«La salvezza è più vicina a noi» (Romani 13:11-14a)

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Lettura della lettera di san Paolo apostolo ai Romani

Fratelli,

Sappiate questo: è giunto il momento, è già giunta l'ora di svegliarvi dal sonno, perché la salvezza è più vicina a noi ora di quando abbiamo abbracciato la fede.

La notte è passata, il giorno è vicino. Gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a gozzoviglie e ubriachezze, non fra dissolutezza e licenziosità, non in litigi e invidie, ma rivestiamoci del Signore Gesù Cristo.

Svegliarsi per vivere: l’urgenza luminosa del Vangelo secondo San Paolo

La chiamata che risuona attraverso i secoli.

Ci sono testi biblici che ci accarezzano dolcemente, come una brezza leggera in una sera d'estate. E poi ci sono quelli che ci scuotono, che ci strappano dal nostro torpore con un'urgenza quasi inquietante. Il brano del lettera ai Romani Il brano che stiamo per esplorare insieme appartiene sicuramente a questa seconda categoria. Paolo scrive ai suoi fratelli e sorelle a Roma con l'intensità di un uomo che ha visto qualcosa di straordinario e non può più tacere. "Lo sapete", dice loro, come per svegliarli di soprassalto. E ciò che annuncia loro è che la salvezza non è una realtà lontana e astratta, riservata a un futuro incerto. No, la salvezza è "più vicina a noi ora". Questa affermazione cambia tutto. Trasforma il nostro modo di vedere il tempo, l'etica e la vita quotidiana. Ci invita a una conversione radicale, non domani, ma oggi, proprio ora, in questo preciso momento in cui leggete queste righe.

Nei paragrafi seguenti, approfondiremo innanzitutto il contesto storico e letterario di questo affascinante testo, per capire a chi si rivolgeva Paolo e perché le sue parole avessero un tale peso. Analizzeremo poi il cuore del suo messaggio, questa sorprendente dialettica tra notte e giorno, tra sonno e veglia. Esploreremo poi tre principali ambiti di riflessione: la dimensione temporale della speranza cristiana, l'imperativo etico che ne deriva e il mistero della "veste" di Cristo. Ci avvarremo delle voci della tradizione per arricchire la nostra lettura, prima di offrire suggerimenti concreti per la meditazione e l'applicazione. Perché un testo biblico che non trasforma le nostre vite non ha ancora rivelato appieno il suo tesoro.

«La salvezza è più vicina a noi» (Romani 13:11-14a)

Quando Paolo scrisse ai cristiani di Roma: una lettera del suo tempo

Una comunità al crocevia della storia

Per cogliere il significato del messaggio di Paolo, dobbiamo prima trasportarci a Roma negli anni 55-57 d.C. Immaginate questa metropoli vivace, cuore pulsante dell'Impero, dove si mescolano mercanti provenienti dall'Oriente, soldati in congedo, filosofi greci, schiavi liberati e patrizi stanchi. È in questo crogiolo cosmopolita che una piccola comunità di credenti in Gesù Cristo cerca di vivere la propria fede nascente.

A differenza di tante altre chiese, la comunità cristiana di Roma non fu fondata da Paolo stesso. Si formò gradualmente, probabilmente a partire da ebrei convertiti tornati da Gerusalemme dopo la Pentecoste, e si arricchì in seguito di gentili attratti da questo messaggio di speranza. Questa duplice origine, ebraica e gentile, creò tensioni di cui Paolo era ben consapevole e che cercò di alleviare in tutta la sua lettera.

Quando l'apostolo scrisse la sua Lettera ai Romani, si trovava probabilmente a Corinto, in procinto di intraprendere il viaggio verso Gerusalemme per consegnare la colletta per i poveri cristiani della città santa. Non aveva ancora visto Roma con i suoi occhi, ma la portava nel cuore. Sognava di andarci, di... rafforzare la fede credenti, prima di spingersi ulteriormente verso la Spagna, ai confini del mondo conosciuto.

Il contesto letterario: una sinfonia teologica

lettera ai Romani Questa è senza dubbio l'opera più sistematica di Paolo. Laddove altre epistole affrontano problemi specifici, questa sviluppa una vera e propria teologia della giustificazione per fede, della grazia e del rapporto tra Legge e Vangelo. I primi undici capitoli costituiscono una profonda meditazione sul piano di salvezza di Dio per tutta l'umanità, ebrei e gentili uniti nella stessa misericordia.

Il nostro brano si trova nel capitolo tredici, nella sezione parenetica della lettera, cioè quella dedicata alle esortazioni morali e pratiche. Dopo aver stabilito i fondamenti teologici della vita cristiana, Paolo ne trae ora le conseguenze concrete. Il capitolo dodici ci ha parlato del culto spirituale e della vita comunitaria. L'inizio del capitolo tredici trattava dei rapporti con le autorità civili. E qui Paolo conclude questa sezione con un vibrante invito al risveglio spirituale.

Un testo che trascende il tempo

Questo brano ha goduto di notevole fama nella storia della Chiesa. Viene letto ogni anno la prima domenica di Avvento nella liturgia cattolica, il che gli conferisce un posto privilegiato nella spiritualità cristiana. Non è un caso: Avvento È proprio questo tempo di vigile attesa, questo periodo in cui la Chiesa si prepara a celebrare la venuta del Signore, sia nel mistero del Natale sia nell'orizzonte del suo ritorno glorioso.

Ma al di là del suo uso liturgico, questo testo ha segnato in modo decisivo la vita di singole persone. Il caso più famoso è quello di Agostino d'Ippona, di cui parleremo più avanti. Nel mezzo di una crisi spirituale, il giovane retore africano udì la voce di un bambino dirgli: "Prendi e leggi!". Aprì il Libro della Scrittura e si imbatté in questo preciso passo. Fu il momento della sua conversione. Così, questi pochi versetti cambiarono il corso del pensiero occidentale.

Il testo nella sua nudità

Rileggiamo insieme queste parole, lentamente, lasciandole risuonare:

«Fratelli, sapete che è giunto il momento, anzi è già giunta l'ora di svegliarvi dal sonno. Perché la nostra salvezza è più vicina ora di quando diventammo credenti. La notte è ormai avanzata, il giorno è vicino. Gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a gozzoviglie e ubriachezze, non fra immoralità e dissolutezza, non in rivalità e gelosia, ma rivestiti del Signore Gesù Cristo.»

Ogni parola conta. Ogni immagine ha un notevole peso teologico. Siamo invitati a intraprendere un viaggio nel cuore di questo testo denso e luminoso.

«La salvezza è più vicina a noi» (Romani 13:11-14a)

Il cuore pulsante del messaggio: tra la notte e il giorno, tra il sonno e la veglia

Un appello diretto e fraterno

Paolo non usa mezzi termini. La sua prima parola, "Fratelli", imposta immediatamente il tono: quello di fratellanza, di vicinanza, di uguaglianza davanti a Dio. L'apostolo non parla dall'alto, da un pulpito inaccessibile. Si pone allo stesso livello dei suoi ascoltatori, condividendo con loro la stessa condizione dei credenti in cammino.

Ma questa fraternità non preclude standard esigenti. Al contrario, è proprio perché Paolo ama questi cristiani di Roma che si rivolge a loro con tanta franchezza. "Voi lo sapete", dice loro, come per ricordare loro una verità che già portano dentro di sé ma che forse hanno dimenticato sotto il peso della routine quotidiana. Questa conoscenza non è un'astratta comprensione intellettuale; è una consapevolezza esistenziale, una lucidità sul tempo presente e sulle sue implicazioni.

Il paradosso temporale della speranza

Ecco l'affermazione centrale, quella che dà il titolo alla nostra riflessione: «La salvezza è più vicina a noi ora che al tempo in cui diventammo credenti». Questa frase merita di essere considerata a lungo, perché contiene una visione del tempo profondamente originale.

Nel pensiero paolino, il tempo non è semplicemente una successione di momenti equivalenti. È orientato, diretto verso il compimento. Cristo è già venuto, la vittoria sul peccato e sulla morte è già stata conquistata, ma questa vittoria non si è ancora pienamente manifestata. Viviamo in questo strano e fertile "intermedio" che i teologi chiamano il "già-là" e il "non-ancora".

Ma Paolo afferma che questo "intervallo" si sta restringendo. Ogni giorno che passa ci avvicina alla piena manifestazione della salvezza. Il tempo non è statico; si muove verso la sua meta. E questo progresso ha conseguenze concrete sul nostro modo di vivere oggi.

Il simbolo luminoso

Paolo poi ricorre a immagini suggestive: notte e giorno, oscurità e luce. Questi simboli sono profondamente radicati nella tradizione biblica. Fin dal primo capitolo di Genesi, Dio separa la luce dalle tenebre. I profeti predicono un "giorno del Signore" in cui tutto sarà rivelato. Il prologo del Vangelo di Giovanni proclama che la luce splende nelle tenebre e che le tenebre non l'hanno vinta.

Per Paolo, la notte rappresenta il vecchio mondo, il mondo del peccato, dell'ignoranza e della separazione da Dio. Il giorno rappresenta il nuovo mondo inaugurato da la resurrezione di Cristo, un mondo di chiarezza, verità e comunione con Dio. E siamo, dice, all'alba. La notte non è ancora del tutto trascorsa, ma il giorno sta già spuntando all'orizzonte. I primi barlumi di luce colorano il cielo.

Questa situazione nascente è decisiva. Richiede una decisione, una scelta. Ci aggrapperemo alle opere della notte o ci volgeremo risolutamente verso la luce nascente?

Le armi della luce

L'espressione è notevole: "Indossiamo l'armatura della luce". Paolo usa un vocabolario militare, quello dell'equipaggiamento di un soldato. Non è una coincidenza. La vita cristiana non è una passeggiata; è una battaglia. Ma attenzione: le armi a cui si riferisce non sono quelle della violenza umana. Sono armi paradossali, armi di luce.

Nel suo Lettera agli Efesini, Paolo svilupperà questa immagine dell'armatura spirituale: la cintura della verità, la corazza della giustizia, lo scudo della fede, l'elmo della salvezza, la spada dello Spirito. Qui, nella Lettera ai Romani, egli si limita a menzionare queste armi senza descriverle nei dettagli, ma l'idea è la stessa: il cristiano deve equipaggiarsi per affrontare le forze opposte, non con i mezzi di questo mondo, ma con le risorse che Dio gli dà.

Un'etica della luce

Dopo l'immagine, arriva l'elenco concreto. Paolo enumera quelle che chiama le "opere delle tenebre": orge, ubriachezza, lussuria, dissolutezza, rivalità, gelosia. Questo catalogo non è esaustivo; è rappresentativo di un certo tipo di comportamento che caratterizza il vecchio mondo.

Si potrebbe essere tentati di ridurre questo elenco a una semplice lezione morale di temperanza. Sarebbe un errore di interpretazione. Ciò che Paolo sta affrontando non è principalmente questo o quel comportamento particolare, ma una disposizione fondamentale: quella di vivere secondo la carne piuttosto che secondo lo Spirito, di lasciarsi governare dai propri impulsi piuttosto che dalla grazia di Dio.

I primi tre termini (orge, ubriachezza, lussuria) riguardano gli eccessi legati al corpo e al piacere. Gli ultimi tre (dissolutezza, rivalità, gelosia) riguardano le relazioni con gli altri. Paolo suggerisce quindi che il peccato deturpa sia il nostro rapporto con noi stessi sia quello con gli altri.

Il tempo stringe: vivere nell'urgenza della speranza

Il «kairos» paolino

Quando Paolo scrive "il tempo è adesso", usa il termine greco "kairos", distinto da "chronos". Questa distinzione è cruciale. "Chronos" si riferisce al tempo quantitativo, misurabile, il tempo degli orologi e dei calendari. "Kairos", invece, si riferisce al tempo qualitativo, al momento opportuno, all'istante decisivo in cui qualcosa può accadere.

I Greci conoscevano bene questa distinzione. Descrivevano Kairos come un giovane alato che deve essere afferrato al passaggio, perché una volta passato, non può essere più catturato. Per Paolo, il momento presente è un "kairos", un momento di grazia e decisione. Non è un momento qualsiasi; è IL momento, il momento in cui l'eternità irrompe nella nostra temporalità.

Questa consapevolezza del "kairos" dovrebbe trasformare il nostro rapporto con il tempo. Non stiamo semplicemente aspettando passivamente un evento futuro. Siamo attivamente impegnati in un processo di trasformazione che richiede la nostra partecipazione. Ogni momento è un'opportunità per dire sì alla grazia, per scegliere la luce anziché l'oscurità.

Escatologia paolina: già e non ancora

Per comprendere l'urgenza di Paolo, bisogna comprendere la sua visione della storia della salvezza. L'apostolo viveva nella convinzione che la resurrezione Cristo ha inaugurato la fine dei tempi. Il vecchio mondo è già condannato; il nuovo mondo sta già nascendo. Ma questa nascita non è ancora completa. Viviamo in un periodo di transizione, una sovrapposizione tra due epoche.

Questa tensione tra "già" e "non ancora" è caratteristica del pensiero paolino. Da un lato, siamo già salvati: "È per grazia che siete stati salvati, mediante la fede", scrive agli Efesini. Dall'altro, la nostra salvezza attende ancora la sua piena manifestazione: "Siamo stati salvati nella speranza", dice ai Romani poco prima nella stessa lettera.

Questa tensione non è una contraddizione; è una dinamica. Ci mantiene in uno stato di vigilanza e di speranza attiva. Non possiamo accomodarci nel presente come se tutto fosse già compiuto. Né possiamo disperare come se nulla fosse ancora iniziato. Siamo chiamati a vivere in questo fecondo intermezzo, sostenuti dalla certezza di ciò che è già dato e protesi verso la pienezza di ciò che deve ancora venire.

Sonno spirituale: una diagnosi universale

L'immagine del sonno utilizzata da Paolo non è insignificante. Suggerisce uno stato di incoscienza, torpore e distacco dalla realtà. Chi dorme non vede ciò che accade intorno a lui; è rinchiuso nei propri sogni, isolato dal mondo esterno.

Questa metafora ha una lunga storia nella tradizione spirituale. Già i filosofi greci parlavano del sonno dell'anima, di questo torpore che impedisce all'essere umano di accedere alla verità. Libro dei Proverbi Mette in guardia contro la pigrizia, che porta alla rovina. E Gesù stesso, nell'Orto del Getsemani, rimprovera i suoi discepoli perché dormono, mentre lui aveva chiesto loro di rimanere svegli.

Il sonno spirituale può assumere molte forme. A volte è l'indifferenza religiosa, questa assenza di interrogativi sul senso dell'esistenza. A volte è l'abitudine, questa routine che ci porta a compiere azioni prive di senso. A volte è la distrazione, nel senso pascaliano del termine, questa fuga precipitosa che ci impedisce di affrontare la nostra condizione. A volte è anche il conforto, questo accomodarsi in una vita ben ordinata in cui Dio non ha più veramente posto.

Paolo ci invita a risvegliarci da questo torpore, ad aprire gli occhi alla realtà spirituale della nostra esistenza. E questo risveglio dal torpore non è un evento isolato; è un processo continuo, una vigilanza costante.

La speranza come forza motrice dell'etica

Ciò che è notevole in questo testo è che l'esortazione morale scaturisce direttamente dall'affermazione escatologica. Paolo non dice: "Comportatevi bene perché è la legge". Dice: "Comportatevi bene perché il giorno si avvicina". L'etica cristiana non si fonda su un dovere astratto; si fonda su una speranza viva.

Questa logica cambia tutto. Se ci sforziamo di vivere nella luce, non è per guadagnarci la salvezza, che è un dono gratuito di Dio. È perché apparteniamo già al mondo della luce, perché la nostra vera identità è quella di figli del giorno, e il nostro comportamento deve riflettere questa identità.

È un po' come chi, sapendo che riceverà una favolosa eredità, inizia già a vivere secondo i valori che quell'eredità rappresenta. O come un fidanzato che, in attesa delle nozze, vive già secondo la logica dell'amore coniugale. La speranza non è semplicemente una proiezione nel futuro; trasforma il presente.

«La salvezza è più vicina a noi» (Romani 13:11-14a)

Rifiutare l'oscurità: il coraggio della lucidità

Una lista che offende

Torniamo all'elenco dei comportamenti che Paolo ci chiede di rifiutare: "orge e ubriachezze, lussuria e dissolutezza, rivalità e gelosia". Questi termini potrebbero sembrare appartenere a un'altra epoca. Chi di noi partecipa alle orge? Il vocabolario di Paolo sembra prendere di mira gli eccessi della cultura greco-romana, quei banchetti che a volte degeneravano in scene di licenziosità.

Ma non crediamoci troppo in fretta innocenti. Se le forme sono cambiate, le realtà che rappresentano rimangono. L'ebbrezza non è scomparsa; ha semplicemente assunto nuove forme. La dipendenza dall'alcol colpisce milioni di persone, ma esiste anche l'ebbrezza del potere, l'ebbrezza del consumo, l'ebbrezza dell'intrattenimento continuo. La nostra società produce le sue forme di intorpidimento.

Allo stesso modo, la lussuria e la dissolutezza non sono scomparse. La pornografia è diventata un'industria globale. La sessualità, invece di essere un luogo di comunione e donazione, spesso diventa un campo di consumo e sfruttamento. I corpi vengono mercificati, le relazioni strumentalizzate.

Per quanto riguarda rivalità e gelosia, sono forse più diffuse che mai in una società caratterizzata da una competizione diffusa. I social media esacerbano il confronto costante con gli altri. La corsa al successo, al riconoscimento e alla visibilità genera comportamenti competitivi che avvelenano le relazioni umane.

L'oscurità interiore

Ma Paolo non si riferisce solo al comportamento esteriore. Si riferisce a una disposizione del cuore. Le "opere delle tenebre" nascono da un'oscurità interiore, da una mancanza di luce nel nostro essere più profondo. Ecco perché la conversione non può limitarsi a un cambiamento di comportamento; deve raggiungere le profondità del nostro essere.

IL Padri del deserto, Quei primi monaci che si ritirarono nella solitudine dell'Egitto erano ben consapevoli di questa realtà. Svilupparono una sottile psicologia delle "passioni", quegli impulsi interiori che, se incontrollati, conducono al peccato. Gola, lussuria, avarizia, ira, tristezza, accidia, vanagloria, orgoglio: queste otto passioni fondamentali sono le radici dei comportamenti che Paolo condanna.

Rifiutare le opere delle tenebre significa dunque intraprendere un lavoro di conoscenza di sé, di discernimento dei movimenti del proprio cuore. Significa imparare a riconoscere i pensieri che ci tirano giù, le emozioni che ci imprigionano, i riflessi che ci allontanano da Dio e dagli altri.

Il coraggio della verità

Questo lavoro richiede coraggio. È più comodo rimanere nell'illusione, evitare di confrontarsi con i nostri lati oscuri. La luce, a prima vista, può essere dolorosa. Rivela ciò che preferiremmo nascondere, persino a noi stessi.

Ma è proprio qui che avviene la liberazione. "La verità vi farà liberi", dice Gesù nel Vangelo di Giovanni. Questa libertà nasce da un confronto onesto con chi siamo veramente. Non per crogiolarci nel senso di colpa, ma per aprirci alla grazia trasformante di Dio.

Tutte le grandi figure spirituali hanno fatto questa esperienza. Agostino, nelle sue Confessioni, non esita a mettere in luce le sue debolezze passate. Teresa d'Avila parla della necessità della conoscenza di sé come fondamento della vita spirituale. Ignazio di Loyola Inizia i suoi Esercizi Spirituali con un approfondito esame di coscienza. Questa consapevolezza di sé non è fine a se stessa; è il prerequisito necessario per la trasformazione.

Dalla vergogna alla grazia

C'è però un pericolo in questa introspezione: quello di sprofondare in una vergogna paralizzante, in un sentimento di indegnità che ci chiude all'amore di Dio. Paolo non vuole certo condurci lì. Se ci invita a riconoscere le opere delle tenebre, è perché possiamo respingerle, cioè per riporle nelle mani di Dio, che solo può liberarcene.

La grazia divina non è riservata ai perfetti. È offerta proprio a coloro che riconoscono il loro bisogno di essere salvati. «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati »" disse Gesù. Cristo non è venuto a chiamare i giusti, ma i pescatori.

Questo passaggio dalla vergogna alla grazia è al centro dell'esperienza cristiana. Non si tratta di negare il male che abbiamo commesso o l'oscurità dentro di noi. Si tratta di riconoscerli per affidarli a Colui che può trasformarli. La confessione non è un esercizio di autoflagellazione; è un atto di fiducia in misericordia di Dio.

«La salvezza è più vicina a noi» (Romani 13:11-14a)

Rivestirsi di Cristo: il mistero dell'identificazione

Una metafora dell'abbigliamento

L'esortazione finale di Paolo è forse la più sorprendente e profonda: "Rivestitevi del Signore Gesù Cristo". Questa metafora dell'abbigliamento è frequente negli scritti di Paolo. Appare in particolare nella lettera ai Galati: "Poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo". Struttura anche il brano della Lettera ai Galati. Lettera ai Colossesi sulle virtù cristiane: «Rivestitevi di compassione, di gentilezza e di compassione’.’umiltà, "...di gentilezza, di pazienza..."»

Cosa significa "rivestirsi di Cristo"? L'immagine dell'abito suggerisce diverse cose. Innanzitutto, l'abito è ciò che ci copre, ciò che nasconde la nostra nudità. Rivestirsi di Cristo significa, in un certo senso, essere coperti da Lui, protetti da Lui. Le nostre debolezze e i nostri peccati sono nascosti sotto il manto della sua giustizia.

Inoltre, l'abbigliamento è ciò che ci definisce agli occhi degli altri. Nell'antichità, l'abbigliamento indicava lo status sociale, la funzione e l'appartenenza. Rivestirsi di Cristo significa mostrare la nostra identità cristiana; significa presentarci al mondo come discepoli del Signore.

In definitiva, l'abito è ciò che ci trasforma. Chiunque abbia indossato un'uniforme sa che l'abito altera la nostra postura, il nostro comportamento, il nostro stesso essere. Rivestirsi di Cristo significa lasciarci trasformare da Lui, adottare il suo modo di essere, fare nostri i suoi atteggiamenti e i suoi valori.

Il battesimo come vestito

Nella Chiesa primitiva, questa metafora aveva una risonanza molto concreta. Durante il battesimo, i catecumeni si spogliavano delle vesti, scendevano nudi nell'acqua battesimale e ne emergevano per indossare una veste bianca. Questo rito simboleggiava la spogliazione del vecchio io e la nascita del nuovo io in Cristo.

Questo simbolismo battesimale è ancora presente nella liturgia attuale. La veste bianca del battesimo, la veste bianca della prima comunione, il camice dei sacerdoti e dei ministranti: tutti questi paramenti liturgici ci ricordano che ci siamo rivestiti di Cristo, che partecipiamo alla sua vita, che siamo chiamati alla santità.

Ma il battesimo non è un atto magico che ci trasforma all'istante in santi. È l'inizio di un processo, l'inaugurazione di un cammino. Per questo Paolo può esortare i cristiani già battezzati a "rivestirsi di Cristo" come se non lo avessero ancora fatto. Il battesimo ci dona una nuova identità, ma questa identità deve essere sviluppata, resa reale e incarnata giorno dopo giorno.

L'imitazione di Cristo

Rivestirsi di Cristo significa anche imitarlo. Significa conformare la nostra vita alla sua, adottare le sue scelte, condividere le sue priorità. L'imitazione di Cristo è un tema centrale della spiritualità cristiana, magnificamente sviluppato nella celebre opera attribuita a Tommaso da Kempis.

Ma attenzione: non si tratta di un'imitazione superficiale, esteriore, che riproduce meccanicamente i gesti di Gesù. È un'imitazione interiore, una comunione di cuore e di mente con il Signore. Ciò che deve abitare in noi è l'amore che animava Gesù, la sua sollecitudine per gli umili e gli esclusi, la sua fiducia nel Padre, la sua apertura alla volontà divina.

I santi sono coloro che hanno portato più lontano questa identificazione con Cristo. Francesco d'Assisi, che ricevette le stimmate, portava i segni della Passione nella sua carne. Teresa di Lisieux parlava della sua "piccola via" come di un cammino per vivere l'amore di Gesù ogni giorno. Charles de Foucauld voleva imitare la vita nascosta di Gesù a Nazareth. Ognuno a modo suo, "si rivestì di Cristo".

Una profonda trasformazione

Rivestirsi di Cristo non si limita a un cambiamento nel comportamento esteriore. È una profonda trasformazione del nostro essere. Paolo altrove usa il termine "nuova creazione": "Se dunque uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate, ecco, ne sono nate di nuove!"«

Questa trasformazione tocca ogni dimensione della nostra esistenza: il nostro intelletto, che impara a pensare secondo il Vangelo; la nostra volontà, che gradualmente si conforma alla volontà di Dio; le nostre emozioni, che si ordinano secondo beneficenza ; il nostro stesso corpo, che diventa tempio dello Spirito Santo.

È un processo che dura tutta la vita. I teologi orientali parlano di "theosis" o "divinizzazione": l'essere umano è chiamato a partecipare alla vita divina, a diventare per grazia ciò che Dio è per natura. Questa prospettiva mozzafiato conferisce alla nostra esistenza una dignità e uno scopo straordinari.

Il Cristo interiore

Un ultimo aspetto di questa mistica paolina merita di essere sottolineato. Rivestirsi di Cristo non significa semplicemente imitarlo esteriormente; significa lasciarlo vivere in noi. Paolo scrive ai Galati: "Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me". Questa sorprendente affermazione rivela l'intimità del rapporto che unisce il cristiano al suo Signore.

Cristo non è semplicemente un modello da seguire; è una presenza viva che dimora nel cuore del credente. Attraverso lo Spirito Santo, egli dimora in noi e noi in lui. Questa dimora divina è il fondamento della vita spirituale cristiana. Pregare significa entrare in contatto con questo Cristo interiore. Agire secondo il Vangelo significa permettere a Cristo di agire attraverso di noi.

Questa prospettiva cambia radicalmente la nostra comprensione dello sforzo morale. Non si tratta di migliorarci con le nostre forze, ma di lasciarci trasformare dalla grazia. Non si tratta di conquistare la santità, ma di riceverla come un dono. Il lavoro La spiritualità consiste nel rimuovere gli ostacoli che impediscono a Cristo di risplendere dentro di noi, liberando il terreno affinché la sua luce possa risplendere.

Le voci della tradizione: echi attraverso i secoli

Agostino: il momento decisivo

Abbiamo già accennato al ruolo decisivo di questo brano nella conversione di Agostino. Ma torniamoci più in dettaglio, perché questo episodio illumina la potenza trasformatrice della Parola di Dio.

Siamo a Milano, nell'anno 386. Agostino è un giovane, brillante ma tormentato professore di retorica. Ha esplorato la filosofia manichea, poi lo scetticismo, prima di gravitare verso il neoplatonismo. Soprattutto, è prigioniero delle sue passioni, incapace di liberarsi dalla relazione con una concubina da cui ha avuto un figlio.

Quel giorno di agosto, sedeva nel suo giardino, preso da un violento tumulto interiore. Piangeva, implorando Dio di dargli la forza di cambiare vita. Poi udì la voce di un bambino da una casa vicina, che ripeteva: "Tolle, lege! Tolle, lege!" – "Prendi e leggi! Prendi e leggi!"«

Agostino interpreta questa voce come un segno divino. Prende il libro delle epistole di Paolo che ha accanto, lo apre a caso e si imbatte nel nostro brano: "Non orge né ubriachezze, né passioni né dissolutezze, né rivalità né gelosia, ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo".«

Non ebbe bisogno di leggere altro. Una luce di certezza gli inondò il cuore. Tutti i suoi dubbi svanirono. Ora sapeva cosa doveva fare. Pochi mesi dopo, avrebbe ricevuto il battesimo da Ambrogio, vescovo di Milano.

Questa storia, raccontata nelle Confessioni, ha esercitato un'immensa influenza sulla spiritualità occidentale. Mostra come un testo biblico, letto al momento giusto, possa diventare parola viva, capace di trasformare una vita.

I Padri Greci: Divinizzazione

I Padri della Chiesa d'Oriente hanno sviluppato una teologia della divinizzazione che getta luce sul mistero della "veste" di Cristo. Per Ireneo di Lione, Atanasio di Alessandria, Gregorio di Nissa e molti altri, lo scopo dell'Incarnazione è proprio quello di permettere agli esseri umani di partecipare alla vita divina.

«"Dio si è fatto uomo affinché l'uomo diventasse Dio", riassume una celebre frase attribuita ad Atanasio. Questa affermazione audace non significa ovviamente che diventiamo Dio per natura. Significa piuttosto che, per grazia di Cristo, siamo ammessi a partecipare alla comunione di vita delle Persone divine.

Questa prospettiva conferisce nuova profondità all'esortazione di Paolo. Rivestirsi di Cristo significa partecipare alla sua vita divina. Significa essere coinvolti nel mistero della Trinità. Significa iniziare qui sulla terra l'esistenza gloriosa che sarà nostra nell'eternità.

La tradizione liturgica

Il passaggio di Romani 13 ha trovato il suo posto naturale nella liturgia della Avvento. Ogni anno, nella prima domenica di questo tempo preparatorio al Natale, la Chiesa fa udire questo appello alla vigilanza e alla conversione.

Questa scelta non è arbitraria. Avvento Questo è un tempo di attesa, un tempo in cui la Chiesa si prepara a celebrare la venuta del Signore. Questa venuta è triplice: una venuta storica nell'Incarnazione, una venuta spirituale nei cuori dei credenti e una venuta gloriosa alla fine dei tempi. Il testo di Paolo ci invita a vivere questa triplice attesa con un atteggiamento di vigilanza attiva.

La liturgia bizantina, da parte sua, utilizza questo brano nel contesto della Quaresima, tempo di conversione e preparazione alla Pasqua. L'enfasi è quindi posta sul rifiuto delle opere delle tenebre e sul rivestimento dell'uomo nuovo.

mistici medievali

I mistici medievali meditavano su questo testo dalla prospettiva dell'unione con Dio. Meister Eckhart, domenicano renano del XIV secolo, sviluppò una spiritualità di distacco che riecheggia il concetto paolino di "svuotamento di sé". Per lui, rivestirsi di Cristo significava spogliarsi di tutto ciò che non è Dio, creando un vuoto interiore affinché Dio potesse nascere nell'anima.

Giovanni della Croce, Nel XVI secolo, egli parlava della "notte oscura" che l'anima deve attraversare per raggiungere l'unione divina. Questa notte non è estranea alla notte di cui parla Paolo. È il passaggio necessario verso la luce, il momento di purificazione che precede l'illuminazione.

Teresa d'Avila, Il suo amico contemporaneo e spirituale, Evangelius, descrive in "Le Dimore" il viaggio dell'anima verso il centro del castello interiore dove risiede Dio. Questo viaggio implica una trasformazione progressiva, un passaggio dai comportamenti esteriori alla trasformazione interiore, che culmina nell'unione trasformativa in cui l'anima e Dio diventano una cosa sola.

Percorsi di preghiera: incarnare la Parola nella vita quotidiana

Primo passo: accogliere l’emergenza

Il primo passo è lasciare che l'urgenza del messaggio di Paolo risuoni dentro di noi. "Ora è il momento", "l'ora è giunta", "il giorno è vicino": queste espressioni non sono semplici formule retoriche. Esprimono una realtà spirituale.

Prendetevi del tempo, nel silenzio della vostra preghiera, per porvi questa domanda: qual è l'urgenza della mia vita spirituale? Cosa non può più aspettare? Quali conversioni ho rimandato per troppo tempo? Lasciate che la Parola di Dio vi chiami, forse vi scuota e vi risvegli dal vostro torpore.

Questa consapevolezza dell'urgenza non ha lo scopo di spaventarci, ma di darci energia. Ci ricorda che le nostre vite hanno un significato, che le nostre scelte hanno delle conseguenze e che ogni giorno è un'opportunità per crescere nell'amore.

Secondo passo: identificare l'oscurità

Il secondo passo è un lavoro di verità su se stessi. Quali sono le "opere delle tenebre" nella mia vita? Non necessariamente i comportamenti spettacolarmente negativi elencati da Paolo, ma i piccoli compromessi, le abitudini che mi allontanano da Dio, gli atteggiamenti che danneggiano i miei rapporti con gli altri.

Questo lavoro di discernimento può assumere la forma di un regolare esame di coscienza. Non un esercizio che induce a sensi di colpa, ma una revisione orante delle nostre giornate alla luce del Vangelo. Che cosa di buono ho fatto oggi? Dove mi è mancato l'amore? Quali pensieri mi hanno trascinato giù? Quali tentazioni ho trovato difficile resistere?

Questa consapevolezza di sé è il prerequisito per ogni crescita spirituale. Ci apre alla grazia rendendoci consapevoli del nostro bisogno di salvezza.

Terzo passo: volgiti verso la luce

Il terzo passo è il vero e proprio movimento di conversione. Non basta semplicemente riconoscere la nostra oscurità; dobbiamo volgerci attivamente verso la luce. Questo movimento ha un nome nella tradizione cristiana: metanoia, il volgersi del cuore e della mente.

Volgersi verso la luce significa innanzitutto orientare il nostro desiderio verso Dio. Significa chiedergli la grazia della conversione. Significa riconoscere che non possiamo salvarci da soli, ma che Lui può fare tutto.

Significa anche intraprendere azioni concrete. La conversione non è solo una disposizione interiore; si concretizza in scelte, decisioni e cambiamenti di comportamento. Quale piccolo passo posso fare oggi per vivere di più nella luce?

Quarto passo: rivestirsi di Cristo nella preghiera

Il quarto passo riguarda la nostra vita di preghiera. Rivestirci di Cristo significa vivere alla sua presenza, coltivare la nostra relazione con Lui, lasciarci riempire dal suo Spirito.

La preghiera quotidiana è il luogo privilegiato di questa intimità con il Signore. Sia che assuma la forma di lectio divina, della preghiera silenziosa, della Liturgia delle Ore o della rosario, Ci mette in contatto con Cristo e ci permette di essere trasformati da Lui.

I sacramenti, e in particolare l'Eucaristia, Questi sono anche mezzi privilegiati per rivestirci di Cristo. Ricevendo il suo Corpo e il suo Sangue, diventiamo ciò che riceviamo. Siamo incorporati a Lui, assimilati a Lui, trasformati in Lui.

Quinto passo: mettere Cristo in azione

Il quinto passo riguarda la nostra vita quotidiana. Rivestirsi di Cristo non si limita ai momenti di preghiera; coinvolge tutta la nostra esistenza. Nel nostro lavoro, nelle nostre relazioni familiari, nei nostri impegni sociali, siamo chiamati a manifestare Cristo, a renderlo presente attraverso le nostre parole e le nostre azioni.

Si può iniziare con cose molto semplici: un sorriso offerto, una parola di incoraggiamento, un servizio reso, un ascolto attento. Ognuno di questi gesti, compiuto con amore, è un modo di rivestirsi di Cristo.

Ciò può essere espresso anche in impegni più ampi: solidarietà con i poveri, la lotta per la giustizia, la cura del creato, La testimonianza della fede. Il Vangelo non è solo una questione privata; ha una dimensione sociale e politica che non possiamo ignorare.

Sesto passo: perseverare nel tempo

Il sesto passo è quello della perseveranza. La vita spirituale non è uno sprint, ma una maratona. Le conversioni spettacolari sono rare; il più delle volte, la trasformazione avviene lentamente, gradualmente, attraverso gli alti e bassi dell'esistenza.

Ci saranno momenti di fervore e momenti di siccità. Vittorie e battute d'arresto. Consolazioni e prove. L'importante è non scoraggiarsi, rialzarsi sempre, tenere gli occhi fissi sull'obiettivo.

Lealtà Gli sforzi quotidiani, umili e perseveranti sono più preziosi degli impulsi fugaci. La santità si forgia nel tempo. È giorno dopo giorno che impariamo a rivestirci di Cristo.

La chiamata che continua a squillare

Al termine di questo viaggio, possiamo apprezzare la ricchezza e la profondità del messaggio di Paolo. Questi pochi versetti del lettera ai Romani contengono una visione del tempo, un'etica, una mistica, un intero programma di vita cristiana.

La salvezza è più vicina a noi. Questa affermazione non è una vaga promessa per un futuro lontano; è una realtà che trasforma il nostro presente. Poiché il giorno si avvicina, siamo invitati a vivere ora come figli della luce. Poiché Cristo è vicino, possiamo rivestirci di Lui ora.

Questo invito non è riservato ai cristiani del primo secolo. Risuona anche per noi oggi, con la stessa urgenza e la stessa promessa. Il mondo è cambiato dai tempi di Paolo, ma il cuore umano rimane lo stesso, con le sue aspirazioni e debolezze, il suo bisogno di luce e la tentazione dell'oscurità.

La Chiesa continua a far sentire questo appello, in particolare in questo tempo di Avvento dove ci prepariamo a celebrare la venuta del Signore. Ma ogni giorno può essere un Avvento, ogni momento può essere il momento del risveglio.

Dunque, come Agostino nel giardino di Milano, osiamo afferrare e leggere. Lasciamo che la Parola di Dio ci raggiunga, ci scuota, ci trasformi. Perché la salvezza non è un'astrazione teologica; è una persona, Gesù Cristo, che ci viene incontro e ci invita a rivestirci della sua vita.

Possiamo rispondere a questa chiamata con tutto il nostro essere, in gioia e la speranza dei figli di Dio che sanno che il meglio deve ancora venire.

Per approfondire: le migliori pratiche da ricordare

  • Lectio divina settimanale Dedica venti minuti ogni settimana alla meditazione lenta Romani 13, 11-14, lasciando che ogni parola risuoni nel tuo cuore.
  • Esame serale Prima di addormentarti, rileggi la tua giornata alla luce di questo testo. Dove hai sperimentato la luce? Dove ha prevalso l'oscurità?
  • Gesto quotidiano di luce Ogni mattina, scegli un'azione concreta con cui manifesterai Cristo nella tua giornata.
  • Confessione regolare Il sacramento della riconciliazione è il luogo privilegiato per respingere le opere delle tenebre e accogliere la grazia del perdono.
  • Lettura spirituale Approfondisci la comprensione di questo testo leggendo le Confessioni di Agostino, in particolare il libro VIII, dove racconta la sua conversione.
  • Preghiera di Avvento Usa questo brano come guida per la tua preghiera durante il tempo di Avvento, meditando ogni giorno su un aspetto del testo.
  • Condivisione fraterna : Proponi a un gruppo di condividere questo testo, confrontandosi su ciò che risveglia in ogni persona e sulle conversioni a cui chiama.

Riferimenti

Testo originale Lettera di San Paolo ai Romani, capitolo 13, versetti 11-14, traduzione liturgica francese.

opere patristiche Agostino d'Ippona, Confessioni, Libro VIII, Capitolo 12 – Racconto della Conversione nell'Orto di Milano. Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Lettera ai Romani, Omelia 24 – commento dettagliato del brano.

Studi biblici contemporanei Giuseppe Fitzmyer, Romanzi: una nuova traduzione con introduzione e commento, Anchor Bible – un commento esegetico definitivo all'intera epistola. Romano Penna, Lettera ai Romani, Edizioni Dehoniane Bologna – analisi approfondita del contesto e della teologia paolina.

Opere di spiritualità Tommaso da Kempis, L'imitazione di Gesù Cristo – un classico della spiritualità cristiana sulla conformità a Cristo. Giovanni della Croce, La notte oscura – meditazione mistica sul passaggio dalle tenebre alla luce.

Commenti liturgici Messale Romano, prima domenica di Avvento, Anno A – Contesto liturgico del testo. Pius Parsch, La guida all'anno liturgico – meditazioni sulle letture del tempo di Avvento.

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