati davvero condannati un giorno a questa vergognosa punizione e avrebbero, secondo l'usanza (Giovanni 19:17), portato sulle proprie spalle fino al luogo dell'esecuzione lo strumento su cui sarebbero poi morti? Ma Gesù parlava in senso figurato. Tuttavia, quando aggiunse e non mi segue, Non esprimeva più una semplice immagine, ma la realtà più piena, perché alludeva profeticamente al suo tipo di morte. Lo sentiremo ripetere più volte questa affermazione eminentemente cristiana (cfr 16,24; Lc 9,23; 14,27).
Mt10.39 Chi salva la propria vita, la perderà; ma chi perde la propria vita per causa mia, la salverà. – Terzo principio. Avendo preferito Gesù Cristo alla sua famiglia (v. 37) e al suo benessere personale (v. 38), il discepolo fedele lo preferirà perfino alla vita stessa. Colui che preserva la sua vita..L'anima qui rappresenta la vita fisica, di cui è il principio. Per un cristiano, conservare la propria vita è perderla; perderla è conservarla. Questo pensiero fecondo, che tornerà sulle labbra del Salvatore tanto quanto il precedente (cfr 16,25; Lc 17,33; Gv 12,25), è tuttavia un pensiero paradossale, perché perdere non è forse essenzialmente diverso dal trovare? Gesù Cristo gioca sul doppio significato della parola "Vita": esiste infatti la vita superiore e la vita inferiore, la vita spirituale e la vita naturale, la vita eterna e la vita temporale. Attaccarsi troppo alla seconda di queste vite, volerla preservare a tutti i costi quando il sacrificio è diventato necessario per rimanere fedeli a Gesù, significa rischiare di perdere per sempre le infinite benedizioni che la prima vita ci riserva. A volte il predicatore del Vangelo si trova in questo dilemma: perdere la vita di questo mondo e guadagnare quella dell'eternità, oppure guadagnare qualche anno di vita in questo mondo al prezzo di una codarda apostasia e perdere allo stesso tempo la felicità infinita dell'altro mondo. Chi non è capace di sacrificare, quando necessario, la vita inferiore per quella superiore, finirà per perderle entrambe. San Gregorio Magno fa un paragone ammirevole in questo passo: «Si dice a un credente come a un agricoltore: se conservi il grano, lo perdi; se semini, rinnovi. Chi non sa infatti che il grano, una volta seminato, si perde alla vista e si decompone nella terra? Ma quando si riduce in polvere, germoglia di nuovo», Hom. 37 in Evang. Conosciamo quest'altro detto dello stesso santo Dottore: «La vita temporale paragonata alla vita eterna non merita il nome di vita», ibid.
Mt10.40 Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. – Colui che ti riceve. Verso la fine del suo Discorso, Gesù Cristo riprende il linguaggio diretto che aveva abbandonato dal versetto 32; si rivolge nuovamente ai Dodici che invierà in missione tra poco, e in loro, a tutti gli Apostoli che verranno. Conclude la sua istruzione pastorale con una potente parola di incoraggiamento. Per mostrare ai predicatori del Vangelo che non saranno privi di sostegno, nemmeno umano, in mezzo alle formidabili persecuzioni da cui li ha messi in guardia, dice loro che ora sono come lui, e promette di ricompensare, come se si rivolgessero a lui personalmente, il buon trattamento che riceveranno. Promesse così generose non possono non ispirare la devozione delle anime sante verso di loro. Mi ricevePresso tutti i popoli, l'accoglienza riservata agli ambasciatori, buoni o cattivi che fossero, è sempre stata considerata come spettante al principe di cui erano delegati, essendo il mittente e l'inviato considerati un'unica entità giuridica (cfr. 1 Samuele 8:7; 2 Samuele 10). Il verbo "ricevere" non si riferisce solo a...ospitalità, ma qualsiasi tipo di assistenza data ai messaggeri del Vangelo come rappresentanti di Gesù Cristo. Accogli colui che mi ha mandato, Vale a dire, il Padre Eterno. Esiste quindi la più stretta unione tra Cristo, la sua parola, i suoi messaggeri e il suo Padre divino. Se qualcuno riceve degli insegnanti, dicevano similmente i rabbini, è come se ricevesse la Shekhinah (o Shekhinah, שכינה), la manifestazione della divinità suprema, la presenza di Dio tra il suo popolo.
Mt10.41 Chi accoglie un profeta in quanto profeta riceverà la ricompensa di un profeta, e chi accoglie un giusto in quanto giusto riceverà la ricompensa di un giusto. 42 E chiunque avrà dato anche solo un bicchiere d'acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa».» – Gesù elabora le sue promesse da un’altra prospettiva, e indipendentemente dallo stretto rapporto che i suoi missionari hanno con lui. Un profeta in qualità di profeta Vale a dire, un profeta in quanto tale, perché è un profeta. Questo è un ebraismo che si incontra frequentemente nel Talmud e che significa "nella capacità di". La ricompensa di un profeta ; Riceverà la stessa ricompensa come se fosse lui stesso un profeta. Provvedere ai bisogni temporali dei profeti, proteggendoli con tutta la sua potenza, è in un certo senso cooperare al loro ministero; è quindi naturale che Dio tratti come veri profeti quegli uomini senza i quali il ruolo profetico non avrebbe potuto essere esercitato. Una persona giusta nella capacità di essere giusta, per simpatia verso il suo carattere giusto; vale a dire: per amore di Dio, autore di ogni giustizia. Una giusta ricompensa ; Oltre alla ragione sopra indicata, una condotta così nobile e altruistica presuppone una santità personale che il Signore ricompenserà immancabilmente. Solo un bicchiere di acqua fredda…Nei suoi esempi, Gesù scende passo dopo passo; dopo il profeta, il giusto; dopo il giusto, uno di “questi più piccoli”, e il servizio reso a questo “più piccolo di questi” è di per sé molto piccolo: è un semplice bicchiere d’acqua fresca, che non costa al benefattore né fatica né spesa. Ma nulla va perduto per il cielo. cfr. Marco 9:40; 15:36; 1 Corinzi 3, 2. – A uno di questi piccoli. Un epiteto davvero bello per designare i discepoli di Cristo. Altrove, 11,25 (cfr. Zaccaria 13,7), Gesù Cristo chiamerà i suoi. bambini piccoliDavvero piccolo agli occhi del mondo, soprattutto all'origine di cristianesimo Ma grandi agli occhi del Signore, i cui giudizi non si fermano alla superficie, come quelli degli uomini. Perché è mio discepolo, unicamente perché è un servitore di Cristo, e non per ragioni umane. Non perderà la sua ricompensa. L'istruzione si conclude con questa confortante promessa, fatta sotto il sigillo di un giuramento. – Armati di questo consiglio del loro Maestro, rafforzati da questo incoraggiamento, i Dodici si misero in cammino a due a due, come apprendiamo da San Marco 6:7, e percorsero le città della Palestina, predicando ovunque il Vangelo con zelo. San Matteo non ci dice nulla del loro ministero; sappiamo dagli altri due Vangeli sinottici che fu molto fruttuoso e accompagnato da numerosi miracoli (Marco 6:12-13; Luca 9:6). Così, pieni di gioia e di fiducia, tornarono al loro buon Maestro, che li aveva formati con tanta saggezza, preparandoli alle pericolose missioni future con un viaggio iniziale in cui tutto era adattato alla loro debolezza presente.


